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14/05/2015 Paestum (SA), Il tempio tra i rifiuti, scatta la denuncia (La città di Salerno)

13/05/2015 Paestum (SA), nella valle dei Templi un tesoro sommerso dai rifiuti (La città di Salerno)

06/05/2015 Pompei (NA), torna alla luce la Casa della Fontana piccola (Repubblica)

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30/04/2015 Santa Maria Capua Vetere (CE), così agonizza l'anfiteatro (Corriere della Sera)

29/04/2015 Pompei (NA), I calchi di Pompei, via al restauro e all'analisi del dna dei corpi sepolti nell'eruzione del 79 (Repubblica)

03/04/2015 Pompei (NA), Tra la necropoli di Porta Ercolano e la Regio VI. Pompei, ripartono gli Scavi dell’800 (Corriere del Mezzogiorno)

Notiziari speciali

 

Gli scavi del metrò a Napoli

Il villaggio protostorico di Nola

Il villaggio di Poggiomarino

Nuovi scavi a Mondragone

Scoperte a S. Maria Capua V.

LE NOTIZIE DEL 2015

14/05/2015 Paestum (SA), Il tempio tra i rifiuti, scatta la denuncia (La città di Salerno)

 

«Procederò con una denuncia e chiederò al sindaco Voza di avviare gli accertamenti per risalire ai responsabili dell'abbandono dei rifiuti. Non ne possiamo più: la verità è che questi incivili non meritano il patrimonio inestimabile che hanno». È amareggiata la direttrice del museo Marina Cipriani per lo sversamento di rifiuti nella parte retrostante l'ex stabilimento della Cirio nell'area archeologica di Paestum. La fabbrica per la lavorazione del pomodoro, risalente all'inizio del Novecento, fu acquistata nel 2005 dalla Soprintendenza per circa 3 milioni di euro. Lo stabile, oggi, versa in uno stato di forte degrado con i soffitti in parte crollati e gli scavi archeologici all'interno fermi per la mancanza di risorse. L'opificio è situato a ridosso del lato meridionale esterno delle mura di cinta dell'antica città di Poseidonia, e fu costruito sui resti di un antico santuario greco di Afrodite, in parte celato sotto l'ex fabbrica. «Nel 2007 abbiamo presentato un progetto – spiega la Cipriani – per ottenere un finanziamento che, però, ci è stato negato. Con le poche risorse che avevamo a disposizione abbiamo provveduto alla messa in sicurezza di una parte dello stabile ma, nel frattempo, il bene si è degradato ed ora è necessaria una cifra considerevole per sistemarlo e ristrutturarlo». La Soprintendenza, in questi anni, ha dovuto combattere anche con chi puntualmente forzava le porte di accesso per entrare all'interno, dove sono custoditi dei reperti archeologici rinvenuti sul posto durante gli scavi. Da tempo infatti, il santuario è a rischio saccheggio. «Non so quante volte ho provveduto – afferma Cipriani – a far saldare gli ingressi per evitare che si potesse accedere. Non so cosa altro potrei fare: di fronte a tutta questa inciviltà siamo impotenti. Non possiamo tenere il nostro personale, che già è ridotto dappertutto. La parte del santuario, retrostante lo stabilimento qualche tempo fa era stato sottoposto anche a restauro. Ora di concerto con il Comune provvederemo con un'azione di bonifica». L'acquisto dei ruderi dell' ex Cirio fu effettuato nell'ambito nelle risorse stanziate per il "Progetto grande attrattore Paestum-Velia" finalizzate alla riqualificazione del parco archeologico. L'ipotesi progettuale prevedeva il recupero dell'immobile per destinarlo a sede museale di esposizione delle necropoli e dei materiali del territorio di Paestum, e a sede di servizi connessi con il parco archeologico, in aderenza a quanto previsto dallo studio di fattibilità sulla città antica. La Soprintendenza presentò alla Regione nel 2007 un progetto per 5 milioni di euro che, come affermato dalla stessa Cipriani, fu bocciato. A dieci anni dall'acquisto la struttura sta diventando sempre di più un rudere e all'esterno l'erba continua a crescere raggiungendo le pareti dello stabile mentre i soliti balordi utilizzano l'area a mo' di discarica, sversando ogni sorta di materiale. L'auspicio è che l'area venga bonificata così potranno emergere anche i resti del santuario di Afrodite che nella parte esterna era stato comunque sottoposto a restauro.

13/05/2015 Paestum (SA), nella valle dei Templi un tesoro sommerso dai rifiuti (La città di Salerno)

 

Una discarica a cielo aperto nel cuore dell’area archeologica di Paestum. È la sorte toccata a tutta l’area retrostante l’ex stabilimento Cirio, di proprietà della Soprintendenza, che ha acquistato l’immobile - una fabbrica per la lavorazione del pomodoro risalente all’inizio del Novecento - nel 2005. L’immobile è in uno stato di forte degrado con i soffitti in parte crollati e gli scavi archeologici all’interno che sembra abbiano subito uno stop a causa della mancanza di risorse.
L’opificio è situato a ridosso del lato meridionale esterno delle mura di cinta dell’antica città di Poseidonia, e fu costruito sui resti di un antico santuario greco di Afrodite, in parte celato sotto l’ex fabbrica. Oltre 3 milioni di euro spesi dalla Soprintendenza per l’acquisizione della struttura per avviare le prime operazioni di scavo e sistemazione dell’area. Scavi che, a quanto pare, non sono più continuati, e il tutto versa in uno stato di abbandono.
L’acquisto dei ruderi (quel che rimane della fatiscente ex Cirio) è stato effettuato nell’ambito nelle risorse stanziate per il “Progetto grande attrattore Paestum- Velia” finalizzate alla riqualificazione del parco archeologico. L’ipotesi progettuale prevedeva il recupero dell’immobile moderno per destinarlo a sede museale di esposizione delle necropoli e dei materiali del territorio di Paestum, e a sede di servizi connessi con il parco archeologico, in aderenza a quanto previsto dallo studio di fattibilità sulla città antica.
Per la messa in atto delle azioni previste la Soprintendenza presentò alla Regione un progetto da 5 milioni di euro che fu bocciato. A dieci anni dall’acquisto la struttura sta diventando sempre di più un rudere e all’esterno l’erba continua a crescere raggiungendo le pareti dello stabile mentre i soliti balordi utilizzano l’area a mo’ di discarica, sversando ogni sorta di materiale. Nella zona retrostante l’ex fabbrica infatti, sono stati abbandonati diverse balle di plastica, di cui non si conosce il contenuto, secchi di pittura, materiale cementizio, pneumatici. Il tutto a pochissima distanza dai maestosi templi di Paestum.
Una situazione che dimostra tutta l’inciviltà di questi balordi che agiscono senza preoccuparsi minimamente che si tratta di una zona vincolata dalla legge 220 Zanotti Bianco all’interno di un parco archeologico patrimonio Unesco.
Nei capannoni sfondati della fabbrica sono stati effettuati scavi che hanno messo in luce parte del santuario. La sciagura della Cirio è stata nella sua ubicazione situata proprio sopra l’antico santuario greco di Afrodite.
Tutto ebbe inizio nel 1908, quando la società conserviera decise di costruire l’opificio sulle rive di Capodifiume, proprio di fronte al tempio di Nettuno. Nel corso degli anni sono stati tanti i reperti venuti alla luce, alcuni anche a seguito dei lavori di ampliamento dello stabilimento, come delle statue acefale di marmo bianco, una fontana, settanta monete di bronzo, cocci, teste in marmo. In questi ultimi 50 anni, il sito è stato oggetto di numerosi studi archeologici che ne hanno confermato l’importanza dal punto di vista culturale e storico. Ma nonostante tutto è abbandonato a se stesso perché non si trovano le risorse per avviare una capillaree campagna di scavi.
L’ex stabilimento della Cirio potrebbe essere ristrutturato con un progetto di finanza per una gestione tra pubblico e privato. Un’ipotesi per la cui attuazione svolge un ruolo strategico la costruzione del sottopasso ferroviario il cui iter è in corso.

