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Comune: BENEVENTO
Sito archeologico: Teatro romano
Ubicazione: Via del teatro romano
Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Avellino
Modalità di visita: Aperto dalle 9 ad un'ora prima del tramonto. Ingresso: 2 euro (1 euro da 18 a 25 anni; gratuito per i minorenni e gli ultrasessantacinquenni)
Cenni storici: La città di Benevento, situata nel cuore del Sannio, zona montuosa e ricca di verde, ha un’antichissima quanto incerta origine relativamente al luogo in cui sorse, alla sua iniziale topografia ed all’impianto urbanistico. Essa risalirebbe almeno all’ VIII o al VII secolo a. C., in base ad alcuni manufatti in bronzo e in ceramica rinvenuti in zona e attualmente visibili nel Museo provinciale del Sannio. Del V secolo a. C., inoltre, sono alcune tombe rinvenute in corrispondenza del centro storico della città e, in particolare, sotto l’attuale piazza Matteotti (scavi del 1865). Per tradizione, la fondazione della città viene attribuita ai greci, a cui sarebbero riferite le immagini del cavallo e di Apollo Maloesis, protettore del bestiame, visibili su alcune monete del IV e del III secolo a.C. Inoltre, una suggestiva leggenda, ripresa dai principali storici dell’antichità, tra cui Livio e Plinio, collega Benevento al mito di Diomede, fondatore della città dopo la distruzione di Troia di cui lo stesso Diomede fu, con Ulisse, l’artefice. Al di là della validità di questa ipotesi resta l’importante dato che può essere desunto e che riguarda il fenomeno delle migrazioni marittime adriatiche verso l’Italia. Vi sono, invece, più attendibili testimonianze della presenza sannitica sul territorio protrattasi dal IV al III a.C. Relativamente all’ aggregato urbano esistono solo delle ipotesi ; tra queste l’attribuzione di un primo impianto del Ponte Leproso sul fiume Sabato ad un’epoca pre-romana e l’idea che la città sannitica sorgesse in località San Lorenzo, impostata sulle strade provenienti dal Ponte Leproso e dal Ponte Maior (Ponte Maggiore). La Benevento sannitica è legata, tra l’altro, al famoso episodio delle Forche Caudine avvenuto nel 321 a.C. nell’ambito delle guerre sannitiche e che la vide teatro dell’imboscata e della resa dei Romani. Pare che proprio a seguito di tale episodio i latini coniarono la denominazione di “Maleventum”. Legata a Roma è anche la prima notizia storica certa su Benevento , datata 297 a.C., quando, al termine della terza guerra sannitica, i Romani si impadronirono della città dopo avervi sconfitti gli Apuli. Poco più tardi, nel 275 a. C., per festeggiare la vittoria ottenuta sull’esercito di Pirro, re dell’Epiro, dal console Manlio Curio Dentato, la città venne ribattezzata con il suo inverso positivo: “Beneventum” e, nel 268 a.C., vi fu dedotta una colonia. Benevento divenne, così, un importante e ricco centro economico legato all’agricoltura e alla pastorizia ed anche le attività commerciali furono favorite dal ruolo strategico conferito alla città dalla via Appia, la strada consolare che, entrando dal ponte Leproso, collegava Capua a Benevento e proseguiva poi per Brindisi. La città, che rimase fedele a Roma durante la seconda guerra punica, nell’86 divenne un municipio e assegnata alla tribù Stellatina. Nel 42 a.C. vi fu dedotta una nuova colonia di veterani e nel 14 a.C., a sottolineare l’importanza assunta, si registrò la presenza in città dell’imperatore Augusto. La città romana fu impostata su un asse longitudinale che costituì il decumano maggiore, avente pressappoco l’andamento di corso Garibaldi, e da numerosi assi trasversali detti cardini tra cui il maggiore corrispondeva all’attuale via Carlo Torre. Pertanto l’impianto topografico fu quello tipico a maglie rettangolari regolari ( 110 metri per 40 metri) che definivano isolati di grande dimensione. L’impianto urbanistico può essere desunto dal tracciato delle vie che attraversavano la città. La più importante