Cenni storici: |
Su di un’amena collina
che si affaccia ad est sui monti della Lucania e sul Vallo di Diano e sul
golfo di Salerno sorge il caratteristico comune di Buccino. I primi abitanti
dell’antica Volcei furono i Pelasgi Oentri, una popolazione di origine
ellenica che emigrò e si stanziò in questa terra fondando una nuova
cittadina. La tesi della presenza dei Pelasgi in questo luogo è avvalorata
dall’esistenza di alte mura a 400 metri dall’abitato di Buccino, in contrada
San Mauro, formate da alti blocchi di pietra calcarea incastonati con grande
maestria gli uni con gli altri simmetricamente e senza cemento. Su una di
queste mura è stata ritrovata la scultura del simbolo del Fallo o
Turpicolares (come Varrone amava definirlo), tipico oggetto di culto e
venerazione delle popolazione pelasgiche in quanto efficace contro il
malocchio e la sfortuna. I Pelasgi rimasero i possessori di queste terre
fino a quando Tebani e Tiespesi, provenienti da Beozia, li sottomisero. Gli
invasori capitanati da Jolaio di Teasbia, dopo aver attraversato il
Mediterraneo, giunsero in Italia Meridionale insediandosi prima in Sardegna
e poi in territorio campano, e più precisamente a Cuma. Questo popolo seguì
le orme dei suoi predecessori soprattutto in campo agricolo e si dedicarono
al prosciugamento del Vallo di Diano (che allora si presentava come un vasto
lago), al deflusso delle acque nel fiume Tanagro (anticoTanager) affluente
del Sele (antico Silarus). La dominazione ellenica durò ben poco, poiché 200
anni prima della fondazione di Roma, i Sanniti introducendosi nel territorio
come loro alleati unirono le due popolazioni formando il popolo Lucano, ma
non passò molta acqua sotto i ponti che gli elleni vennero soggiogati e
conseguentemente sottratti di tutti i loro possedimenti che divennero dei
Lucani. Molte sono le leggende legate al termine Lucani: c’è chi sostiene
che esso provenga da Lucumone, condottiero dei Sanniti, altri, come
Cicerone, che affermano che la sua derivazione in realtà sia dal latino
Lucus ovvero boschi piantati a mano (tanto sacri alla religione pagana). In
questi anni in territorio Volceiano si generò una situazione di bilinguismo,
perché accanto alla preesistente lingua greca si collocò anche quella osca
portata dai Sanniti. Volcei era la città più importante di tutta la zona,
alla quale erano legati amministrativamente numerosi villaggi limitrofi,
detti Pagi. Questo ruolo centrale della città è confermato dal fatto che
essa, nonostante l’ingerenza politica di Roma in territorio lucano, riuscì a
mantenersi indipendente, conservando il titolo di Municipio e soprattutto
reggendosi su leggi proprie. La sua potenza non durò a lungo, dato che il
potente popolo romano fu capace di sottomettere anche i tanto ribelli
Lucani, i quali persero la loro egemonia e libertà. Le uniche concessioni
che i romani fecero alla più importante delle città federate della Lucania,
fu di lasciarle il titolo di Municipio ed i suoi antichi privilegi, quale il
diritto alla cittadinanza romana, una gestione governativa fondata su leggi
proprie ed infine la possibilità di mandare a Roma i suoi rappresentanti in
occasioni delle elezioni pubbliche. Una volta rotta la confederazione delle
città lucane, i Romani classificarono le città sottomesse più importanti in
alleate e federate, mentre le meno importanti in Prefetture o Vici, ed
infine c’erano i Municipi. Volcei rimase ancora Municipio romano conservando
le sue attività principali (agricoltura, industria, arte) e dando i natali
ad illustri artisti come Otacilio Crasso Marco (nobile volceiano e console
romano nel 261 a.C.), Otacilio Crasso Isto (fratello del primo) e la nobile
famiglia dei Refino. Numerose lapidi e svariati ruderi che tuttora si
conservano hanno permesso di stabilire che l’originaria ubicazione della
città era sulla sommità della collina e circondata da mura fortificate. Il
sito coincide con quello ove oggi si erge Buccino. L’area che va
dall’attuale Palazzo Cocozziello al Palazzo Forcella ed alla piazzetta fino
alla Chiesa Matrice era un tempo occupata da uno splendido tempio dedicato
al Dio Vulcano. Il grande basamento del tempio presenta una cornice basale
ed un resto di colonna è conservato nel Palazzo Cocozziello, mentre nel
largo Forcella troviamo un grande capitello in stile corinzio del diametro
di circa un metro ed un cippo di pietra iscritto. Annibale voleva giungere
in Puglia, scendendo dall’Irpinia ed attraversando il Vallo di Teggiano, ma
fu proprio in questa località che i romani, guidati dal Console Marcello
(intervenuti per bloccare Annibale) ed i cartaginesi si incontrarono o
meglio si scontrarono. Dopo un giorno intero di combattimenti, Annibale non
potendo recarsi a Venosa per il Vallo di Diano decise di imboccare la via di
Colliano. Dopo la grande vittoria di Canne, l’ambizioso cartaginese con il
suo esercito era intenzionato a svernare a Capua e per fare ciò avrebbe
dovuto nuovamente tentare il passaggio per il Vallo, ma questa volta fu più
fortunato, in quanto riuscì nel suo intento anche perché i Volceiani
parteggiarono per Annibale, accogliendo con entusiasmo il presidio
straniero. Sotto i cartaginesi Volcei visse un periodo di decadenza, ma la
breve durata della loro invasione non riuscì ad intaccare il suo antico
splendore, anche perché i Volceiani ritornarono all’ovile romano quasi
subito, consegnando al Console Fulvio la guarnigione straniera. Il Console
fu magnanimo, al punto che decise di non punire il tradito re popolo
Buccinese limitandosi solo a redarguirlo pubblicamente per l’indecoroso
comportamento tenuto. Da quel momento i Volceiani rimasero fedeli ai romani.