06/05/2015 Pompei (NA), torna alla luce la Casa della Fontana piccola (Repubblica)

 

Potrebbe essere la raffigurazione dell'antico porto fluviale di Pompei. Il grande affresco sulla parete del peristilio della Casa della Fontana piccola sarà di nuovo visibile al pubblico. Come l'intera domus, affacciata sulla via di Mercurio, a pochi passi dal foro. Lavori di restauro finiti, Pompei recupera un altro gioiello. Riapre questa mattina la Casa della Fontana piccola, una delle abitazioni più raffinate ed eleganti della città. Deve il suo nome a una fontana decorata a mosaico collocata sul fondo del giardino interno. Tessere di pasta vitrea e valve di mollusco inserite nell'intonaco fresco decorano la fontana a nicchia. L'acqua usciva dalla bocca della maschera tragica in marmo tra due pappagalli a mosaico, così come dal becco di un'oca tenuta in braccio da un amorino in bronzo: questa statuetta e l'altra di pescatore, poggiate sul bordo della vasca in marmo, sono copie.
La domus è stata interessata da un intervento globale di restauro appena concluso che ha riguardato sia lavori di consolidamento nell'ambito del Grande Progetto Pompei sia il recupero della fontana e degli splendidi apparati decorativi, il tutto realizzato in tre lotti successivi e finanziati dalla Fondazione Città Italia.
Saranno questa mattina il soprintendente, Massimo Osanna, il direttore generale del Grande progetto, Giovanni Nistri, e il segretario generale della fondazione Città Italia, Ledo Prato, a presentare i risultati dei lavori.
Tra le residenze private più antiche di Pompei, risalente all'età sannitica, quella della Fontana piccola è una casa ad atrio, una tipica abitazione da classe dirigente locale, caratterizzata da ingresso, vestibolo, atrio e tablinio. Qui, il padrone di casa riceveva i clientes e ostentava la sua ricchezza. Fu esplorata tra il 1826 e il 1827 dal direttore degli scavi, l'architetto Antonio Bonucci, che estese lo scavo alle spalle del tempio di Giove, nel cuore della città, portando alla luce le Terme del foro e tutta la via di Mercurio. La casa sarebbe appartenuta a un mercante di frutta, il pomarius Helvius Vestalis dell'iscrizione elettorale rinvenuta sulla facciata dell'abitazione. La presenza di due ingressi dalla strada si spiega col fatto che nella prima età imperiale la casa fu ricavata dall'unificazione di due precedenti dimore. Danneggiata dal terremoto del 62 dopo Cristo, la casa fu quasi interamente riaffrescata in IV stile pompeiano.
Grazie alle provvidenziali coperture ottocentesche, il ciclo decorativo del giardino si è conservato, a differenza di altre pitture. Il restauro ha consentito di eliminare i sali di risalita che avevano reso quasi illeggibile il grande affresco di paesaggio marittimo nel giardino. Si riconoscono chiaramente i resti di un approdo portuale, alcune ville marittime, un ponticello e una serie di figure tra le quali alcuni pescatori. L'effetto voluto è quello di sfondamento della parete del peristilio che, per la ristrettezza di spazi, presenta solo due lati con colonne doriche.
Altre pitture si trovano nell'ambiente a sinistra dell'ingresso, con la parte bassa in rosso e al centro pannelli bianchi con paesaggi. A destra dell'atrio affreschi con architetture su fondo bianco e figure di sacerdoti.
E mentre si restituisce al pubblico un altro pezzo della città romana, la soprintendenza di Pompei nel 2015
con i fondi ordinari programma altri restauri: si va dal mosaico del Cave canem agli apparati decorativi delle domus di Marco Lucrezio Frontone, Romolo e Remo, Nozze d'argento, dal recupero della fontana della Casa della Fontana grande alla pulizia dal guano e al restauro dei pavimenti della Casa di Fabio Rufo. L'affresco di Adone ferito, invece, nell'omonima casa, sarà restaurato con il ricavato della vendita del libro di Alberto Angela "I tre giorni di Pompei".

30/04/2015 Santa Maria Capua Vetere (CE), così agonizza l'anfiteatro (Corriere della Sera)

 