era l’Appia, che proveniva da Capua ed entrava in Benevento dal ponte Leproso sul Sabato; poco più a nord correva un braccio della via Latina, che proveniva da Telese sull’altro versante del Taburno ed attraversava il Calore col ponte Maggiore, alle spalle del tempio delle Grazie. Dal lato opposto usciva dalla città l’altro tronco dell’Appia e la via Beneventana. Quindi il decumanus maior convogliava il traffico dell’Appia e congiungeva la via Latina con la via Beneventana. La via Traiana attraversava la città trasversalmente, da nord a sud, secondo il tracciato dei cardini. La città, dalla pianta quadrangolare, aveva i vertici segnati dalle attuali Porta Arsa, Rufina e Aurea e dallo sbocco di Corso Garibaldi in via Torre della Catena. Di tale periodo permangono notevoli testimonianze che hanno permesso di stabilire la tipologia della città romana imperniata intorno a strutture quali il foro, il teatro, le terme ed i mercati che erano ubicati nei pressi dell’antica direttrice Sabato-Calore. Alcuni dei monumenti superstiti sono il Criptoportico dei Santi Quaranta, l’Arco del Sacramento mentre relativamente al Tempio di Iside se ne ignora la precisa ubicazione. Rinvenute, invece, tracce del Tempio di Giove, delle Terme e del Foro. Ma il più famoso monumento dell’epoca è rappresentato dall’Arco Traiano, eretto nel 114 d. C. all’inizio dell’omonima via, con una localizzazione contigua rispetto alla cinta muraria romana. La sua mole, nell’isolamento conferitogli di recente, dopo che per secoli era stato inglobato nella murazione medievale, si erge con una altezza di 15,45 metri, mentre l’arcata raggiunge una larghezza di 8,60 metri. L’opera, di ordine composito, in massi di calcare, è interamente rivestita di sculture in marmo pario, raffiguranti le imprese dell’imperatore e porta una epigrafe commemorativa al piano attico. Altro importante monumento della romanità è il Teatro romano, realizzato al tempo dell’imperatore Adriano ma ultimato, intorno al 200 d. C., sotto Caracalla. Piuttosto ben conservato, esso mostra 25 arcate, parte dei portici superiori, l’ambulacro, corridoi, scale, la cavea, la scena e i piedritti delle tre monumentali porte. Lo sviluppo della colonia condusse alla espansione della città. Infatti già dai tempi di Traiano il centro urbano si era spostato verso la collina, dove sorse un nuovo quartiere, la Regio viae novae, ad oriente della città antica. Ma a partire dal 369, data di un funesto terremoto, cominciò il declino della città di Benevento, cui non fu sufficiente la forte reazione della popolazione che si trovò ben presto a dover affrontare anche le ulteriori devastazioni apportate dalle invasioni barbariche e dalla guerra greco-gotica. In particolare, conquistata dai Goti nel 490, la città fu in seguito liberata, nel 536, dal bizantino Belisario, per poi essere occupata, nel 546, da Totila, che ne distrusse le mura di cinta. Nel 571 fu la volta dei Longobardi, che, con Zottone, fondarono il ducato di Benevento e provvidero ad una consistente opera di ricostruzione con la realizzazione di mura nella parte più vulnerabile della città; queste dovevano andare dalla chiesa dell’Annunziata alla piazza delle Calcare (S. Filippo), a sud del palazzo arcivescovile presso l’Arco del Sacramento. Il ducato si rafforzò talmente da resistere ai tentativi di conquista da parte dell’Imperatore bizantino Costante II, tentativi culminati infine nella sconfitta delle truppe imperiali al passo di Forino. L’ascesa di Beneveno, trasformata in Principato ad opera di Arechi II (758-774), raggiunse il culmine nel corso dell’ VIII secolo e proseguì fino al 1033. E proprio Arechi II fu artefice dell’ampliamento del perimetro delle mura verso occidente secondo un tracciato corrispondente all’attuale via Torre della Catena, mura che furono, in questo periodo, probabilmente dotate di nuove porte il cui numero non costituisce un dato conosciuto. Nella zona racchiusa dalle