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SCHEDA INFORMATIVA A CURA DI ARCHEMAIL

Comune: MASSALUBRENSE (Na)
Sito archeologico: Resti di villa romana
Ubicazione: Località Punta Campanella
Ente di riferimento: Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta
Modalità di visita: Liberamente visibile
Cenni storici:

Nel territorio di Massa Lubrense vi sono testimonianze che fin dal Paleolitico medio le grotte fossero frequentate da piccoli nuclei umani. Di particolare rilievo è la grotta dello Scoglione nella baia del Cantone che ha restituito oltre ad oggetti litici anche resti di cervo, bue e stambecco. Strumenti munsteriani sono invece testimoniati in alcune grotte della Punta della Campanella.
Dell’età neolitica, che rappresenta un momento di passaggio ad una economia agricola, è invece la Grotta delle Noglie, lungo il declivio meridionale di Monte San Costanzo, con ceramica grezza ed oggetti litici.Scarse sono le testimonianze relative all’età del bronzo e all’età del ferro, ma la prossimità degli insediamenti della valle del Sarno non lascia dubbi sulla presenza di popolazioni indigene anche nella penisola (Osci).
In età arcaica è probabile che la penisola sia stata sotto l’egemonia di Cuma, con una probabile presenza etrusca (confermata in particolare dalle necropoli di Vico Equense). Tracce della grecità sarebbero da vedersi nei culti di Athena (il cui santuario era ubicato sull’estremità della Punta della Campanella) e delle Sirene (riguardo al quale sono state avanzate diverse ipotesi mancando qualsiasi traccia archeologica). Allo stesso periodo appartiene anche la Necropoli del Vadabillo, nei pressi della collina del Deserto.
Tra il V e il IV sec a.C. i Sanniti occuparono varie città campane ed anche la penisola. Tuttavia l’elemento greco continuò ad avere un certo risalto visto che continuava il culto di Athena, da quel momento identificata però con Minerva.
All’inizio del III sec. a.C., i Sanniti furono sconfitti dai Romani che quindi si insediarono in Penisola. Sotto Augusto, sul Promontorium Minervae si stabilì un gruppo di veterani.
A partire dal I sec. a.C., e principalmente in età Tiberiana, con il trasferimento della corte imperiale a Capri, la costiera sorrentina divenne luogo di villeggiatura preferito dei patrizi romani che costruirono numerose ville. Di queste si ha qualche indizio attraverso l’esistenza di ruderi (Marciano, punta San Lorenzo, punta della Campanella, isolotto di Isca), di reperti (capo di Massa, Pipiano, Fontanella, punta San Liberatore), di materiali ceramici vari, dolia o anfore (Guarazzano, Villazzano, Pastena) e da toponimi tuttora in uso (Marciano, Marcigliano, Mitigliano, Schiazzano, Villazzano, Nerano, Titigliano, Gaiano, Pipiano, ecc.). A qualcuna di queste ville doveva essere legata la produzione del vino (Mitigliano, Nerano) e probabilmente nell’area di Villazzano doveva trovarsi una zona artigianale per la produzione delle anfore del vino surrentinum.
Di notevole valore artistico ed archeologico è il ninfeo della villa di Pipiano (55 d.C. ca) lungo ben 24 metri. E’ molto ben conservato e comprende una serie di nicchie con mosaici molto colorati in pasta vitrea raffiguranti temi naturalistici e allegorici ricorrenti nella pittura antica.
Poche sono le notizie relative alle necropoli ellenistico-romane, ma esse dovevano essere sparse in piccoli nuclei in prossimità delle ville (p.e. Fossa Papa, Fontanella, San Liberatore, Nerano).
Molti dei reperti ritrovati nel territorio lubrense sono attualmente esposti nel Museo Archeologico Georges Vallet a Piano di Sorrento.

