Cenni storici: |
Scoperto durante gli
anni Cinquanta, l'antico abitato di Fratte insisteva su una collina nei
pressi del fiume Irno non lontano da Salerno, in quella frangia meridionale
della Campania costiera dominata dal centro etrusco-campano di Pontecagnano,
e dunque in un'area cruciale per il controllo territoriale in direzione del
fiume Sele. Rispetto all'emporio di Pontecagnano, che ebbe un esteso arco di
vita dalla prima età del Ferro sino ad epoca ellenistica, ma che appare
documentato soprattutto dalle sole ed estese necropoli, di Fratte, le cui
ricche sepolture erano note sin dall'Ottocento, è invece conosciuto anche
l'insediamento.
Occupata a partire dal principio del VI secolo a.C., Fratte andò incontro a
un periodo piuttosto fiorente soprattutto al volgere del VI secolo a.C., in
concomitanza con un momento apogeico della presenza etrusca in Campania, ben
consolidata in un ambito territoriale compreso fra la penisola sorrentina e
il fiume Sele nel quale gli Etruschi avrebbero fondato le dodici città (dodecapoli).
Vanno inquadrati nelle maglie di questo fenomeno di occupazione della fascia
tirrenica anche altri centri costieri circumvicini caratterizzati da una
vocazione marittima, quali Castellammare, Vico Equense e Vietri sul Mare,
che assicuravano l'approdo costiero anche alle città situate appena verso
l'entroterra quali Pompei, Nocera e Nola. La notevole quantità di anfore da
trasporto, molte delle quali importate con il loro prezioso contenuto
soprattutto da Massalia (Marsiglia), mostra una spiccata apertura ai
traffici via mare e, nel complesso, l'assunzione di un pronunciato ruolo
nella rete di scambi che in quest'area si svolgevano in epoca tardo-arcaica,
in fase di crescita dopo la nascita di Posidonia (Paestum) all'inizio del VI
secolo.
La compagine etnica e sociale di Fratte doveva essere piuttosto eterogenea,
dal momento che vi convivevano i locali Osci, gli Etruschi e i Greci. Ben
collegata attraverso la valle del Calore al principale polo etrusco del
comprensorio settentrionale, ovvero Capua, e ai centri indigeni situati più
all'interno, Fratte non sembra estranea anche a rapporti di più lunga
gittata con le genti della Basilicata e della vicina Puglia tramite i
percorsi che gravitano sul fiume Ofanto e che da quello si diramano.
Tuttavia dopo la battaglia di Cuma, nel 474 a.C., la sua maggiore apertura
alle correnti commerciali dei centri magno-greci sembrò accrescere
l'influenza delle componenti italiche, mentre la conquista sannitica
introduceva notevoli trasformazioni nell'assetto politico, sociale e
culturale della regione. Le strette connessioni con l'etrusca Capua, da un
canto, e con le fondazioni greche di Posidonia (Paestum) ed Elea (Velia), ne
fecero un centro assai importante per il ruolo di tramite commerciale anche
in ragione della sua strategica positura territoriale. Nella seconda metà
del V secolo a.C. si inaugurerà una fase di progressiva decadenza destinata
a culminare nell'abbandono del sito.
In epoca ellenistica, precisamente nella seconda metà del IV secolo a.C.,
Fratte verrà nuovamente rioccupata e di questa avvenuta rioccupazione sono
testimonianza una serie di importanti edifici i cui tetti erano decorati da
terrecotte architettoniche. La nuova stagione culturale coincide con il
mutato scenario politico sopravvenuto nel frattempo in Campania, a seguito
della dominazione sannitica: di questo periodo sono testimonianza le
imponenti tombe a camera affrescate con le tipiche iconografie e i peculiari
temi del mondo campano-sannitico. Alla metà del III secolo a.C., infine, la
fondazione delle colonie di Paestum, Picentia e, nel 194 a.C., di Salemum
sancisce, come per l'intera area della Campania meridionale tirrenica, la
conclusione della parabola etrusco-italica del piccolo centro. . |
Illustrazione del sito: |
Se il carattere
etrusco-campano di questo centro, rivelato dai corredi funerari delle
necropoli, fu immediatamente riconosciuto dall'archeologo A. Maiuri, a
distanza di pochi anni la conferma della sua appartenenza culturale alla
zona di espansione etrusca veniva dallo scavo che nel 1947 consentiva di
esplorare una quota parte dell'abitato: furono così scoperti i resti di
alcune costruzioni in opera quadrata di tufo, delle fondazioni di un tempio
sulla cosiddetta acropoli, di una torre quadrangolare, di una piccola
fornace, e infine di un tratto di strada con soprastante scarico di
materiali fittili e lapidei, databili fra il VI e il III secolo a.C. Si
venne quindi profilando la possibilità che questo insediamento
corrispondesse all'antica Marcina, ricordata da Strabone (Geografia, 5, 4,
l3: «tra le Sirenusse e Posidonia»), piuttosto che alla città di lma/lmthi,
il cui nome, modellato su quello del fiume Irno, compariva su alcune monete
bronzee ritrovate a Pompei e Nocera. La consistenza delle scoperte degli
anni Sessanta e Settanta, infine, pose nuovamente in predicato l'annosa
questione del nome etrusco del sito, per il quale l'effettiva ascendenza
onomastica rintracciata nell'idronimo Imus (da cui Irna) venne nuovamente
posta in discussione. Alcuni studiosi, per contro, privilegiarono
l'identificazione con la Marcina delle fonti storiche, secondo altri
corrispondente all'odierna Vietri sul Mare.
