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SCHEDA INFORMATIVA A CURA DI ARCHEMAIL

Comune: ERCOLANO (Na)
Sito archeologico: Scavi archeologici di Ercolano
Ubicazione: Corso Resina - Ercolano
Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli - Ufficio scavi di Ercolano (Corso Resina - tel.081)
Modalità di visita: L'area è accessibile dalle 9 ad un'ora prima del tramonto; il biglietto d'ingresso è di 11 euro (da 25 a 65 anni) e 5,50 euro (da 18 a 25 anni).
Cenni storici:

L’antica Herculaneum era una piccola cittadina posta su un promontorio fra due torrenti ai piedi del Vesuvio. Lo storico Dionigi di Alicarnasso la vuole fondata da Ercole di ritorno dall’Iberia; in realtà non abbiamo certezza sulla sua fondazione. Secondo il Maiuri il sorgere di Ercolano si dovette alla necessità che i Greci di Neapolis e Cuma ebbero di potenziare con una serie di centri minori il litorale. Secondo il Pugliese Carratelli invece la città sarebbe stata fondata dai Rodii, passando in mano agli Osci e poi ai Siracusani. Riguardo all’etimologia del toponimo più antico, Heracleion, G.B. Chiarini (“Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli...”) fa derivare il nome dal fenicio Heracli ossia “terra ardente” ad indicare il territorio vulcanico sul quale sorse la cittadina. Altri fanno derivare il toponimo dal siriaco horh kalie (“pieno di fuoco”) o dal vocabolo etrusco che sta per “vomito di fiamme”. Non esistono al momento testimonianze di un periodo etrusco, ben documentato a Pompei; di sicuro nella seconda metà del V sec. a.C. i Sanniti conquistarono la cittadina. Ribellatasi a Roma ai tempi della guerra sociale, la città venne conquistata da Titius Didius, legato di Silla, nell’89 a.C. Finita l’autonomia politica e divenuta municipio romano, Ercolano si avviò a diventare una tranquilla sede di ville patrizie, talora centri di raffinata cultura come la sontuosa Villa dei Pisoni o dei Papiri. Nel 62 d.C. la città subì una serie di danneggiamenti a causa di un forte terremoto che colpì l’area vesuviana. L’eruzione vesuviana del 24 Agosto del 79 d.C. che seppellì Pompei sotto una pioggia di ceneri e lapilli, sembrò sulle prime risparmiare Ercolano, grazie anche al favore dei venti che spiravano verso Sud. Quando tuttavia il pericolo sembrava scomparso, nella stessa serata, l’enorme massa di materiali eruttati, mista a vapori ad oltre 400° C, si riversò a forte velocità sulla città, seppellendola sotto una coltre che, al termine dell’eruzione, risulterà alta da 9 a 21 metri. La composizione di questa coltre di lava solidificata ha fatto sì che si conservassero in ottime condizioni materiali deperibili come legni, cordami e papiri. Questo è sicuramente l’aspetto più suggestivo dell’archeologia ercolanese.

LA RICERCA ARCHEOLOGICA

Sebbene l’attuale abitato (chiamato Resina fino agli anni ‘70) sia stato costruito su parte della città antica, il ricordo di Ercolano non si era mai perduto nella tradizione dotta locale (un dubbio cenno è nell’Arcadia del Sannazzaro, del 1504). Qualche rinvenimento sporadico si ebbe già nel corso del ‘600. Ma fu solo nel 1709 che iniziò l’identificazione della città antica, quando il principe austriaco D’Elboeuf, generale di cavalleria del Regno di Napoli, facendo scavare un pozzo in una sua villa, s’imbatté nel muro della scena del Teatro: attraverso cunicoli esplorò il monumento, asportando quanto di prezioso gli veniva sotto mano; opere e rivestimenti marmorei finirono così in musei stranieri. Per ordine di Carlo di Borbone nel 1738 iniziarono scavi regolari, servendosi ancora una volta di cunicoli che poi venivano ricoperti. Sotto la direzione dell’ingegnere militare spagnolo Rocco Gioacchino D’Alcubierre, assistito dallo svizzero Carlo Weber e poi da Francesco La Vega si completò l’esplorazione del teatro e della basilica. Tra il 1750 ed il 1765 si esplorò la grandiosa Villa dei Papiri nella quale furono recuperati il prezioso tesoro di sculture bronzee, ora al Museo Archeologico, e la biblioteca dei papiri. Lo scavo si interruppe nel 1766, con buoni risultati per ciò che riguarda i rinvenimenti, ma con quasi nessun contributo riguardo alla fondazione e la conoscenza della città. Tutte le pitture murali, i bronzi e parte dei papiri rinvenuti furono pubblicati in 8 volumi dalla Real Accademia Ercolanese, fondata nel 1755 per lo studio dello scavo. Successivamente gli scavi ripresero, stavolta col sistema dello scoprimento (già in uso da tempo a Pompei), prima dal 1828 al 1837 e dal 1869 al 1875 per impulso di Vittorio Emanuele II° e sotto la guida di Giuseppe Fiorelli. Gli scavi ripresero finalmente dal 1927 sotto la direzione di Amedeo Maiuri prima ed Alfonso de Franciscis poi. A tutt’oggi gli scavi vanno avanti seppure lentamente per permettere l’opera di conservazione e restauro dei monumenti scavati. L’ultima importante scoperta si è avuta tra il 1982 ed il 1983 nella zona dell’antico litorale, in alcuni magazzini antistante la spiaggia; qui sono venuti alla luce una trentina di scheletri, appartenenti a fuggiaschi che tentavano di ripararsi dalla furia dell’eruzione. Fra questi fu rinvenuta la cosiddetta “Signora degli anelli”, uno scheletro sul quale furono recuperati orecchini e anelli d’oro con pietre incastonate, bracciali d’oro a forma di serpente e altri gioielli di ottima fattura. A poca distanza fu ritrovato il reperto che forse, in maniera singolare, riassume la storia della tragedia di Ercolano: la grande barca, lunga 9 metri, carbonizzata e schiacciata al centro, tuttavia in straordinario stato di conservazione.