Illustrazione del sito:

L’estremità della Penisola Sorrentina, oggi denominata Punta della Campanella è costituita da un promontorio calcareo che conserva oltre alle bellezze naturali una suggestiva memoria archeologica. Le fonti antiche infatti identificano nella zona il luogo dove sorgeva il Tempio di Athena, uno dei santuari più famosi della costa tirrenica, secondo Strabone fondato dallo stesso Ulisse. E’ quindi probabile che fin dall’epoca arcaica dovesse esistere un importante culto di questa divinità e quindi un tempio.
La sua localizzazione esatta è difficile in quanto il luogo è esposto all’azione distruttiva degli agenti atmosferici; sono pochissime le tracce ancora oggi visibili, ma le citazioni degli scrittori latini e greci, i rinvenimenti ceramici ed epigrafici, le sopravvivenze di alcuni toponimi, hanno fatto sì che la tradizione moderna sia concorde nel ubicare l’Athenaion proprio sull’estremità di questo promontorio.
Il Santuario si trovava quindi in posizione dominante sul canale fra il Promontorio e Capri, passaggio quasi obbligato per chi navigava fra le colonie greche in Sicilia e quelle del Sinus Cumanus (golfo di Napoli), e ciò risponde ad uno dei caratteri di Athena, protettrice dei naviganti. La connotazione marina di Athena è rafforzata dal materiale ceramico rinvenuto, adatto principalmente a libagioni. Ipotizzare un’effettiva presenza greca è alquanto azzardato, ma è probabile che il Promontorio fosse sotto il controllo di Cuma.
Verso la fine del V sec. i Sanniti riversarono dall’Appennino centrale verso le coste dell’Italia meridionale e nel IV sec. anche la Penisola Sorrentina venne occupata. Una conferma è data dall’importante scoperta (1985) del prof. Mario Russo di un’epigrafe rupestre in lingua osca databile al III-II sec. a.C.. L’iscrizione menziona tre Meddices Minervae (magistratura tipicamente sannitica) che appaltarono e collaudarono i lavori per la creazione dell’approdo di levante che conduceva al Santuario. L’immutata consacrazione di Athena conferma che tale culto non aveva subito interruzione anche se aveva assunto ufficialmente il nome che la dea aveva in area sannitica e romana: Minerva.
Dopo le guerre sannitiche la penisola Sorrentina fu completamente romanizzata e i resti più cospicui appartengono a questa fase e più in particolare all’età Tiberiana quando il luogo, abbandonato il culto di Minerva, acquistò una grande importanza strategica essendo l’approdo più prossimo a Capri, sede della residenza imperiale.
Sono tuttora evidenti fra la rada vegetazione, resti di strutture ritenuti pertinenti ad una villa romana disposti su 5 livelli. La terrazza inferiore, dove doveva sorgere l’antico tempio, è attualmente occupata dalla cinquecentesca Torre Minerva. La II terrazza ha conservato i resti di 4 piccole esedre con sedili in muratura, con funzione probabilmente solo decorativa e di sosta. Fra la II e la III terrazza vi è un pavimento in cocciopesto limitato a nord da un muro pertinente probabilmente ad un ingresso della villa. Sulla III e IV terrazza resta quasi nulla ad eccezione di una cisterna e resti di una probabile torre di segnalazione. Sulla IV è anche l’accesso all’approdo orientale con epigrafe sulla parete rocciosa (a 10,50 m slm) e sulla V terrazza si notano una serie di muri paralleli addossati alla montagna.  
Numeroso è anche il materiale ceramico di età romana ed in particolare ceramica comune e a vernice nera, anfore da trasporto, ecc.. Comunque la maggior parte del materiale è stata rinvenuta in superficie visto che non sono mai stati condotti scavi sistematici dell’area per cui si spera che in futuro, concentrando maggiormente l’interesse in questa zona, possano affiorare nuovi e più determinanti indizi per la ricostruzione. 

Note:  

IMMAGINI DEL SITO

 

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