A.A.A. Cercansi spericolati arrampicatori free climbing per impresa temeraria: scalare gli spalti più impervi dell’Arena di Capua per togliere arbusti e alberelli che li stanno devastando. C’è una difficoltà superiore al VII grado, però: gli scalatori dovrebbero farlo per amore. La soprintendenza, a quattrini, è messa male male.
«E chi ce lo fa fare?», dirà qualcuno. Se la pensa così, si accontenti di scalate più facili: la parete nord dell’Eiger, El Captain allo Yosemite Park o il K2. La vera sfida, però, quella che finirebbe sulle prime pagine, è salvare gli spalti superiori dell’Anfiteatro campano.
È magnifico, quello stadio costruito tra la fine del I° e gli inizi del II° secolo d.C. per sostituire il precedente legato alla mitica ribellione dei gladiatori di Spartaco. Coi suoi 165 metri sull’asse maggiore e 135 sul minore, era il più grande del mondo romano (Pubblio Vittore parla di 87 mila posti) dopo il Colosseo. Gli spettacoli che ospitava, racconta Giacomo Rucca in un libro del 1828 («Capua Vetere, o sia Descrizione di tutti i monumenti di Capua antica...») erano grandiosi: combattimenti tra gladiatori, combattimenti contro belve feroci (non solo leoni ma anche ippopotami o coccodrilli), battaglie con elefanti, «pugne navali»... Degni della città allora più importante dopo Roma.
Certo, la storia non è stata clemente con l’Anfiteatro Campano. Saccheggiato da Genserico nel 456 d.C., trasformato in una fortezza dopo la distruzione dell’antica Capua nell’841 ad opera dei saraceni, usato come cava di marmo e materiali edilizi a partire dalla dominazione sveva, il magnifico stadio ha perduto via via le ricchissime decorazioni del passato come i 240 busti a rilievo di Giove, Giunone, Diana, Demetra, Mercurio e altre divinità. Conserva tuttavia, a dispetto delle razzie d’un tempo e delle erbacce di oggi, un fascino struggente. Di più: conserva intatti i grandiosi sotterranei. Un reticolo di gallerie, archi, canali, serbatoi e poi grandi spazi laterali per conservare le scenografie, ospitare i gladiatori, custodire gli animali in cattività... Un mondo intero sotto terra che dà l’idea di quanto fossero imponenti gli «show» e quante centinaia, forse migliaia di persone vi venissero impiegate.
Valgono da soli un viaggio da Baltimora o da Tokyo, quei sotterranei. Così come interessantissimi sono i pezzi conservati nel Museo dei Gladiatori, piccolo ma prezioso. E la mostra «Immaginando città» voluta dalla soprintendente Adele Campanelli che ricostruisce l’affascinante storia dello sviluppo urbano nell’area campana. Per non dire dello stupendo Mitreo, l’aula sotterranea dedicata al dio Mitra, miracolosamente sopravvissuto al selvaggio assalto edilizio che ha devastato Santa Maria di Capua Vetere nella totale indifferenza di chi l’amministrava.
Valga ad esempio un depliant: «La casa di Cofuleio Sabbio è uno dei reperti di recente scoperta. È in corso Aldo Moro 210 dove durante gli scavi per la costruzione del fabbricato sovrastante...». Sovrastante? Ma come, direte voi, trovarono una casa romana del I secolo a.C. e ci fecero sopra un palazzo? Esatto. Al punto che oggi, spiegano le guide, «la casa è visitabile su richiesta ai condomini». Cose del passato? Magari! Basti vedere il cantiere dell’edificio in costruzione in faccia all’arena.
Va da sé che, a dispetto della buona volontà che possano metterci la soprintendente e la direttrice degli scavi Ida Gennarelli e tanti altri addetti che cercano di supplire generosamente alla storica sciatteria di troppi colleghi, quello che dovrebbe essere uno dei siti più curati del Sud finisce per dare la sgradevole impressione di essere oscenamente trascurato. Ovvio. Basti dire che il ministero, l’anno scorso, ha stanziato per tutto il patrimonio archeologico di Santa Maria Capua Vetere 58.500 euro.
Una miseria. Insufficiente non diciamo per fare restauri seri, se è vero come dice la soprintendente Campanelli che «un giorno di lavoro di un operaio specializzato per i lavori dedicati costa coi contributi e tutto 300 euro» (trecento!), ma anche per un minimo di manutenzione. Che in questi giorni riparte coi pochi spiccioli a disposizione. Colpa di Dario Franceschini? No. Va così da anni e anni.
Il risultato è nei numeri: il secondo anfiteatro più grande del mondo romano, legato alla leggenda di Spartaco, ha fatto nel 2014, secondo il ministero dei Beni culturali, 51.967 visitatori, compresi i non paganti. Meno di un quarto di Castel del Monte che è trentesimo nella classifica delle attrazioni culturali italiane. Poco più di un decimo di Villa d’Este a Tivoli. Sia chiaro, va già molto meglio rispetto a una quindicina d’anni fa, quando i visitatori erano circa 30 mila l’anno. Ma resta uno spreco. Di bellezza e di incassi.
Anche perché, accanto all’arena, c’è qualcosa che pare funzionare. La sistemazione dell’accesso e la costruzione con soldi Ue di un parallelepipedo di vetro e cemento costato uno sproposito (tre milioni di euro!) ha finito per dare un risultato positivo. La nascita, grazie a una gara ignorata dai mammasantissima dei «servizi aggiuntivi» («Capua era la Cenerentola...», spiega Bruno Zarzaca, uno dei titolari) di una biglietteria-caffetteria-trattoria «Amico Bio», davvero europea. Arredamento essenziale, pulizia, cortesia, menu di prodotti biologici con spazio per i vegani. Il tutto nonostante il crac del costruttore. Nonostante la struttura fatta con soldi pubblici non fosse stata dotata dell’abitabilità («Da pazzi: la chiesero a noi!», ride Enrico Amico, l’altro titolare, che ha un’azienda agricola biodinamica che fornisce mezza Italia) e non fosse stata manco registrata al catasto.
Proprio quello spazio di servizi aggiuntivi, pare impossibile, è al centro di uno scontro col Comune. Che contesta la canna fumaria. «Ma come: abbiamo avuto il via libera della soprintendenza! L’abbiamo nascosta coi pannelli d’informazione culturale! Abbiamo proposto di coprirla con una struttura di cristallo che ospiti anche una sala di lettura da donare alla Università!»...
Niente da fare. Il municipio, a costo di spazzar via il ristorante «bio» che in mezzo a tante inefficienze funziona, quella canna vuole demolirla. Scusate: e tutta la poltiglia cementizia abusiva? E gli orrori urbanistici tutto intorno? E i palazzi coi resti archeologici sepolti nelle fondamenta? Ci penseranno domani. O forse dopodomani...

29/04/2015 Pompei (NA), I calchi di Pompei, via al restauro e all'analisi del dna dei corpi sepolti nell'eruzione del 79 (Repubblica)

 

(uno, in particolare rannicchiato nei granai del Foro), che ricordano la tragedia di una città. Che in poche ore fu sepolta, nel 79 dopo Cristo assieme a circa duemila persone, secondo le stime degli archeologi. La grandezza di per Pompei non passa soltanto negli splendidi affreschi patrizi delle domus, o nei peristili decorati. Il suo segreto è nell’empatia che esercita sul visitatore. Che osserva la quotidianità di una città di duemila anni fa, cristallizzata nei solchi dei carri sulle strade, nei graffiti d’amore su via dell’Abbondanza, nelle locande per gli avventori, nelle iscrizioni elettorali. E nei calchi della sua gente.
Quei cadaveri vinti dalla nube ardente del Vesuvio, che il grande archeologo ottocentesco Giuseppe Fiorelli ha reso immortali, colando del gesso liquido nell’impronta lasciata dai loro corpi nella cenere.
E dopo 20 secoli, emergono gli ultimi sguardi di uomini, donne e bambini, animali, persino una signora incinta. Per la prima volta, tutti gli 86 calchi della città, saranno interessati da lavori di restauro della Soprintendenza archeologica, inseriti nel “Grande Progetto Pompei”.
Venti saranno esposti anche in occasione della mostra “Pompei e l’Europa 1748-1943”, allestita tra gli scavi ed il Museo archeologico di Napoli. L’inaugurazione si terrà nell’anfiteatro, il 27 maggio (che resterà chiuso fino ad allora per gli allestimenti). L’intervento, oltre a consentire la ricomposizione di alcuni corpi ritrovati in frammenti, prevede anche un’inedita analisi a raggi x, ricostruzioni con scanner laser ed esami sul dna, per ricostruire al meglio la vita e le abitudini di un pompeiano del primo secolo.
A partire dai prossimi giorni, solitamente visibili nell’area del Foro, alle Terme Stabiane e Villa dei Misteri) saranno temporaneamente trasferiti al laboratorio della Soprintendenza. Il cantiere sarà organizzato, prevalentemente, nell’area dell’Insula Ocidentalis e, naturalmente, all’Orto dei Fuggiaschi, che ancora conserva i corpi di 13 vittime dell’eruzione (adulti e ragazzi), collocati nell’esatta posizione in cui furono trovati.