Illustrazione del sito: L’URBANISTICA

L’area scavata della città raggiunge i 5 ettari, contro i 40 di Pompei, dove però è possibile scavare senza il problema dell’abitato soprastante. Finora sono stati messi in luce due decumani e tre cardini, ma è presumibile l’esistenza di almeno altri due cardini e di un altro decumano, per un’estensione di m.370 x 320 e per una popolazione stimata di circa 4000 abitanti. Tutta la città è divisa in insule: l’insula è l’insieme di abitazioni ed edifici racchiusi da quattro mura (isolato).
Le strade sono pavimentate in lava basaltica, rifacimento risalente al periodo augusteo e, a differenza di Pompei, esse appaiono poco consumate dalle ruote dei carri, probabilmente a causa dell’agibilità limitata per i passaggi angusti e ripidi in discesa verso il mare. Questi sbocchi, per quanto praticabili solo dai muli e dai pedoni, ai quali erano affidati i trasporti delle merci, erano tuttavia di primaria importanza, perché porto e mare costituivano risorse vitali della città. All’epoca il mare lambiva le mura: oggi la linea di costa è avanzata di circa 400 metri per la colmata di fango dell’eruzione del 79 d.C.
In assenza di templi e con ben pochi edifici pubblici finora scoperti, l’archeologia ercolanese è fatta soprattutto di case, dalle più povere alle più lussuose, documentando una varietà di tipi e soluzioni architettoniche di gran lunga più ampia rispetto a quella offerta dalle case pompeiane.

L’ITINERARIO DI VISITA

Il litorale

Si accede agli scavi attraverso una vasta rampa dalla quale si ha una visione globale dello scavo. Dalla piazzola antistante l’antica linea di costa si possono scorgere gli accessi in città attraverso i tre cardini finora scoperti: il cardo III a sinistra, il IV al centro, il V a destra. Fra il cardo III e il IV si può osservare un tratto delle antiche mura urbane a scarpata, alte 2-3 m e costruite in opera a sacco con grossi ciottoli di pietra, del II sec. a.C. Il resto di questo tratto di mura è rivestito dell’opus reticulatum delle case, costruitevi sopra nell’età imperiale, quando ormai le mura non servivano più.
Attraverso un cunicolo si scende sull’antica linea del litorale sulla quale si scorgono una serie di ambienti voltati, forse magazzini che si aprivano sulla spiaggia, nei quali sono stati rinvenuti circa 250 scheletri di fuggiaschi, rimasti intrappolati dalla furia dell’eruzione mentre tentavano di fuggire via mare. A differenza di Pompei dove rimasero soltanto calchi della carne e della vesti degli abitanti, qui le modalità dell’eruzione hanno consentito la conservazione dello scheletro che consente uno studio migliore persino rispetto al riconoscimento del DNA. Lo studio di questi resti ha consentito di individuare, fra gli altri, una donna incinta, un soldato con cinturone e gladio, diversi pescatori. Tra gli oggetti rinvenuti vi sono moltissime lucerne, chiavi, argenterie, gioielli d’argento e d’oro (tra cui orecchini a semisfera ed una catena d’oro massiccio lunga 180 cm), monete, amuleti ed una scatola con strumenti chirurgici.
Dalla parte opposta degli ambienti voltati si può scorgere lo strato di seppellimento alto circa 20 metri.
A poca distanza dai fornici è stato ritrovato il reperto che forse, in maniera singolare, riassume la storia della tragedia di Ercolano: una grande barca lunga 9 metri, carbonizzata e schiacciata al centro, ma in straordinario stato di conservazione. Attualmente il reperto è custodito nell’Antiquarium.
Salendo le scale verso la città si incrocia una terrazza a destra dove sorge un’ara funeraria rivestita in marmo, eretta in onore di M. Nonius Balbus. Sull’iscrizione si legge degli eccezionali onori tributati a tale eroe al quale era stato deciso di erigere una statua equestre (se ne conservano solo i piedi e la testa).
Alle spalle si aprono le Terme suburbane, sovrastate da case e mura, con otto lucernari nel tetto e ampie finestre nei muri perimetrali. Si tratta di terme senza distinzione tra impianto maschile e femminile. Ai lati dell’ingresso sono due ambienti con ingressi indipendenti, destinati ai sorveglianti. Si entra nell’atrio col pozzo di luce sorretto da quattro colonne con due serie di archi sovrapposti. Un corridoio a sinistra conduce al praefurnium. Un altro praefurnium è sulla destra dell’atrio. Si passa poi nel frigidarium, che svolgeva anche la funzione di spogliatoio (apodyterium) con bel rivestimento marmoreo, stucchi ed affreschi del quarto stile. Attigua al frigidarium è la sala di attesa, destinata anche a massaggi, splendidamente rivestita di rilievi a stucco (più resistente all’umidità, rispetto agli affreschi). A sinistra è il tepidarium, occupato quasi interamente da una piscina che conteneva acqua calda: in fondo alla stanza è il piccolo laconicum per le saune, decorato con un mosaico al centro del pavimento. Si ritorna nella sala d’attesa e si passa nel calidarium, dove si conserva il calco della porta con l’impronta della vasca circolare nel banco di fango pietrificato: la vasca è stata ricollocata al suo posto da dove fu trascinata via dalla furia dell’alluvione.
Uscendo dalle terme e passando dall’altra parte della scala si raggiunge un’altra terrazza che ospita un’area sacra con i basamenti di due templi, uno dedicato a Venere, l’altro a quattro divinità (Mercurio, Vulcano, Minerva e Nettuno).
Risalendo la scala in direzione delle mura si entra in città attraverso Porta Marina, giungendo sul cardo V.