Quale sia effettivamente stato il poleonimo antico dell'odierna Fratte, il
quadro che la documentazione archeologica ha sinora restituito è quello di
un vivace insediamento provvisto di una sua dimensione e articolazione
urbanistica.
I tetti dei suoi edifici dovevano presentare una decorazione architettonica
policroma la cui messa in opera coincise probabilmente con la
monumentalizzazione degli stessi a partire dalla seconda metà del VI secolo
a.C.: benchè non sia possibile ipotizzare a quali complessi (pubblici o
privati) le terrecotte fossero state destinate, la pregevolezza di alcune
serie di antefisse, destinate a ornare la parte terminale dello spiovente,
indicherebbe la loro appartenenza a un'edilizia di livello medio-alto, come
illustra anche il bellissimo e più tardo disco fittile con scena mitica a
bassorilievo relativa a una delle dodici fatiche di Ercole (Eracle in lotta
con il leone nemeo), che dimostra come ancora durante il IV secolo a.C. a
Fratte esistessero splendidi edifici.
Benchè recuperate da scarichi, si è potuto appurare che i tipi di elementi
di copertura impiegati per abbellire la carpenteria dei tetti di Fratte
erano vicini per ispirazione sia al mondo etrusco che a quello magno-greco,
e che il più antico sistema decorativo impiegato era quello cosiddetto
"campano": esso prevedeva che sul tetto venissero collocate, in relazione
alle varie parti strutturali, antefisse a testa femminile, tegole di gronda
dipinte, lastre di rivestimento (sime) ed elementi decorativi a disco (acroteri)
da porsi sul colmo del tetto a sigillatura dell'estremità del trave
sommitale (kalypterhegemòn). Anche dall'adozione di questo elaborato sistema
aereo traspaiono le connessioni culturali con Capua, e più a settentrione,
con Satrico in Lazio, mentre, sull'altro versante, anche le colonie greche
in Campania (soprattutto Cuma e la foce se Elea/Velia) contribuivano
all'elaborazione dei modelli e alla mediazione di più lontane influenze
tecniche e iconografiche.
Dallo scarico trovato sulla strada in ciottoli sono state recuperate anche
statue in terracotta e altro materiale votivo, in origine certamente
connessi a un santuario in vita tra il IV e il III secolo a.C. compreso: si
tratta di figure intere a grandezza anche prossima al vero e di busti
femminili che rappresentano la stessa divinità titolare del culto e anche le
offerenti a ella devote, non dissimili da tipi rinvenuti in altri centri
della Campania preromana e dell'ltalia meridionale fino alla Sicilia greca.
Non mancano esempi di piccola plastica votiva con immagini di figure
femminili panneggiate sedute in trono o stanti che reggono un porcellino da
offrire in sacrificio a una o più divinità ctonie, forse la coppia Demetra e
Kore cui il dono del maialetto selvatico era particolarmente gradito; e
ancora immagini della kourotrophos, ossia della donna che nutre il neonato,
colta nella naturale gestualità simbolo di floridezza e fertilità.
I primi importanti documenti dalle necropoli di Fratte vennero in luce
intorno al 1930, ma già nella seconda metà dell'Ottocento alcuni fortuiti
rinvenimenti avevano condotto al ritrovamento di lotti di sepolture (tombe a
cassa in tufo e copertura in tegole o a doppio spiovente) in una zona nella
quale erano state impiantate le filande della famiglia svizzera Wenner, che
dal canto suo provvide a far confluire i materiali dei corredi nelle
raccolte archeologiche ginevrine. La topografia delle necropoli, disposte
soprattutto sul lato settentrionale della collina, rivela che in un primo
momento l'insediamento dovette caratterizzarsi per le limitate dimensioni.
Almeno due furono le principali zone destinate alle sepolture in uso nel
periodo arcaico (seconda metà del VI secolo-ultimi decenni del V secolo a.C.),
in concomitanza con la presenza etrusca: scoperte rispettivamente nel 1927 e
a seguito di altre esplorazioni condotte fra gli anni Sessanta e Settanta,
entrambe accoglievano inumazioni in fossa o talvolta in cassa lignea
accompagnate da corredi con materiali etruschi (ceramica di bucchero
"pesante" e vasellame di bronzo), di fattura locale (ceramica con
decorazione a fasce) e di importazione greca (ceramica attica a figure nere
e a figure rosse, per solito in contesti funerari piuttosto ricchi).
Una seconda area cimiteriale, rinvenuta nel 1956, fu allestita sul versante
orientale della collina di Fratte durante la fase sannitica: il nuovo
costume funerario tipico dei Sanniti prevedeva l'impiego di tombe a cassa o
a camera con pareti intonacate, nelle quali vennero deposte anche ceramiche
dipinte di fabbrica italiota. |