03/04/2015 Pompei (NA), Tra la necropoli di Porta Ercolano e la Regio VI. Pompei, ripartono gli Scavi dell’800 (Corriere del Mezzogiorno)

 

«Il rapporto tra Università Federico II e Soprintendenza di Pompei è anche simbolico, e questo è un giorno positivo per la nostra realtà, il segno di un’inversione di tendenza». Il rettore Gaetano Manfredi e il soprintendente Massimo Osanna hanno presentato l’intesa tra i rispettivi enti con grande enfasi evocando i personaggi «mitici» del passato. Uno su tutti, Giuseppe Fiorelli, l’archeologo che a metà Ottocento mise a punto il sistema per ottenere i calchi dei pompeiani morti nell’eruzione che travolse la loro città e riorganizzò gli Scavi suddividendoli in regiones e insulae e numerando ciascun edificio in modo da poter localizzare con precisione ogni reperto. «A quel tempo a Pompei c’era una situazione non tanto diversa da oggi, con un grande fermento e grandi lavori in corso», ha sottolineato Osanna, il quale ha poi aggiunto che «proprio l’area in cui Fiorelli volle la sua scuola è quella prescelta». La Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e l’Università Federico II di Napoli hanno infatti stipulato un accordo «per la progettazione di un intervento congiunto finalizzato all’indagine, allo studio e al restauro dell’area nord-occidentale esterna alla cinta muraria degli Scavi di Pompei, compresa tra la Regio VI e la necropoli di Porta Ercolano». Un’area che soffre da tempo dell’impatto infestante della vegetazione che pregiudica gravemente la conservazione dei monumenti. Quindi saranno formate équipe multidisciplinari che collaboreranno al disboscamento e alla messa in sicurezza dei terreni in pendio, nonché al restauro e alla valorizzazione di Domus presenti nell’area, di grande rilievo per la città antica ma finora poco conosciute. Sarà, inoltre, condotta un’indagine archeologica sperimentale sui cosiddetti «cumuli borbonici» depositati nell’area nel corso degli sterri settecenteschi che presumibilmente celano materiali che all’epoca erano ritenuti di scarto. «A quel tempo — ha spiegato il soprintendente — si cercavano soprattutto reperti preziosi e magari si gettavano via anfore e altri manufatti».
Per coprire l’ampio spettro di operazioni, che costituiranno anche una vera e propria nuova campagna di scavi, saranno coinvolti non solo archeologi, ma anche botanici, architetti, restauratori, ingegneri strutturisti. Proprio in vista di questa operazione che ha il rettore definito «di ricerca», diversamente da altre università, la Federico II non ha presentato un proprio progetto per il Piano della conoscenza (che intanto è partito). «I primi sei mesi — ha aggiunto Manfredi — saranno dedicati soprattutto alla progettazione, ma i sopralluoghi sono già cominciati. L’accordo ha durata triennale, ma probabilmente ci sarà da lavorare per decenni». «Dopo un approccio conoscitivo sul piano botanico, per capire quali piante si possono sacrificare – ha detto Osanna — toccherà ad architetti e archeologi». Ma il fine non è soltanto scientifico, si lavorerà anche per la fruizione. «I reperti che rinveniremo — sottolinea il soprintendente — saranno esposti in un museo allestito in un edificio ottocentesco nell’area, e sarà allestito un percorso conoscitivo, e non solo di impatto emotivo, anche per disabili».
Il nuovo programma di indagine e restauro nell’antica città, per il quale ieri mattina è stato firmato l’accordo in Rettorato, coinvolgerà decine di professionisti, studiosi e studenti. «La Federico II — dice Manfredi — ha già messo al lavoro un team di trenta persone. In seguito arriveremo a un numero oscillante tra 50 e 100, compresi laureandi, dottorandi, borsisti, specializzandi e ricercatori. Quindi costituirà anche una grande occasione di formazione». Dal canto suo, la Soprintendenza metterà in campo «archeologi, funzionari archeologi e giovani della segreteria tecnica, ma — afferma Osanna — vorrei promuovere anche stage finanziati dal ministero». E le spese? «Inizialmente l’Università utilizzerà risorse già disponibili che saranno riorientate», dice il rettore, che rassicura: «Poi ne troveremo altre, anche attraverso bandi europei». Contribuirà pure la Soprintendenza, naturalmente: «Per quest’area utilizzeremo nostre risorse, visto che il Grande Progetto Pompei è finanziato con fondi europei. Penso ad alcuni milioni di euro». A proposito del Grande Progetto, come procedono i lavori? Osanna non solo non è preoccupato che si riesca a portare a termine i lavori previsti per fine anno, ma è fiducioso che sarà prolungato: «Probabilmente avremo ulteriori finanziamenti nella programmazione europea 2014-2020». E quello sarebbe un altro giorno positivo.

19/03/2015 Pompei (NA), riapre Villa dei Misteri (Corriere del Mezzogiorno)

 

Villa dei Misteri sarà riaperta domani. Dopo due anni di lavori è tornata al suo antico, accecante, splendore. Stefano Vanacore, restauratore capo del laboratorio della Soprintendenza archeologica di Pompei, garantisce che «se mettessimo dei triclini qui dentro, potremmo davvero pensare di essere ritornati al 79 dopo Cristo attraverso uno specialissimo stargate, una porta del tempo capace di farci fare un balzo indietro di duemila anni».
Il nome Villa dei Misteri deriva dal ciclo di affreschi del triclinio, che rappresenta scene del rito d’iniziazione femminile al matrimonio e che caratterizza l’ambiente più bello dei novanta che compongono la magione. La cerimonia dionisiaca, descritta momento per momento, è una delle più grandi pitture antiche esistenti conservate al posto originario. Le altre sono tutte conservate al Museo Archeologico di Napoli.
La domus fu costruita nel II secolo avanti Cristo, lungo la strada che da Pompei conduceva verso Ercolano. Ebbe il periodo di massimo splendore durante l’età augustea, quando fu notevolmente ampliata ed abbellita. In origine era una villa d’otium, cioè una villa residenziale patrizia a pochi passi dal mare e dotata di ampie sale e giardini pensili. A seguito del terremoto del 62 dopo Cristo, prima della drammatica eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei nel 79, fu prima abbandonata e poi trasformata in villa rustica con l’aggiunta di diversi ambienti per la lavorazione agricola e in particolare del vino.
La villa comprende un quartiere residenziale rivolto verso il mare e decorato con esempi di «secondo stile» e un quartiere servile con i locali per la lavorazione del vino, dove è stata ricostruita una pressa, torcularium , per la spremitura dell’uva, con il tronco a testa d’ariete. Splendidi esempi di «terzo stile» a fondo nero sono nel tablino, con motivi miniaturistici in stile egizio. La Villa, situata fuori dall’area archeologica cittadina e famosa per le decorazioni pittoriche delle stanze e per i pavimenti, è stata restaurata con un lavoro puntuale e rivoluzionario. Le pitture della domus si stavano sfarinando sotto l’azione di muffe e batteri, che distruggevano la pellicola pittorica e l’intonaco. L’importante intervento di restauro — che ha interessato tutti gli apparati decorativi, dai mosaici agli affreschi — è stato realizzato con progetti innovativi. E’ stata applicata una tecnologia di pulitura d’avanguardia, con il ricorso ad una strumentazione laser. Per la prima volta applicata ad un ciclo di pitture così esteso e importante. Una tecnica che costituisce una valida alternativa per le superfici estremamente sensibili agli agenti chimici e meccanici. L’utilizzo del laser ha consentito, tra l’altro, un’efficiente rimozione dei diversi strati protettivi utilizzati nei secoli.
All’inaugurazione di domani sarà presente il ministro Dario Franceschini, il soprintendente Massimo Osanna, il direttore generale del Grande Progetto Pompei Giovanni Nistri, i funzionari e tecnici restauratori che hanno curato gli interventi sugli apparati decorativi che sono stati finanziati con fondi della sovrintendenza per un importo di 900mila euro.