Il cardo V

Risalendo il cardine incontriamo sulla sinistra la ricca Casa dei cervi: si entra nell’atrio coperto (testudinato), con un ballatoio al piano superiore, che aveva solo funzione di rappresentanza, poiché tutta questa parte della casa era destinata ai servi. Un corridoio a destra conduce alle cucine. A sinistra invece si accede al criptoportico che cinge il giardino, dipinto con quadretti, raffiguranti scene di amorini che giocano, attributi di divinità, nature morte con frutta: in loco rimangono solo 12 dei 60 originali. Subito a destra è un grande triclinio con marmi pregiati e decorazione in quarto stile a fondo nero. A lato è una stanza decorata a fondo rosso con soffitto ben conservato: in essa è esposta una vasca da bagno bronzea. Retrocedendo, si accede al giardino attraverso un ingresso con un notevole timpano, decorato con un mosaico di pasta azzurra vitrea rappresentante una testa di Oceano e amorini che cavalcano animali marini. Nel giardino sono due tavoli marmorei e le copie di alcune sculture marmoree. Sul lato panoramico del giardino è un oecus o triclinio estivo con resto del bel pavimento, di fronte al quale è una loggia con pergola su quattro pilastri, ai cui lati sono due stanze da riposo panoramiche.
Di fronte alla Casa dei Cervi è l’ingresso alla Casa della Gemma, che si estendeva su due livelli, di cui quello sottostante, anche a causa dei fumi e vapori provenienti dalle terme, era occupata dai servi (qui fu trovata una culla con lo scheletro di una bambina). Da notare l’ampio peristilio con pavimento a mosaico.
Affianco è la Casa del rilievo di Telefo, la seconda per estensione ad Ercolano. In essa fu trovata una ricca collezione di sculture di scuola neoattica. Interessante è l’atrio concepito con le colonne che sorreggono i quattro spioventi e le stanze del piano superiore: si tratta probabilmente di un restauro successivo al terremoto del 62 d.C. Tra le colonne sono i calchi di alcuni medaglioni marmorei (oscilla) puramente decorativi, mentre su una parete è il calco del rilievo marmoreo che dà il nome alla casa rappresentante due scene del mito di Telefo, figlio illegittimo di Ercole. Da notare il tablinio (pavimentato a mosaico), il vasto peristilio ed il salone proteso sul mare pavimentato con marmi pregiati.
Uscendo dalla casa, di fronte, si apre l’ingresso alla Casa della stoffa, piccola e modesta. Risalendo il cardine si incontra sulla sinistra un pistrinum (panificio). Di fronte una caupona con un affresco rappresentante l’oste e Priapo. Affianco è un’altra caupona collegata ad una piccola casa ad atrio della quale si intravedono alcune pitture di quarto stile. Giunti all’incrocio con il Decumano inferiore si incontra una fontana pubblica decorata con una testa di Nettuno fra due delfini.
Svoltando sul decumano inferiore si incontra subito la Casa del gran portale, così chiamata per la presenza del portale a semicolonne, piattabanda e cornicione a mensole di laterizi, con capitelli in tufo ornati di Vittoria (I sec. d.C.), il tutto rivestito di intonaco rosso. Questa casa fu ricavata dallo smembramento della Casa Sannitica (il cui ingresso è sul cardo IV), come si può desumere dalla pianta atipica. A sinistra dell’ingresso è un cortiletto che fungeva da fonte di luce per la casa: ai lati sono pitture di giardino a creare l’illusione di uno spazio verde. Il resto della casa è affrescato soprattutto in quarto stile con splendide pitture, come Sileno che osserva Arianna e Dioniso (nel triclinio) e alcune vedute paesaggistiche (nell’esedra) e di animali (nell’ala e nella diaeta).
Usciti dalla casa si ritorna sul cardo V dove è l’ingresso della Palestra, evidenziato da due colonne: l’ampio vestibolo era decorato con stelle di vari colori. Si accede al vasto cortile cinto su tre lati da un colonnato corinzio, mentre il lato verso il decumano massimo era occupato da un criptoportico. Al centro di questo lato porticato si apre una vasta aula absidata, pavimentata con formelle di marmi pregiati e decorata in quarto stile. In fondo alla nicchia centrale era una mensa marmorea destinata probabilmente alle premiazioni sportive. Al centro del cortile è una vasca cruciforme al centro della quale è il calco di una fontana bronzea rappresentante l’Idra di Lerna, il serpente a cinque teste ucciso da Ercole: a questa parte della palestra si accede tramite un vasto cunicolo scavato all’epoca borbonica. Più a monte è un’altra vasca rettangolare, probabilmente abolita dopo il terremoto del 62 d.C. tramite riempimento di terreno.
Usciti dalla palestra, si risale il cardine e, sulla destra, si incontrano una serie di botteghe strette e profonde con ammezzato adibito ad abitazione. Al n. 5 è una fullonica, mentre al n. 6 è una caupona con quattro dolii di terracotta ed un bancone di vendita. Al n. 8 è l’ingresso ad un vasto pistrinum (panificio) che potrebbe essere appartenuto ad un certo Sex. Patulcius Felix: si notano le due macine in pietra lavica e, a destra, il grande forno sulla cui imboccatura sono due simboli fallici.
Di fronte a questa bottega è la Casa del Sacello di legno, il cui nome deriva dal rinvenimento di un larario ligneo nel cubicolo a lato dell’ingresso.
A seguire è la Casa dell’Atrio corinzio, il cui nome è dovuto all’atrio a sei colonne di tufo e basso pluteo delimitante l’impluvio. Da notare il bel pavimento a mosaico nella stanza a destra dell’ingresso e le eleganti raffigurazioni dei due cubicoli affianco del tablinio.
Di fronte sono altre botteghe. Al n. 9 era la bottega di un vinaio; al n. 10 è un interessante bottega, forse appartenente ad un gemmarius, nel cui retrobottega fu ritrovato uno scheletro di donna su di un letto di legno con affianco un piccolo telaio a mano ed altri oggetti (in loco); al n. 11 è un’altra fullonica; al n. 13 è la bottega di A. Fuferius, con dolii di terracotta contenenti grano, ceci e fave; al n. 17-18 è ancora una fullonica.