Con la caduta dell’Impero Romano molti Comuni persero le loro ricchezze e la
stessa Volcei cadde in un profondo stato di abbandono e si trovò a passare
nelle mani di scaltri conquistatori che se ne trasmisero il possesso,
accaparrandosi non solo il nome, ma anche la libertà di questo popolo, ormai
sottomesso a svariati tributi in denaro. Quel periodo della storia di
Buccino che va dalla caduta dell’Impero Romano al 1300 è avvolto in un
oscuro velo di mistero, dato che non esistono né documenti né altri tipi di
reperti che ci diano informazioni a tale proposito. |
Illustrazione del sito: |
Il centro
antico corrisponde alla parte mediana del moderno paese. Un tratto delle
mura è visibile sul lato settentrionale del Colle. Si sviluppa al di sotto
di via Egitto ed è costituito da blocchi parallelepipedi, di calcare locale,
sovrapposti in più ordini con perfetta isodomia, recanti molto spesso segni
di cava. Il lavoro è tecnicamente inquadrabile nell’ambito delle opere di
fortificazione della fine del IV sec. a. C., ampiamente documentate in
Lucania. La cinta muraria doveva racchiudere un’area di circa 26 ettari e,
da sondaggi compiuti di recente, essa mostra una struttura a doppia cortina
con emplecton in argilla e pietrame. Probabilmente, le attuali Porta Consina,
a ovest, e Porta S. Mauro, a est, corrispondono a due porte antiche, poste
all’estremità del decumano massimo, che dovrebbe corrispondere alle attuali
via Roma e via Quintino di Vona. Sul lato ovest del fornice di porta Consina
è murata una base onoraria capovolta, trovata in contrada S. Paolo. Altre
iscrizioni sono murate: nelle facciate di case, ad esempio sull’angolo
destro della facciata della chiesa di S. Maria Solditta, in via S. Nicola,
di fronte a palazzo Zinno; nel parapetto di un pozzo in via Sacco; nella
torre del Castello, dove un’epigrafe (CIL X 407) fa menzione di numerosi
fundi e quattro pagi, alludendo ad un' articolata strutturazione del
territorio in epoca romana. Da un’iscrizione (CIL X 416) è attestata
l'esistenza di un Caesareum, che qualcuno ha proposto di identificare con i
resti di un edificio incorporato su due lati di una casa privata in via S.
Spirito. Tali resti consistono in un gradino di fondazione di pietra
calcarea (verosimilmente le fondazioni del podio), in frammenti di una
cornice e in una fila di blocchi disposti verticalmente; sul lato ovest
dell’edificio, presso l’angolo, sono riutilizzati uno spezzone di cornice e
un rocchio di colonna. Un’altra epigrafe, rinvenuta al di sotto dei ruderi
del Castello, lascia presupporre l’esistenza di un teatro. In via Canali è
un pavimento a mosaico con tessere in bianco e nero, mentre in via Falcone è
un criptoportico e in via Roma sono stati messi in luce resti di tabernae di
epoca romana. Nel chiostro del convento degli Agostiniani, all’ingresso del
paese, si rileva la presenza di ben 23 colonne, con altrettanti capitelli
corinzi di epoca romana, provenienti da un edificio di culto dell’antica
città romana. Sotto il portico sono visibili altri resti di quello che
doveva essere un tempio pagano oltre a vari cippi sepolcrali, materiali
architettonici e iscrizioni. Tombe e urne funerarie sono state rinvenute
anche nell’area dell’abitato moderno, ma il nucleo più consistente di tombe
fu quello individuato e scavato nella zona che si estende ai piedi della
Costa Santa Maria, e particolarmente nell’area del campo sportivo. Si tratta
di tombe a fossa, con copertura di tegole e con corredi deposti ai piedi del
morto, databili tra l’ultimo quarto del V sec. e la prima metà del IV a. C..
Sono conservati, e in parte esposti, al Museo Provinciale di Salerno. Vi si
trovano vasi a vernice nera e non verniciati, ma soprattutto è significativa
la presenza di vasi propri dell’ambiente lucano, quali le nestorides, vasi
ornati sulle anse verticali da coppie di rotelle e decorati con fasce a
vernice nera, intervallate da fregi di foglie e di palmette. Vi sono anche i
tipici vasi di Oliveto Citra e, soprattutto, crateri a colonnette e
kantharoi decorati con fasce e con motivi vegetali. Numerosi anche i
cinturoni e le fibule di bronzo, oggetti propri dell’ambiente lucano e
sannitico. |