13/03/2015 Napoli, riaffiora la quinta nave romana, ecco la flotta di Neapolis (Il Mattino)

 

Sono due le imbarcazioni di epoca romana affiorate di recente nel pozzo del metrò di Piazza Municipio. Entrambi i relitti sono ancora sigillati, per quasi il cinquanta per cento della loro lunghezza, all'interno dello strato di fango che in seguito a eventi alluvionali, verificatisi tra il III e il V secolo dopo Cristo, interrarono il porto della Neapolis romana. Di quei legni, affondati probabilmente a causa di violenti fortunali, e delle loro caratteristiche, oltre che delle altre tre navi rinvenute sempre in quell'area nel 2005, tratterà Giulia Boetto, del Cnrs francese «Camille Jullian» dell'Università di Aix - Marseille, oggi, alle 16.30, presso la sede dell'Orientale di Palazzo Corigliano (in piazza San Domenico Maggiore) in un incontro dal titolo «Archeologia navale a Napoli: nuovi e vecchi ritrovamenti nello scavo della metropolitana». In maniera particolare, come rivela Daniela Giampaola, archeologa della ex Soprintendenza archeologica di Napoli - ora «soprintendenza archeologica della Campania» guidata da Adele Campanelli, in virtù della legge che rimodulava il Mibac e le diverse soprintendenze italiane - si dirà anche della caratteristica estremità (prua o poppa) «a specchio» (non sagomata come quella delle barche o dei gozzi attuali, ma verticale) di una delle due nuove imbarcazioni.
Particolarità, quest'ultima, che già era stata riscontrata in uno dei tre legni trovati nel 2005 e che, dunque, è elemento in grado di sottolineare l'eccezionalità del rinvenimento di questi due relitti (indicati come «Napoli F» e «Napoli G»), ritrovati ai limiti dell'area di cantiere, tagliati in pieno dalle paratie dello scavo.
Altre due imbarcazioni con estremità a «specchio» sono state ritrovate nel porto romano di Tolone, in Francia, e una vicino a Ostia, in prossimità del Tevere. E questo anche se, come sottolinea Giampaola, «non ci sono ancora, nella maniera più assoluta, dati certi da presentare» perché solo «appena avremo terminato di riportare alla luce queste due nuove barche e aver studiato le loro caratteristiche daremo tutte le informazioni in nostro possesso». Possiamo tuttavia dire, aggiunge l'archeologa, che «si tratta di due relitti che sembrano databili tra la fine del II secolo dopo Cristo e gli inizi del III secolo dopo Cristo».
Legni che, dunque, non si dovrebbero discostare di molto da quelli trovati nel 2005 e che, studiati, sono risultati essere delle imbarcazioni di piccolo–medio cabotaggio. Ovvero, battelli lunghi circa quindici metri che erano addetti al trasporto marittimo di derrate alimentari o merci di altro tipo, tra porti vicini. Le cause dell'affondamento delle imbarcazioni, secondo l'archeologa della Soprintendenza, vanno individuate, molto verosimilmente, oltre che in una violenta mareggiata, che all'epoca dovette colpire il porto, anche nel fasciame che non si trovava davvero in ottime condizioni, perché in più parti risulta rabberciato e rattoppato alla meglio.
Nelle identiche, pessime, condizioni erano le navi trovate nel 2005, di cui tratterà appunto Giulia Boetto, nell'ambito di lezioni seminariali di «Archeologia marittima» coordinate da Chiara Zazzaro. Insomma, si potrebbe trattare di naviglio costruito almeno trent'anni prima che la tempesta lo affondasse.
In effetti lo scavo, che si trova posizionato a circa tre metri sul livello del mare (ma sono quasi otto a livello dell'attuale sede stradale) sino ad oggi, ha consentito di recuperare, per un relitto, circa sei metri di strutture; nove metri, invece sono quelle scavate dell'altro. Una volte riportate alla luce, le imbarcazioni, così come è stato per quelle altre ritrovate dieci anni fa, si procederà a una serie di analisi finalizzate a delineare con certezza la tipologia dei legni con i quali sono state costruite. In buona sostanza, tuttavia, il tipo di legname dovrebbe avere caratteristiche resinose, per meglio resistere all'attacco dell'acqua salmastra.
«Per adesso - sottolinea ancora Giampaola - sulle barche non sono state trovate tracce di eventuali carichi. E nemmeno si è in grado di dire se si muovevano a remi oppure erano provviste di vela: ne sapremo di più solo quando avremo recuperato del tutto i due preziosi reperti».

20/02/2015 Pompei (NA), Sulle tracce del tempio dei Dioscuri nell'osteria alle porte degli Scavi (Repubblica)