Il decumano massimo

Il cardo V sbuca sul decumano massimo, bordato di portici, identificato dal Maiuri con l’area del Foro, poiché finora non è stata trovata una pubblica piazza cinta da edifici pubblici ed amministrativi (si tratta comunque di un’identificazione non confermata).
Sul lato destro il Decumano Massimo è chiuso dal portale di una vasta aula pubblica, forse sede di un collegio, preceduta da pronao a quattro colonne. Affianco sulla destra era un loggiato che consentiva di assistere a spettacoli nel cortile sottostante della palestra.
A monte del decumano sorge un grande edificio (largo m.45, alto m.16) a quattro piani, con botteghe del pianterreno e abitazioni dei bottegai al mezzanino. Porte e finestre, con stipiti e battenti di legno carbonizzati, sono tuttora visibili. Una serie di fori cilindrici, con i resti di grossi pali di legno carbonizzati, scoperti in mezzo all’area del decumano, a m.2,85 di distanza dal porticato, attesta l’esistenza di un portico di legno ad esso antistante, probabilmente in funzione di mercato.
Sul lato sinistro del Decumano sorge una bottega con abitazione al piano superiore. Sono visibili un dolio di terracotta interrato, un armadio di legno, un focolare e la scala lignea per l’accesso al livello superiore.
Segue la Casa del bicentenario, cosiddetta dal fatto che fu scavata in occasione del bicentenario degli scavi: entrati nell’atrio, pavimentato a mosaico, si passa nell’elegante tablinio, decorato con pitture del quarto stile delle quali il quadro centrale della parete destra presenta una rappezzatura in origine gialla, ma che, col calore dei materiali eruttivi, è divenuta rossa. Nell’ala destra è presente un elegante cancello ligneo a due transenne pieghevoli a soffietto (a sinistra è quello originale), destinato a proteggere probabilmente le immagini degli antenati. Al piano superiore si è usata la tecnica dell’opus craticium per la separazione delle stanze: qui fu trovata l’impronta di una croce nell’intonaco con sotto un inginocchiatoio.
Sulla sinistra è la Casa anonima, dal bel tablinio con pavimento in opus sectile di marmi colorati entro un bordo a mosaico. Un tempo questa casa costituiva un tutt’uno con la Casa del Bicentenario e quella del Bel Cortile, ma a seguito della crisi economica-sociale del dopo terremoto del 62 d.C., il complesso fu smembrato.
Si giunge così all’incrocio fra il decumano massimo ed il cardo IV dove è una fontana con vasca in pietra calcarea bianca: le due testate rappresentano rispettivamente Venere nuda che si strizza i capelli ed una testa di Medusa.
Sul pilastro alle spalle della fontana è dipinto a lettere nere un avviso nel quale si invita a non effettuare i propri bisogni in quel luogo pena una multa di una moneta d’argento per gli uomini liberi e di frustate per gli schiavi.
Si prosegue lungo il Decumano dove si incontra sul marciapiede sinistro una bottega, probabilmente di un fabbro. Segue l’ingresso alla Casa del Salone nero, che conserva tuttora gli stipiti e l’architrave di legno carbonizzati del portale, nonché una parte del portone. Il proprietario della casa era l’augustale Lucius Venidius Ennychus come attestato da un archivio di tavolette cerate rinvenute al piano superiore. Sull’atrio si aprono dei cubicoli e la cucina. Proseguendo si accede al peristilio sul quale, a destra, è il salone nero che dà il nome alla casa: è dipinto in tipico quarto stile molto raffinato. Affianco è un bel cubicolo decorato, mentre dal lato opposto sono due ambienti che conservano la decorazione del soffitto.
Usciti dalla casa a sinistra è un’altra bottega con insegna nella quale, in alto, è una figura di divinità identificabile con Semo Sancus, mentre in basso è il prezzario del vino raffigurato con quattro brocche (ad cucumas, da cui deriva il nome cucuma ancor oggi dato ad alcune brocche) alle quali è dato un prezzo variabile da 2 a 4 assi e mezzo. Al di sotto vi è l’annuncio di uno spettacolo che si svolse a Nola: da notare, cosa inconsueta, la firma dello scrittore con la sua provenienza posta fra le lettere L ed A: vi si legge scr(iptor) Aprilis a Capua.
Seguono altre due botteghe e l’ingresso alla Casa del colonnato tuscanico, con belle decorazioni in terzo e quarto stile.
Dinanzi alla casa si apre un grande arco quadrifronte di mattoni, originariamente decorato con marmi, che fungeva da accesso all’area porticata retrostante, non ancora scavata e da alcuni identificata come la basilica.
Il cardo IV