mura vi fu inclusa una vasta area per l’edilizia popolare che, rispetto al perimetro tracciato ai tempi di Narsete, fu detta “città nuova”, ma che in realtà sorgeva sulla vecchia area della città romana, arretrandosi solo ad ovest (SS. Quaranta) per i successivi riempimenti del fiume Sabato. Le mura medioevali seguivano un percorso che, partendo da Porta Aurea, seguiva via dei Rettori in linea retta verso l’attuale Castello, poi a sud su via Annunziata, incontrando Porta Rufina, via Torre Catena, via Posillipo e ricongiungendosi con Porta Aurea. Intanto il ducato accrebbe la propria potenza con la conquista di Capua e Salerno e con l’espansione del territorio fino ai limiti del Ducato di Spoleto a nord e dei domini bizantini a sud. In analogia a quanto accadde in molte altre città, durante il periodo medioevale, si registrò un abbandono della parte bassa ed una tendenza a spostarsi in zona collinare con un insediamento adattato alla morfologia del terreno ed addensato intorno a poli d’interesse costituiti dai principali edifici del periodo. Rispetto alla perfetta regolarità del castrum romano, la città fu caratterizzata da una certa varietà d’impianto che, nella parte settentrionale del Piano di Corte, ove era ubicata la piazza contornata dagli edifici della corte, si sviluppava seguendo uno schema concentrico. Così come il Piano di Corte era all’interno della cinta muraria nel VI sec., anche l’Arco Traianeo ne fu inglobato divenendo una porta urbica. L’area del Castello, attuale Piazza IV novembre, sposta il baricentro degli insediamenti tardo medioevali verso la Rocca dei Rettori. Largo Castello fino al 926 d.C. era esterno alla cinta muraria e porta Somma, che era un limite della murazione, dal VI al X secolo sorgeva nei pressi della chiesa di S. Giovanni, ad occidente del fortilizio longobardo, lungo Corso Garibaldi. Quando nel 926 la murazione fu ampliata, porta Somma venne spostata nei pressi del fortilizio, nell’area su cui sorse poi la Rocca dei Rettori. I longobardi, inizialmente avversi al Cattolicesimo, seguaci dell’eresia ariana e legati ancora al culto pagano di Wothan, pervennero alla conversione avvenuta nel 663 ad opera del vescovo Barbato, famoso anche per aver ordinato l’abbattimento del principale simbolo dell’eresia e del paganesimo, quell’albero di noce intorno al quale si svolgevano i riti. Le radici, che sopravvissero all’eradicazione, diedero origine o meglio continuità alla nota leggenda delle “Streghe di Benevento”. Tale tradizione, che vanta origini addirittura nell’antichità sannitica e romana, si sviluppò al tempo del culto di Wothan, padre degli dei, e fu alimentata con lo svolgimento di una cerimonia di guerra intorno ad un albero sacro.. Dopo la conversione, la leggenda sostituì ai guerrieri donne malefiche che, danzando freneticamente intorno all’albero, mettevano in pratica banchetti e riti orgiastici cui partecipava il diavolo, in sembianze di caprone. Con l’andar del tempo la tradizione non solo sopravvisse, ma si arricchì di nuovi motivi fino a giungere, in età barocca, alla più nota versione in cui ai riti orgiastici partecipavano oltre duemila streghe ciascuna guidata da un demone che ne era servo ed amante. Si aggiunsero giuramenti e punizioni che si svolgevano al cospetto del Re delle tenebre con scene terribili che si dissolvevano con l’invocazione di Gesù e della Vergine o con le prime luci dell’alba. La risonanza della leggenda fu tale da costituire ispirazione per opere letterarie e musicali. I principali edifici del periodo longobardo furono il Sacrum Palatium, dimora non più esistente del principe e della quale non è certa la collocazione, posta forse tra Porta Somma e la chiesa di Santa Sofia, ed il complesso di Santa Sofia, simbolo della conversione longobarda. Il Santuario, eretto da Arechi II nel 762, comprende una chiesa di modeste dimensioni (diametro di 25,50 metri e altezza massima di 8 metri) ma che costituisce