È LA "statio maritima" di Pompei, un posto dove si riposavano marinai e ufficiali in navigazione lungo le coste del Mediterraneo. Per Mario Torelli, uno dei più grandi archeologi italiani, a Murecine, lì dove passa l'autostrada Napoli-Salerno, c'era un vero e proprio insediamento legato al porto sul fiume Sarno. «Bisogna scavare tra l'autostrada e le mura di Pompei — propone Torelli al termine della conferenza all'Auditorium degli scavi — per trovare il santuario dei Dioscuri, lo stesso che secondo me è raffigurato in un affresco di arte popolare rinvenuto nell'edificio B di Murecine, un'osteria dove i marinai si riposavano una volta attraccati nel porto fluviale sul Sarno ».
La nuova ipotesi interpretativa di uno dei più straordinari complessi architettonici rinvenuti in area vesuviana fuori dal sito pompeiano giunge quando mancano un paio di mesi dall'esposizione al pubblico dei celebri affreschi che furono staccati nel 2000 dall'edificio riesplorato mentre si costruiva la terza corsia dell'autostrada A3 nel tratto compreso tra gli svincoli per Castellammare di Stabia e Angri, sotto la direzione di Antonio De Simone, Salvatore Ciro Nappo e Marisa Mastroroberto. Quel sito era già stato esplorato quando fu costruito il prolungamento dell'autostrada da Pompei a Salerno, tra l'aprile e il dicembre del 1959 da Olga Elia.
Quelle pitture che meravigliarono il mondo per i loro colori brillanti e per la qualità dei volti di Apollo e delle Muse troveranno casa: in primavera saranno finalmente visibili al pubblico all'interno della Palestra grande di Pompei, dove sono in corso lavori di restauro e allestimento finanziati con fondi ordinari della soprintendenza speciale per i beni archeologici.
Partendo dall'interpretazione di quegli affreschi, Mario Torelli, professore emerito di archeologia e storia dell'arte greca e romana all'università di Perugia, uno dei due soli archeologi ad aver vinto il premio internazionale Balzan, ha proposto di interpretare gli edifici di Murecine come luoghi di culto e "statio maritima", composta da tre parti: il triclinio, dove i marinai si rifocillavano in ambienti affrescati con figure apollinee e si sentivano parte di una "elevazione" culturale; il "balneum", dove prendevano i bagni termali secondo l'uso romano, e una fonte per rifornirsi di acqua. Il tutto sotto l'egida dei Dioscuri, divinità protettrici della navigazione antica. «Una navigazione — ha ricordato Torelli — che aveva bisogno di edifici di servizio a terra per rifocillare la ciurma e per fare acqua, dove non servivano stanze da letto perché si dormiva a bordo. Il modello lo si può ritrovare sulla costa laziale, a Castrum Inui, un sito archeologico ubicato sul litorale tra Ardea e Tor San Lorenzo, alla foce del fiume Incastro, una delle scoperte archeologiche più importanti degli ultimi 50 anni». Secondo l'archeologo la situazione di Pompei e quella di Ardea erano identiche: località costiera, porto fluviale, saline. Ad Ardea sono stati rinvenuti i resti di due templi, uno dedicato al dio Sole, dove poi sarà attestato il culto dei Dioscuri. A Pompei, nel triclinio B di Murecine, sono raffigurati sia Castore che Polluce. «Io credo che l'affresco popolare ritrovato a Pompei, sulla parete di quella che era l'osteria di Murecine, rappresenti una scena di culto davanti alle mura di Pompei, con la porta della città e il santuario dei Dioscuri sulla destra. Un tempio che ora dobbiamo solo cercare».

08/02/2015 Sant'Arpino (CE), parco archeologico e museo in sospeso (Il fatto quotidiano)

 

“La nostra amministrazione sta lavorando affinché si possano attuare idee e progetti che contribuiscano concretamente al rilancio dell’economia dei nostri Comuni e a questo scopo è stato approvato il progetto «Alla riscoperta del genius loci di Atella» che consentirà di accedere ai fondi stanziati dalla Regione nell’ambito degli interventi di promozione e diffusione dell’immagine culturale della Campania. Lo scopo è far rivivere l’ex Municipio di Atella rendendolo il fulcro della valorizzazione del Parco Archeologico attraverso una serie di iniziative come l’organizzazione di eventi, convegni e rappresentazioni teatrali; la promozione di un parco urbano denominato «Il cuore verde di Atella»; l’attivazione degli spazi del museo del parco archeologico e la promozione delle eccellenze locali e dell’artigianato”.
Erano i primi giorni dello scorso settembre quando il sindaco di Sant’Arpino, piccolo comune del casertano, Eugenio Di Santo, presentò il suo programma per un’area strategica nel suo Comune. Quella del Parco archeologico, istituito quasi all’estremità est del centro urbano, proprio in coincidenza dell’abitato romano. L’occasione, l’incontro con il consigliere regionale, Angelo Consoli, l’Assessore regionale a Turismo, Personale, Enti Locali e Beni Culturali, Pasquale Sommese e il consigliere provinciale Luigi Meditto, oltre ai sindaci delle confinanti Succivo e Orta di Atella. Di fronte all’ex Municipio di Atella, liberato dai pannelli di legno e di acciaio che lo circondavano, ripulito dalla vegetazione infestante e dalle immondizie che la prolungata incuria aveva fatto prosperare. Intenzioni nobili quelle del sindaco. Che vorrebbe affidare l’area in gestione a privati “attraverso un bando pubblico a cui potranno partecipare cooperative e associazioni che possano valorizzarla e sostenere i costi di manutenzione necessari”.
L’ex Municipio, nel quale è previsto il Museo archeologico di Atella e terreni retrostanti, nei quali si conserva l’area archeologica dal 2010 ufficialmente diventati Parco archeologico, sono là. Monumenti, incompleti, di un tentativo finora fallito. Nonostante l’entusiasmo per le scoperte del 1966, rapidamente sopito dopo il termine delle indagini per mancanza di fondi e il fallimento del Consorzio archeologico atellano, nato sognando la realizzazione del Parco archeologico. Nonostante la costituzione di associazioni ed istituti come l’Istituto di studi atellani, l’Archeoclub di Atella e la Pro Loco di Sant’Arpino, sorti per dare impulso all’archeologia atellana. Nonostante nel novembre 1996 il Comune avesse approvato il protocollo d’intesa per il Parco, sottoscritto tra Ministero dei Beni culturali, Soprintendenza archeologica per le province di Napoli e Caserta e Comune di Sant’Arpino. Nonostante nell’agosto 2003 la Regione Campania avesse deliberato l’assegnazione di 4.878. 000 euro quale finanziamento per la realizzazione del Parco. Nonostante quella cifra fosse stata suddivisa in due moduli, il primo denominato “Museo Archeologico di Atella e sistemazione aree esterne museo”, per l’importo di 2.450.000 euro, e il secondo denominato “Parco archeologico di Atella e restauro del Castellone” per 2.428.233 euro.
Nonostante i lavori del primo modulo iniziati nell’ottobre 2005 fossero terminati nel 2009. Nonostante il modulo due fosse preceduto dall’occupazione parziale dei terreni, pari a circa 65 mila metri quadrati dei circa 240 mila complessivi. Nonostante che, dopo la campagna di indagini geofisiche del 2006 su un’area di circa cinque ettari, nel gennaio 2010 avessero preso avvio gli scavi archeologici con la scoperta di un complesso termale, in opera laterizia con specchiature in opera reticolata, nelle vicinanze del foro. Ancora, nonostante proprio quel rinvenimento avesse permesso, nel luglio 2012, di connotare l’area come parco archeologico, come scriveva la Soprintendente per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta al Comune di Sant’Arpino. Nonostante la maggior parte di queste circostanze sembrasse indirizzare questa storia verso un esito positivo. Che finora non c’è stato. Terminati i fondi per il Parco archeologico senza poter realizzare le opere prescritte dalla Soprintendenza archeologica, a partire dalla copertura dell’area scavata. Così le erbe spontanee hanno potuto crescere indisturbate. Contribuendo al crollo delle suspensurae dell’edificio termale. Provocando il distacco delle tessere dei mosaici pavimentali, il deterioramento delle creste dei muri. Mentre in alcuni ambienti l’acqua piovana ristagna. Portati quasi a compimento i lavori di ristrutturazione all’ex Municipio, ma senza che si decidesse cosa farne. In attesa che lo si faccia numerosi gli atti di vandalismo, i tentativi di furto.
Nel centro campano nel quale l’abusivismo edilizio è una piaga evidente, che si è deciso di sanare con l’ennesimo condono, il Parco archeologico circondato da un vasto polmone verde può ancora costituire l’espediente per riequilibrare una situazione più che incerta. Proprio per questo, per non sprecare il lavoro svolto fino al 2010, tante associazioni locali qualche giorno fa hanno deciso di riunirsi per manifestare la loro preoccupazione. Nonostante lo spot del sindaco.