Si torna indietro e si scende per il cardo IV dove, sulla sinistra, si incontra la Casa del bel cortile, che presenta un elegante peristilio su cui si affacciano un triclinio ed un salone affrescati. In essa è esposto un calco di alcuni degli scheletri rinvenuti sul litorale.
A seguire è la Casa di Nettuno ed Anfitrite. Appena entrati, sulla sinistra è la cucina con piccola latrina. Si accede poi all’atrio con vasca marmorea al centro e bel larario in mattoni in un angolo. Alle spalle dell’atrio è un piccolo tablinio con decorazione quasi scomparsa, aldilà del quale è un triclinio estivo con un bellissimo mosaico a tessere di pasta vitrea e cornici in conchiglie rappresentante i due personaggi mitologici che danno il nome alla casa. Interpretazioni recenti identificano la fgura femminile con Venere il cui culto è accostato a quello di Nettuno nell’area sacra sul litorale. A lato del mosaico sono affreschi di giardino con fontane ed un ninfeo con nicchie decorate con mosaico.
Affianco alla casa è un bell’esempio di bottega, della quale è visibile anche il livello superiore che costituiva l’abitazione dell’esercente. Al piano inferiore è da notare il bel tramezzo di legno carbonizzato ed il soppalco con anfore per il vino e per la frutta secca. In fondo è la cucina. Al piano superiore è visibile il piede bronzeo di un letto.
A seguire, al n. 5, è l’ingresso alla Casa del mobilio carbonizzato, dall’impianto classico della casa romana e poi la rustica Casa del telaio, raccolta intorno ad un piccolo cortile porticato. Di fronte è l’acceso alle Terme del foro, di età cesariana, alimentate originariamente da un pozzo fino a quando non venne costruito l’acquedotto del Serino. L’edificio è diviso in due settori, maschile e femminile. Da questo cardo si accede al reparto femminile. Si incontra una sala d’attesa con sedili in muratura. Da qui si passa nell’apodyterium (spogliatoio) con pavimento a mosaico raffigurante un Tritone con timone sulla spalla sinistra, tra fauna marina (delfini, polipo e seppia) e un amorino con frusta. Si passa poi nell’attiguo tepidarium con mosaico raffigurante una rete di meandri e quadrati a motivi diversi (tridenti, falli, anfore, ecc.). Segue il calidarium con vasca per le immersioni e labrum per le aspersioni.
Usciti dalle terme, poco più in basso, sul marciapiede di fronte è l’ingresso alla Casa sannitica, costruita nel II sec. a.C. e smembrata in più parti probabilmente dopo il terremoto del 62 d.C. L’ingresso conserva tuttora l’antico splendore con capitelli di pilastro corinzi di tufo e decorazioni in primo stile sulle pareti e secondo stile al soffitto. L’atrio è a loggia con finto piano superiore e colonne ioniche disposte tra plutei. In un secondo momento le pareti dell’atrio vennero anche dipinte in quarto stile; venne inoltre aggiunto un piano superiore composto da appartamenti indipendenti dalla casa, in quanto raggiungibili con una scala esterna, e da stanze di soggiorno, raggiungibili con una scala interna. Interessante è il tablinio con pavimento ornato con un rosone di rombi, disposti intorno ad una piccola piastrella circolare di rame; agli angoli delle pareti decorazioni con palmette e delfini dipinti.
Si giunge così all’incrocio con il Decumano inferiore. Proseguendo lungo il cardo si incontra sulla destra la Casa del tramezzo di legno, di età preromana, cosiddetta da una sorta di porta di legno che poteva separare il tablinio dall’atrio, conservando l’intimità della stanza: il tramezzo era provvisto di anelli e sostegni di bronzo a forma di rostro per appendervi delle lucerne. A destra dell’ingresso è un cubicolo con mosaico a motivo geometrico e una mensa marmorea sostenuta da una statuetta di Atthis. Le bacheche alle pareti conservano oggetti superstiti della casa, fra cui avanzi di legumi. Alle spalle dell’atrio è il giardino porticato con una parete decorata con una veduta di giardino. Su di esso si aprono alcuni cubicoli ed un triclinio affrescati. Da qui si passa poi nella cucina con adiacente latrina.