un importante esempio di arte altomedioevale per la sua struttura a pianta centrale con nucleo costituito da un esagono, ai cui vertici sono collocate sei grandi colonne collegate tra loro con archi sui quali si sviluppa la cupola e attorno a cui è un secondo anello decagonale punteggiato da pilastri in pietra calcarea e mattoni, disposti secondo un disegno vario ed originale che crea imprevedibili geometrie e prospettive. Notevoli sono anche gli apparati decorativi e l’annesso monastero delle benedettine con chiostro arabeggiante, con gruppi di eleganti quadrifore con archi a ferro di cavallo su graziose colonnine racchiuse da ampie arcate e tracce di decorazione e divenuto famoso anche come centro di sviluppo della “scrittura beneventana”. L’edificio monumentale che si sviluppa intorno al chiostro costituisce la sede del Museo del Sannio, comprendente una sezione archeologica, una numismatica e una sezione di arte medioevale e moderna con la Pinacoteca ed il Gabinetto di disegni e stampe. A partire dall’ epoca di Landolfo V, il principato iniziò la sua fase di definitivo declino e la città fu oggetto di un’aspra contesa tra i Normanni e lo Stato Pontificio, risolta, nel 1059, con il trattato di pace tra papa Niccolò II e Roberto il Guiscardo. A seguito di esso, per circa otto secoli, Benevento divenne un dominio ecclesiastico messo, però, più volte in discussione da opposizioni interne alla città, nonché dai tentativi di conquista da parte dei diversi re che dominarono il vicino regno di Napoli. Tra questi, vanno ricordati lo svevo Federico II, autore di ben due saccheggi e suo figlio Manfredi. Quest’ultimo intervenne, tra la fine del 1265 e gli inizi del 1266, nel conflitto con gli Angioini, chiamati da papa Clemente IV, e, in particolare, nella battaglia decisiva svoltasi nei pressi di Benevento. Lo scontro, vinto dagli Angioini, vide Manfredi, spoglio delle insegne regali e dell’elmo, lanciarsi nella mischia con pochi uomini fidati per poi scomparire nel nulla. Pochi giorni dopo, a cavallo dell’animale del re svevo, venne arrestato un contadino, che raccontò di averne visto il cadavere nudo, con ferite al capo e al petto, e con accanto il corpo del fedele compagno Riccardo Annibale. Dal racconto di Dante (III canto del Purgatorio) sappiamo che essi, malgrado la scomunica, trovarono una precaria sepoltura <<in co’ del ponte presso Benevento>>, mentre i soldati di tutti e due gli eserciti gli costruirono una <<grave mora>> di sassi quale monumento funebre. Più tardi ad opera di Bartolomeo Pignatelli arcivescovo di Cosenza, su ordine di Bonifacio VIII, il cadavere fu dissepolto, bruciato e gettato lontano, in una valle lungo il corso del Garigliano. Intanto, al termine del sanguinoso scontro, Benevento fu immediatamente saccheggiata dalle truppe angioine. Nel periodo iniziale della dominazione pontificia l’impianto urbanistico di Benevento rimase sostanzialmente invariato se si esclude la sistemazione del quartiere alto di Porta Somma già tracciato e recintato dai Longobardi. Successivamente vide l’avvio un processo di stratificazione urbanistica verticale nell’area corrispondente alle zone del Triggio e del Trescene. L’architettura del periodo si manifestò nella realizzazione di fortificazioni rese necessarie dai continui conflitti che caratterizzarono la dinastia angioina, dal pericolo di incursioni e dalle sommosse popolari. A tal proposito si ricordano le torri tra cui: Turris Dacomari, Torre della Biffa, Torre degli Scannelli e Torre Rufini, Torre Pagano e Torre della Catena, l’unica superstite. Notevole fu l’edificazione di chiese tra cui l’Episcopio e il Duomo. Quest’ultimo, risalente per il suo primo impianto al VII secolo quando fu costruito ad opera del vescovo David, fu oggetto di rifacimento nel secolo IX ad opera del principe Sicone e, nuovamente, nella seconda metà del XII secolo quando ricevette l’impianto a cinque navate. Restaurato ed arricchito