07/02/2015 Pompei (NA), giù due pezzi di intonaco (Repubblica)

 

PROBABILMENTE un crollo che non è di ieri, ma a Pompei se ne sono accorti solo nel primo pomeriggio. Due pezzi di intonaco all'esterno della Casa del Centenario si sono staccati per le pesanti piogge dei giorni scorsi. Un rischio che aumenta con il maltempo. L'edificio è nell'Insula ottava, chiuso da trent'anni e inserito nel progetto di messa in sicurezza della Regio IX del Grande Progetto Pompei, la cui gara è attualmente in fase di aggiudicazione. Il primo cedimento riguarda un quadrato di venti centimetri di lato di intonaco che originariamente era di colore rosso, ora quasi del tutto scolorito, all'ingresso della domus, mentre il secondo distacco consiste in due quadrati di dieci centimetri di lato di intonaco grezzo in cocciopesto ed ha interessato un corridoio di servizio della dimora. I frammenti sono stati recuperati in attesa del restauro. Anche in questo caso il danno non è gravissimo, ma sommato a tutti gli sbriciolamenti degli ultimi quattro anni, acquista un peso diverso e preoccupante.
La Schola Armaturarum, il primo crollo consistente della triste vicenda pompeiana, risale al 6 novembre 2010. Per quell'evento la Procura di Torre Annunziata che indagava, emise nove avvisi di garanzia. Ma poi non se n'è saputo più nulla e neppure è stato effettuato il ripristino dell'edificio crollato, che era stato annunciato dalla soprintendenza entro il 2015. Due giorni prima di quest'ultima caduta di intonaci alla Regio IX, dove solo i custodi hanno accesso e hanno potuto per questo constatare il danno, la soprintendenza aveva reso noto lo smottamento sotto il giardino della Casa di Severus, nella Regio VIII.
La Casa del Centenario, ricca dimora del secondo secolo avanti Cristo - come dimostrano le raffinate pitture erotiche e le scene di caccia che la caratterizzano, ma anche il larario e il giardino con piscina ninfeo e fontane - è tra le più grandi di Pompei e occupa un intero isolato. È chiamata così perché la sua scoperta risale al 1879, un secolo dall'inizio degli scavi borbonici, ed è chiusa alle visite dagli anni Ottanta. In cinque anni nell'area archeologica si sono verificati più di trenta crolli. A marzo 2014 se ne registrarono tre in 48 ore ma ce ne sono stati anche nel mese di giugno.

26/01/2015 Nocera Superiore (SA), Il battistero vittima di una... convenzione (La Città di Salerno)

 

«Il Comune si attivi per rilevare la proprietà del Battistero»: così lo storico locale Antonio Pecoraro, a proposito dell'antica struttura di Nocera Superiore. Secondo lo studioso, il restauro del bene sarebbe durato più di 100 anni, perché iniziato nel 1858 e continuato fino al 1999, sempre coperto economicamente da sovrani e organi statali. Lo stesso Pecoraro, negli anni ‘90 ispettore onorario per i Beni culturali su parte del territorio dell'Agro, aveva informato il sovrintendente Francesco Prosperetti del fatto che, dall'Unità in poi, tutti gli interventi eseguiti sul Battistero erano stati realizzati ad opera dello Stato. «Secondo la documentazione prodottasi risulterebbe che lo Stato ha surrogato la Curia nei lavori di restauro e nella gestione. La Curia non dovrebbe esserne proprietaria». Ed è qui che la storia prende una strana piega. Sbuca una convenzione sottoscritta nel 2001 tra il Comune di Nocera Superiore e la parrocchia di Santa Maria Maggiore. Secondo il documento, arricchito dall'assenso di Curia e Soprintendenza, la Parrocchia di Santa Maria Maggiore figura proprietaria del Battistero, mentre Palazzo di Città, all'epoca retto da Gaetano Montalbano, ne avrebbe chiesto "solo" la gestione per promuoverla e inserirla nei circuiti turistici. Secondo la convenzione, il Comune avrebbe avuto il godimento a titolo precario dell'immobile, occupandosi di renderlo fruibile, della sua manutenzione, della promozione tramite guide e materiale informativo: attività andate perse col tempo, lasciando nell'oblio una struttura fondamentale per la storia nocerina e italiana. Lo stesso Pecoraro precisa: «La commissione avrebbe dovuto disciplinarne il tipo di gestione, ma non è mai entrato in vigore quel regolamento. Il parroco e la Curia non hanno necessità di avere la proprietà dell'edificio perché possiedono già la chiesa vicina, terremotata, e ristrutturata dallo Stato. In sintesi, se il Comune non si attiva, perderà il Bene, la cui proprietà gli spetta. Il sindaco tenga conto che è lo Stato ad aver salvato quella struttura che non ha più funzione liturgica». Tuttavia il primo cittadino Cuofano rifiuta di fare muro contro la Curia. «Al di là delle competenze, stiamo lavorando per realizzare un Parco archeologico e abbiamo avviato un dialogo virtuoso con la Curia e la Sovrintendenza, proprio sulla discussione di queste tematiche. Insieme risolveremo il problema». Intanto, La Rotonda – così viene chiamato l'edificio storico – resta inutilizzato, fermo in un caotico passato e in bilico sul ciglio di un ipotetico futuro.

26/01/2015 Pozzuoli (NA), Rione Terra, sul modello di gestione è scontro tra Regione e Comune (La Repubblica)

 