Dall’altro lato del cardo è la piccola Casa del papiro dipinto, cosiddetta per un affresco raffigurante un rotolo di papiro, seguita dalla Casa della fullonica, la cui parte anteriore venne adibita appunto a fullonica (tintoria).
Ritornati di nuovo sul lato opposto del cardo, si incontra la Casa a graticcio, esempio completo di una casa di tipo popolare a più appartamenti, costruita quasi interamente in opus craticium, una tecnica edilizia a muri sottili con intelaiatura di legno a riquadri riempiti di una leggera muratura, formata da abbondante calce con inclusi di pietra o terracotta (opus incertum). La parete era poi rivestita da due strati di canne, fissate con chiodi. Il tutto risultava essere un tipo di costruzione economico, ma, secondo Vitruvio, poco solido e facile preda delle fiamme. Questo esempio di casa economica, che sfrutta lo spazio in maniera più razionale, testimonia come Ercolano fosse più aperta alla sperimentazione e alla novità rispetto alla più tradizionale e provinciale Pompei. Dei tre ingressi sulla strada, quello a nord con una scala conduce ad un appartamento indipendente al primo piano (nei cubicoli furono trovati anche i letti), quello centrale tramite un corridoio porta all’abitazione al piano terra, quello a sud accede ad una bottega nella quale è esposto l’argano di legno trovato nella casa ed utilizzato per attingere acqua da un pozzo.
Di fronte è la Casa dell’alcova, risultante dall’unione di due abitazioni originariamente indipendenti. Si accede ad un vestibolo a sinistra del quale è un salone nel quale è l’unico quadretto salvatosi dagli scavatori borbonici e raffigurante Arianna abbandonata da Teseo. Dal vestibolo, attraverso due gradini si accede ad un altro vestibolo più ampio. Da un lato di questo si apre un biclinio elegantemente affrescato in quarto stile. Dall’atro lato un corridoio porta ad un’alcova appartata a forma di sala absidata con semplice decorazione lineare alle pareti.
Si torna sul lato opposto del cardo dove (al n. 16) è l’ingresso della Casa dell’erma di bronzo, cosiddetta per il rinvenimento di un’erma bronzea del probabile proprietario (ne è esposto il calco in loco).
Segue la piccola Casa dell’ara laterizia, il cui prospetto è decorato con zoccolo a stucco bianco con fasce oblique nere. La parte superiore presenta un’iscrizione dipinta a lettere rosse. Il nome alla casa è dato da un larario domestico, ubicato in fondo al cortile, e costituito da un’ara in laterizio di notevoli dimensioni.
Sul lato opposto del cardo si apre l’ingresso principale della Casa dell’atrio a mosaico, cosiddetta per la presenza nell’atrio di un ricco pavimento a mosaico geometrico a tessere bianche e nere. Il nucleo originario della casa comprende l’atrio con un ampio giardino porticato, mentre successivamente, sfruttando il terrazzamento artificiale ottenuto con l’inglobamento delle mura urbane, fu creato il quartiere panoramico; in quest’occasione anche il tablinio, alle spalle dell’atrio, fu trasformato nel cosiddetto oecus aegyptius ossia in una sala di tipo basicale a tre navate di cui quella centrale più alta, con pilastri rivestiti di stucco. Interessante è il giardino, cinto da un triportico finestrato e da una veranda con vetrata sostenuta da un telaio di legno, interrotta da un’esedra centrale, aperta sul giardino per godersi il fresco; notevoli, in quest’ultima stanza, sono due quadri figurati in quarto stile (Il supplizio di Dirce a sinistra e Diana al bagno nuda ed Atteone sbranato dai cani a destra) su bel fondo azzurro. Ai lati dell’esedra sono altri ambienti elegantemente affrescati fra cui un cubicolo a fondo rosso. L’area panoramica presenta al centro un grosso salone e, sulla sinistra, un ambiente con bella decorazione a sfondo bianco sul cui tramezzo è un paesaggio idillico.
Usciti dalla casa si risale il cardo fino all’incrocio con il Decumano inferiore che si segue verso sinistra. Si incontra, al n. 10, una bottega nella quale è esposto l’unico originale esistente di un torchio a vite di legno, utilizzato per i tessuti.