nella prima metà del XVIII secolo, fu colpito dai bombardamenti del 1943 e, in seguito, ricostruito. Elementi superstiti ne sono la facciata costruita su due ordini con portali romanici e il poderoso campanile che include marmi romani. Per deliberazione di Papa Giovanni XXII fu inoltre realizzata, nel 1321, la Rocca dei Rettori, imponente edificio posto nel punto più alto della città, verso il quale convergeva la rete viaria urbana. Nota anche con la denominazione di “Castello”, la Rocca viene ricordata anche per aver ospitato molti personaggi famosi tra cui il figlio di Papa Alessandro VI, Giovanni Borgia, nominato duca di Benevento nel 1497, ma ucciso prima di poter prendere possesso dei suoi domini. Il Castello è formato da due distinte costruzioni di cui una, posta a sinistra, è più alta e presenta pianta poligonale, barbacani, bifore ogivali e coronamento a beccatelli. La seconda, rientrante, costituisce la vecchia Delegazione Apostolica, attuale sede dell’Amministrazione Provinciale. Nella Rocca dei Rettori ha attualmente sede la Sezione Storica del Museo del Sannio. Altro luogo importante nel periodo medioevale fu il “pontile aurificum” che costituì il polo intorno al quale l’attiva borghesia mercantile del tempo svolgeva le proprie attività commerciali. Il conflitto franco-spagnolo che vide, nel 1527, Benevento occupata da Carlo V, culminò il 28 febbraio 1530 in una solenne pacificazione in cui fu determinante il contributo offerto dal Cappuccino Ludovico Mura da Napoli. Da allora e a ricordo di tale evento sullo stemma cittadino apparve la scritta “concordes in unum”. Nel periodo rinascimentale a Benevento operarono come governatori illustri personaggi quali Traiano Boccalini, trattatista autore dei “Ragguagli di Parnaso” , Ferrante d’Avalos, marchese di Pescara e marito di Vittoria Colonna, nonché Monsignor della Casa, autore del Galateo. Dal punto di vista culturale l’età rinascimentale fu caratterizzata da un notevole sviluppo dell’attività musicale che ebbe come centro la cappella musicale del Duomo e come figura preminente il compositore Abondio Antonelli. Dal punto di vista urbanistico si iniziò il tracciato di Corso Garibaldi, furono erette nuove chiese tra cui S. Antonio, S. Agostino e S. Anna o del Carmine, edifici quali il Palazzo Magistrale, compiuto sotto il pontificato di Paolo V (1605-1621), e furono inoltre ricostruiti (1570) la chiesa ed il campanile dell’Annunziata. Nel corso del Seicento si registrarono alcune iniziative da parte del governo pontificio che apportarono benefici economici con l’incoraggiamento dell’attività molitoria e la diffusione dell’enfiteusi. La continuità del governo pontificio non fu, però, un elemento totalmente positivo per il benessere della città, anche perché essa cominciò a vedere sempre più diminuito il proprio ruolo politico schiacciato dall’enorme importanza assunta dal vicino Regno di Napoli. A questa situazione si aggiunsero la peste del 1630 ed i terremoti del 1688 e del 1702, che concorsero alla decimazione della popolazione e alla rovina dell’edificato. Alla successiva rinascita della città è legato il nome del cardinale Vincenzo Maria Orsini, vescovo di Benevento e futuro Papa Benedetto XIII, denominato, pertanto, “alter conditor urbis”, rifondatore della città. A lui si dovettero anche iniziative a carattere economico ed assistenziale come la realizzazione di chiese ma anche di un acquedotto, degli Ospedali di San Donato e dei Pellegrini, l’istituzione di un Monte dei Pegni e di un Monte frumentario a favore dei contadini poveri. Nel 1768 si registrò l’invasione della città da parte di Ferdinando IV di Borbone, l’espulsione dei gesuiti e la sottrazione dei loro beni, il tutto favorito dal desiderio di parte della popolazione di vedersi annessa al Regno di Napoli. Poco dopo, però, grazie all’intervento del re di Spagna, Benevento tornò sotto il controllo del potere pontificio. Nel corso del Settecento