RIONE Terra, il cuore antico di Pozzuoli. Teatro della disperazione dei pescatori che ne abitavano le rovine, sfrattati al tempo del bradisismo. Facciate dai colori squillanti, una piazza intitolata alla memoria del brutto giorno in cui i 5000 abitanti (il 2 marzo ricorrerà il 35esimo anniversario) furono evacuati perché la terra faceva i capricci. Oggi si presenta così Rione Terra, il palinsesto della storia di Pozzuoli, una torta a strati depositaria della grandezza di una città, totalmente dimenticata. Sotto quegli edifici rimessi a nuovo, cunicoli su cui si affacciavano botteghe e granai e persino l'edificio delle terme romane: un pezzo di antichità — la città dei marinai che sbarcavano in quello che era a tutti gli effetti il porto di Roma — che si spalanca, intatta e percorribile, agli occhi dei turisti. Sembra un sogno. E infatti è ancora tale. Manca, per realizzarlo, l'accordo sul modello di gestione che metta insieme Regione, Comune di Pozzuoli, Curia, ministero per i beni culturali e i privati che dovrebbero occuparsi delle cubature in superficie e rendere visitabile il sito archeologico sotterraneo.
Quell'accordo è la tessera mancante del puzzle politicoamministrativo che ha portato in quasi 20 anni, con una spesa totale di circa 200 milioni di euro, alla riscoperta e al restauro di una delle parti più interessanti dell'antico porto di Roma. Due stop ai lavori, fino alla mobilitazione dello scorso autunno, quando cento dipendenti delle imprese edili utilizzate dal consorzio Rione Terra rischiarono il licenziamento. Scongiurato in corner dalla Regione con un accordo di programma e lo sblocco dei 30 milioni per completare i lotti 9 e 10 (il campanile, la canonica della cattedrale e il museo diocesano). I primi 4 milioni sono stati già pagati al consorzio. Il finanziamento complessivo, relativo alla legge 80 del ‘94, era di 61.458.370 euro, di cui 59 già erogati. Ma di apertura al pubblico ancora non si parla: fu prevista per un breve periodo il sabato e la domenica con un biglietto di 3 euro, ma ora Rione Terra è di nuovo sbarrato, anche se il sito del "Circuito informativo regionale della Campania per i Beni culturali e paesaggistici" lo riporta come aperto.
Qualcuno a Santa Lucia parla di Rione Terra come di «un'eredità lasciata a troppi figli». Ai tempi di Bassolino presidente della Regione fu avviato un protocollo d'intesa mai più siglato. «Siamo in attesa di chiudere sul modello di gestione — dice l'assessore regionale al Turismo e ai beni culturali, Pasquale Sommese — per il quale prendiamo a esempio la buffer zone del Grande Progetto Pompei, che dovrebbe valere anche per Carditello ». Buffer zone deriva da un termine usato dall'Unesco per definire «un'area che deve garantire un livello di protezione aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell'umanità », ma nel Gpp rappresenta più una zona "limitrofa" al sito archeologico, che resta invece la core zone. «Come Regione — prosegue Sommese — noi abbiamo già individuato l'obiettivo, ora la Diocesi, il Comune e il ministero facciano la loro parte. Mediante il project financing si dovranno realizzare alberghi e botteghe di qualità. Il Comune propone un concorso di idee internazionale, ma noi crediamo che bisogna partire subito. Si è a buon punto per costruire questo organismo di gestione. Il 2015 è l'anno della svolta». Fin qui, la Regione. L'altro attore della vicenda, il Comune, è su una diversa lunghezza d'onda. Il sindaco Vincenzo Figliolia preferirebbe un modello Colosseo per Rione Terra. «Vorremmo mettere in campo un progetto unico che possa gestire la parte alberghiera turistica con il controllo della parte pubblica. Rione Terra è un resort all'aperto, con tanti piccoli alberghi fino a un totale di 600 posti letto e occorre una gestore, un privato che risolva il problema della produttività. Abbiamo una città ricca di siti, l'anfiteatro, il tempio di Serapide, Cuma: peccato non mettere a reddito tanti beni patrimonio dell'umanità. Il Comune ha recentemente siglato un protocollo d'intesa con la soprintendenza: non avevano personale sufficiente per la gestione e abbiamo messo a disposizione il nostro».
Sono passati 35 anni. Tra pochi giorni, un nuovo anniversario del sacrificio fatto dagli abitanti. Per niente? «Sono in agenda già degli incontri al ministero che si terranno a breve», annuncia il sindaco. Un tavolo aperto a Roma per i problemi di Pozzuoli. «Ma la questione non è semplice — dice Figliolia — la conclusione non avverrà dalla mattina alla sera».

02/01/2015 Napoli (NA), Centinaia di turisti delusi a Pompei. «Selfie» davanti ai cancelli sbarrati (Corriere del Mezzogiorno)

 

«Inutile tenere aperti gli Scavi a Capodanno, arrivano pochi turisti». Il ministro Dario Franceschini è stato smentito dalla realtà. Da quei circa duemila turisti che ieri mattina sono scesi dai loro pullman e hanno trovato i cancelli dell’area archeologica di Pompei chiusi. Qualcuno si è arrabbiato, qualcun altro ha chiesto di poter fare comunque una passeggiata intorno alle inferriate di cinta del sito per sbirciare oltre. Molti altri hanno fatto dei selfie con le rovine alle spalle per poter dire: io sono stato a Pompei. Ma chissà se avranno il coraggio di raccontare ai loro amici che la città romana sepolta duemila anni fa dalla lava del Vesuvio non l’hanno vista. E tutto perché il ministero dei Beni culturali nelle settimane scorse è sceso a patti con i sindacati.
Ma gli oltre trenta pullman turistici arrivati ieri mattina davanti agli Scavi e rimandati indietro hanno fatto esplodere il web di commenti e accuse. E stavolta ad uscirne malconcio è proprio il ministro. Che dopo le polemiche del 25 dicembre, altra giornata in cui gli Scavi rimasero chiusi, disse: «Polemiche estemporanee. E’ una scelta presa con i sindacati e dettata da ragioni di buona amministrazione, dopo aver valutato i dati dell’affluenza». E rese note le cifre: il 25 dicembre del 2013 sono state registrate in tutto 827 persone. Solo qualche turista in più, 889, il 25 dicembre del 2012. Secondo il ministero capodanno non ha mai brillato per biglietti staccati. In tutto 2.350 visitatori nel 2014 e 2.835 nel 2013. «Presenze di fatto troppo contenute rispetto alla media di altri più normali festivi, tali comunque da non giustificare i costi di un’apertura straordinaria». Sarà. Ma la tesi non convince. Il problema non è solo di visitatori, ma anche e soprattutto di immagine. Quella che a Franceschini era stata tanto cara durante il braccio di ferro con i sindacati sulle assemblee che costringevano il sito a chiudere i battenti. «Pompei rappresenta l’Italia. I turisti davanti ai cancelli chiusi sono un danno incalcolabile per il Paese», tuonò. E ora. Facciamo un po’ di conti.
Trenta bus turistici con una media di 50 passeggeri, fanno millecinquecento turisti. Molti altri sono arrivati su minibus provenienti direttamente da Napoli dove in porto era attraccata una grossa nave da crociera. Sono i visitatori che si sono mossi in base a pacchetti già acquistati da tempo. Beffati. Molti altri hanno disdetto la visita in tempo. Testimone di quanto accaduto ieri mattina Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio Patrimonio culturale. «Dopo quello che ho visto - racconta - fuori l’area archeologica di Pompei ribadisco che chiudere gli scavi a Natale e Capodanno è stato inopportuno e che si è persa un’occasione. Le ragioni che hanno indotto il ministro Franceschini sono state clamorosamente smentite. Si era raggiunto anni addietro uno storico accordo con i sindacati e non confermarlo ha comportato la perdita di un prezioso credito per l’’Italia e per un territorio di crisi come quello vesuviano. Inoltre lo stop è stato comunicato solo due giorni prima di Natale, mentre Pompei viene visitata da turisti che accorrono da ogni parte del mondo e programmano cosa fare con largo anticipo».
Poi la proposta: «Sarebbe stato meglio puntare, magari con una domenica gratis in meno, su una peculiarità di Pompei rispetto ad altri musei nazionali, come proposta strategica di promozione con cui incrementare flussi e permettere al territorio di avere ricadute positive in termini economici».