Il cardo III

Questo cardo è l’unico fra quelli scavati attraversato da una fogna destinata a smaltire le acque del foro e quelle di impluvi, cucine e latrine delle case prospicienti la strada (altrove gli scarichi avvenivano direttamente sul basolato). Risalendo il cardo verso destra, si incontra, sul marciapiede di sinistra, la Casa di Galba, di scarso interesse. A destra è l’accesso al reparto maschile delle Terme del foro. Affianco al corridoio d’ingresso è una latrina pubblica. Si accede all’apodyterium (spogliatoio), ambiente di forma rettangolare con pavimento a mosaico e sedili in muratura; nel fondo è un’abside con nicchia per una fontana. Sulla sinistra è il piccolo frigidarium circolare a pareti rosse, con quattro nicchie gialle, sotto la cupola a fondo azzurro con pesci ed altri animali marini dipinti: questi ultimi, quando la vasca era piena, erano riflessi nell’acqua sottostante. Tornati nell’apodyterium si passa nel tepidarium dal pavimento mosaicato con un Tritone tra delfini. La stanza, di forma rettangolare, veniva riscaldata grazie alla presenza di un’intercapedine (hypocaustum) nel pavimento. Infine si passa nel calidarium la cui volta è crollata; l’ambiente presenta una vasca rivestita di marmo per le immersioni ed una piccola vasca (labrum) per le abluzioni di acqua fredda.
Usciti dalle terme si prosegue lungo il cardo III. A destra è una bottega, forse una fullonica (tintoria), oltre la quale è l’ingresso alla Casa dei due atri il cui nome è dato dalla particolare conformazione della casa, avente appunto due atri. Da notare la facciata in reticolato che presenta, sopra l’arco dell’ingresso, una maschera di Gorgone contro la cattiva sorte. Segue l’ingresso della Casa del colonnato tuscanico, risalente al II° sec. a.C., ma rimodernata in epoca augustea con l’aggiunta del peristilio con colonnato tuscanico. Splendide pitture del terzo stile adornano il triclinio e due cubicoli.
Infine si giunge all’ingresso laterale del Collegio degli Augustali, da taluni identificato anche con la curia. L’edificio, ad aula quasi quadrata, ha il tetto piano sorretto da quattro colonne al centro della sala. In fondo è la cella, ricavata in un secondo momento murando le aperture fra le colonne posteriori e la parete di fondo con due tramezzi: essa aveva il pavimento e lo zoccolo di marmo, mentre le pareti, a sfondo rosso cinabro, sono dipinte in quarto stile con quadri raffiguranti Eracle (al centro) con Atena ed Era (a sinistra) e con Poseidon ed Aminone (a destra).
Usciti dall’edificio, di fronte sono gli ingressi laterali di un altro edificio identificato, di recente, con la Basilica. Si tratta di un grosso ambiente rettangolare (metri 16 x 29 circa) esplorato in parte dagli scavatori borbonici. In una pianta del 1754, invece, la basilica viene ubicata sul decumano massimo, di fronte all’ingresso principale del Collegio degli Augustali. Un’identificazione certa potrà aversi soltanto con il prosieguo degli scavi.
Ritornando indietro fino all’incrocio con il Decumano inferiore, si continua la discesa lungo il cardo. Si incontra a sinistra una bottega con dolio interrato ed a destra un termopolio con bancone in marmo.
A sinistra (al n. 3) è la Casa del Genio, il cui nome deriva da un affresco ora perduto. L’abitazione è stata scavata solo in parte. Di fronte (al n. 3) è la Casa dello scheletro, cosiddetta dal ritrovamento di uno scheletro al piano superiore. Essa probabilmente risulta dall’unione di tre abitazioni di forma allungata. Entrati nell’atrio, a sinistra è un ninfeo con la parete di fondo a pseudo-grotta, rivestita con frammenti di calcare rosso con cornici di tessere azzurre. In fondo all’atrio si entra in un oecus triclinare ad abside di fronte al quale è un altro ninfeo a nicchia absidale mosaicata. Interessanti sono i cubicoli, dipinti in terzo stile, affacciati sul cortiletto posto nel quartiere a destra dell’atrio.
Affianco è l’ingresso alla Casa dell’albergo, la più grande della città (2.150 mq.) e perciò ritenuta erroneamente un albergo. Al momento dell’eruzione sembra che la casa fosse in rifacimento probabilmente a causa del terremoto del 62 d.C. Si accede al grosso peristilio con portico su tre lati e pavimento in mosaico. Il giardino risultava leggermente sottoposto. Dal lato del mare erano una serie di sale pavimentate a mosaico ed elegantemente decorate. Passando a destra nell’atrio, si può visitare il piccolo impianto termale costituito da tre stanze decorate con affreschi del 2° stile e pavimentate a mosaici bianchi e neri. Questa è l’unica, fra le case finora scavate ad Ercolano, a disporre di una terma.
Usciti dalla casa, di fronte (al n.2) è la Casa di Argo, cosiddetta da un affresco raffigurante Io guardata da Argo che decorava un’esedra del vasto peristilio e di cui oggi non resta traccia. Sono invece sopravvissute le decorazioni del salone affianco all’esedra, in quarto stile su fondo rosso. Altri quadretti, appena visibili, sono anche nel peristilio minore e nel salone panoramico. A seguire è la Casa di Aristide (al n.1), composta su due livelli. Al livello superiore sono una serie di ambienti ed un loggiato panoramico, mentre al livello inferiore, al quale si accede da una rampa nell’atrio, sono stanze di servizio con una vasca ed un forno.