l’impianto urbanistico non fu essenzialmente modificato se non con la continuazione del Corso Garibaldi e l’ edificazione di importanti e signorili palazzi oltre la costruzione, su resti trecenteschi, della Chiesa di Sant’Anna. Fu inoltre realizzata la Piazza Orsini ricavata sull’area della distrutta Basilica di San Bartolomeo, riedificata dal Raguzzini nel 1729 nella parte alta della città e contenente le spoglie del santo. Dello stesso autore anche la Chiesa di San Filippo, eretta due anni prima. Oltre al Raguzzini operano in quel periodo importanti artisti tra i quali spiccano gli architetti Giovan Battista Nauclerio, autore del Palazzo Andreotti – Leo, e Luigi Vanvitelli, artefice della riedificazione del ponte sul Calore, oggi non più visibile in quanto sostituito, nel 1960, con uno di fattura moderna. Altro illustre personaggio del tempo fu il Cardinale Pacca. Una pianta schematica, ma che fa cogliere con una certa precisione la consistenza e la sistemazione della città, fu fatta eseguire dal Borgia nel 1763. Questa topografia conferma che la città non subì modifiche fino all’Unità d’Italia, racchiusa come era all’interno della cinta muraria costruita a più riprese dai Longobardi dal VI al X secolo. Le porte urbiche erano otto: sul versante del fiume Sabato vi era Porta Castello cioè Porta Somma, la Portella dell’Annunziata, Porta Rufina, Port’Arsa delle Calcare; sul versante del Calore vi erano Porta S. Lorenzo, Porta del Calore detta anche Porta Pia, poi Porta Rettore e Porta Aurea. Alle soglie del XIX secolo, nel 1799, Benevento si trovò a subire una nuova invasione, questa volta da parte delle truppe napoleoniche, a ricordo della quale il generale Championnet fece erigere un albero della libertà, che, però, fu possibile innalzare solo di notte perché, di giorno, veniva continuamente abbattuto dalla popolazione ostile ai giacobini. La collocazione dell’albero era al centro di piazza Orsini nel punto attualmente segnato da un cerchio di marmo. Le ostilità aumentarono quando, a seguito della proclamazione dell’annessione alla Repubblica francese, sancita dal generale Popp, aumentarono le imposizioni fiscali e si verificarono incresciosi episodi quali il furto di parte del Tesoro della Cattedrale e dei beni custoditi nel Monte dei Pegni. Ne conseguì l’insurrezione pubblica e la cacciata dei Francesi, cui fece seguito l’annessione di Benevento al Regno di Napoli. Tale situazione fu di breve durata perché nel 1802 Napoleone restituì la città al papa. Nel 1806, poi, il principato fu concesso al ministro degli esteri Talleyrand che si adoperò per modernizzare la città, la dotò di servizi per l’istruzione e la cultura , creò il nuovo spazio di piazza Santa Sofia (attuale piazza Matteotti), al cui centro la popolazione fece erigere in suo onore una fontana con obelisco. Tale piazza rappresentò in pratica l’unica modifica apportata all’impianto urbanistico, non caratterizzato da ulteriori incrementi. Dopo la sconfitta napoleonica a Lipsia, Benevento, nel 1814, fu occupata dal principe di Napoli, Gioacchino Murat. Ciò provocò una insurrezione popolare, per cui,.ad una breve occupazione austriaca della città, seguì il ritorno di Benevento sotto il dominio papale caratterizzato dall’opera di eccezionali uomini di governo tra cui spicca il nome di Gioacchino Pecci. Futuro papa Leone XIII, il Pecci volle la costruzione della Basilica della Madonna delle Grazie, eretta per assicurarsi la protezione della Vergine dalla dilagante epidemia di colera. Il dominio pontificio, però, minato alla base dalle nuove idee risorgimentali, dalla volontà di sottrarsi a quella sorta di isolamento in cui venne a trovarsi la città e dal desiderio di annessione al Regno di Napoli come possibilità di crescita economica, aveva ormai perso molto del consenso popolare. Tra gli episodi più significativi del periodo vi è un moto carbonaro che, nel 1820, indusse il delegato pontificio ad abbandonare