Il teatro

A circa 400 metri dall’ingresso degli scavi, è l’accesso ai cunicoli che percorrono il Teatro di Herculaneum. I primi cunicoli furono realizzati dagli scavatori del D’Elboeuf nel 1709 per trarre fuori quanto di prezioso vi s’incontrava (marmi, statue, decorazioni, ecc.). Successivi scavi ne hanno permesso di ricostruire la struttura originaria: è di tipo romano con la cavea ornata di statue equestri e con un portico dietro la scena per accogliere gli spettatori nel passeggio durante gli intervalli. La struttura è in muratura di tufo e mattoni. La capienza doveva essere di circa 1400 spettatori. Si scende in una sala dove sono esposti alcuni pezzi marmorei qui recuperati. Un corridoio a sinistra conduce ad un balconcino che affaccia sulla cavea. Attraverso una rampa si giunge invece alla media cavea e, più in alto, alla summa cavea. Si accede poi all’orchestra pavimentata con lastre di marmo e da cui è possibile scorgere la scena. Accedendo alle spalle della scena si nota uno spazio porticato dove due saggi di scavo hanno riportato alla luce l’intera altezza del teatro.

La Villa dei Papiri

A circa un chilometro a nord-ovest degli scavi fu esplorata negli anni 1750-1761 la Villa dei Papiri: essa si trova a circa 20-25 metri di profondità sotto due strati vulcanici: quello del 79 d.C. e quello del 1631. L’importanza di questa villa, la cui fronte misura oltre 250 metri, sta sia nel complesso unitario ed organico della collezione di sculture (58 di bronzo e 21 di marmo) ivi trovate, sia nella biblioteca di 1785 papiri carbonizzati (non dal calore, ma da un naturale processo di mineralizzazione), dissotterrati a partire dal 1752: i primi papiri ritrovati furono creduti pezzi di carbone e buttati via. I testi, scritti su di essi, sono per lo più di natura filosofica, quasi tutti in greco (la maggior parte di essi sono dell’epicureo Filodemo di Gadara), tranne alcuni testi poetici in latino. Al momento dell’eruzione la villa era in fase di ristrutturazione: molti papiri erano infatti fasciati in scorza d’albero e chiusi in casse. In mancanza di dati epigrafici, è arduo pronunciarsi sulla proprietà della sontuosa villa: collegando il nome di Filodemo di Gadara con il programma scultoreo, si è pensato come proprietario a Lucio Calpurnio Pisone, per i suoi stretti legami col filosofo, ma nell’epigrafia ercolanese non vi è traccia di lui. Altra ipotesi propone Appio Claudio Pulcher, cognato di Lucullo, al quale è dedicata una statua nel teatro. La villa è stata interamente riprodotta nel J. Paul Getty Museum di Malibù negli Stati Uniti.
Di recente, attraverso uno scavo che dal litorale degli scavi arriva fino alla villa, si è iniziato un nuovo programma di esplorazioni che ha già portato alla luce alcune sculture.
Situazione attuale: Discreta; alcuni monumenti necessiterebbero di restauri conservativi

IMMAGINI DEL SITO

Villa dei Papiri

 

 

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