temporaneamente la città, che tuttavia già l’anno successivo, con l’intervento degli Austriaci e nonostante il dilagare delle idee mazziniane e neoguelfe, tornò sotto il governo papale. Dopo l’elezione a papa del benvoluto Cardinal Mastai Ferretti, sull’onda dell’entusiasmo, trenta cittadini offrirono il loro contributo per la prima guerra d’indipendenza Dal punto di vista urbano, la mappa catastale del 1823 (secondo un progetto che doveva vederne la realizzazione per tutti gli stati governati dai Papi di Roma) ha un notevole valore storico, evidenziando che la cinta muraria di Benevento era ancora quella longobarda, non avendo avuto la città una forte espansione edilizia esterna al perimetro di cinta e quindi pressioni alla sua demolizione. Sempre in bilico tra le forze ecclesiastiche ed i suoi oppositori, Benevento ricevette nel 1849 la visita di Pio IX. In quell’occasione, il Pontefice decise l’intervento, più tardi attuato, della ristrutturazione della Porta Aurea che comportò la liberazione dalle mura e l’isolamento dell’Arco di Traiano. Gli eventi che portarono alla unificazione italiana si manifestarono a Benevento con la formazione di un comitato insurrezionale che organizzò la sollevazione cittadina. L’ingresso in città dei volontari garibaldini il 3 settembre 1860 determinò l’abbandono di Benevento da parte dell’ultimo delegato apostolico, monsignor Odoardo Agnelli.
Illustrazione del sito: Il Teatro fu edificato in età Adrianea. Entrando sulla scena vi sono due cippi: sul primo a destra sulla facciata anteriore c'è l'iscrizione che celebra Adriano e che indica l'inizio dei lavori, Adriano istituì un Curator per la sua costruzione e l'edificio venne inaugurato nel 126 d.C. Sul secondo cippo facciata posteriore si celebra Caracalla e si indicherebbe la data di chiusura dei lavori, 200-210 d.c. dopo un ampliamento che è testimonianza della notevole importanza raggiunta dalla città dopo l'apertura della via Traiana.

Il monumento venne recuperato negli anni '20 dall'architetto Roberto Pane che incominciò l'abbattimento di tutta una serie di abitazioni che vi si erano sovrapposte dall'epoca medievale e provvide al restauro delle parti che progressivamente venivano alla luce. Recenti saggi eseguiti nella cripta della chiesa di Santa Maria della Verità costruita sulla sua cavea, hanno rivelato i piani pavimentali originali del teatro in lastre di terracotta e i muri della parodos. Al di sotto di uno di essi sono emerse strutture in opera quasi reticolata, obliterate da un riporto di natura alluvionale avvenuto nel I secolo d.C. che potrebbero far ipotizzare una fase più antica del monumento, riutilizzata in un secondo momento come fondazione dell'edificio di età adrianea.
Del teatro originario si conservano la bassa, la media cavea, parte della summa e undici arcate dell'emiciclo esterno che era costituito da 25 arcate, articolate in tre ordini sovrapposti del quali si conserva l'inferiore di tipo tuscanico e pochi elementi del secondo. La cavea semicircolare è collegata alla scena di cui si conservano le tre porte. Essa è fiancheggiata da due aule, una delle quali conserva ancora la pavimentazione e lo zoccolo inferiore rivestito da lastre marmoree policrome. Dietro la scena si notano tre scalinate che conducono ad uno spazio collocato ad una quota inferiore rispetto al monumento, non ancora oggetto d'indagine. I mascheroni che troviamo sia lungo il viale d'ingresso del teatro che sul Campanile del Duomo (vicino alla finestra) che a Piazza Piano di corte e a vico Capitano Rampone avevano una funzione decorativa ed erano perfettamente riconoscibili e assimilabili alle maschere di cui facevano largo uso gli attori.
Anche l'area circostante il teatro ha dato interessanti risultati in quanto, durante lavori in proprietà private, sono venuti alla luce tracce di pavimenti in mosaico e molti muri in opus mixtum.

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