Cenni storici: |
Nella zona ove sorge
l’attuale Mirabella Eclano si sono succedute nel tempo ben quattro città
oltre gli insediamenti preistorici. Testimonianze di questo periodo sul
territorio dell’Antica Aeclanum sono fornite dalla necropoli eneolitica
rinvenuta di recente e situata in località Madonna delle Grazie a tre
chilometri a sud-ovest dell’abitato di Mirabella, lungo la strada che porta
a Taurasi. Essa presenta una serie di tombe a forno o a grotticella con
camera scavate nella roccia tenera. Il ritrovamento ha inoltre consentito il
recupero di corredi funerari tipicamente pastorali con industrie litiche in
selce e abbondante vasellame d’impasto oltre a fondi di capanna, a pianta
circolare, ricavati nel tenero banco tufaceo, anch’essi rimessi alla luce.
La prima delle quattro città fu l’antica Aeclanum o Aeculsanum. Essa prese
origine dal primitivo abitato insediatosi in località Passo in epoca
presannitica intorno al V secolo a.C.. Eclano, situata in posizione
strategica fu poi città sannita. Sembra che Aeclanum sia stata fondata tra
il VII ed il VI secolo a.C., quando un gruppo di Sanniti provenienti dalle
montagne dell’Appennino Molisano, cercarono di conquistare terre più fertili
per sfamare la propria popolazione che era in forte crescita. Aeclanum era
una meta appetibile per gli svariati vantaggi che offriva: terreno fertile,
aria salubre, abbondanza d’acqua e possibilità di controllo delle vie
fluviali dell’Ufita e del Calore. Essa fu ben presto assediata dai Sanniti,
che la trasformarono in un piccolo centro agricolo- pastorale. Conquistata
dai romani che la fortificarono e la eressero a “Municipium” con diritto al
suffragio, fu tra le città più importanti dell’Irpinia, venendosi a trovare
alla biforcazione dell’Appia in via Herdonitana, la strada che portava nell’Apulia
toccando Herdoniae, e in via Aurelia Aeclanensis che portava ad Aequum
Tuticum, attuale Ariano Irpino. La sua posizione strategica e la vicinanza
di Benevento favorì ed accellerò il processo di romanizzazione della
religione, della lingua, dei costumi e delle forme politiche-
amministrative. Durante la guerra sociale, Eclano prese parte alla
sollevazione degli Italici contro Roma per il riconoscimento della
cittadinanza e, nell’89 a.C. fu assediata, presa e saccheggiata da Silla per
aver parteggiato per gli italici. A tale episodio si riferisce la prima
notizia riportata da fonti e segnatamente da Appiano (“Bellum civile” I 51)
da cui, per l’appunto, si apprende che la città era difesa da una
fortificazione lignea (a cui i soldati di Silla dettero fuoco per provocare
la resa incondizionata degli abitanti) Poco dopo le venne riconosciuta la
dignità di municipio romano con diritto di voto, iscritto alla tribù
Cornelia cui era stata assegnata. Primo patronus del municipio attestato da
alcune iscrizioni fu Quinzio Valgo. Con il suo intervento fu costruito il
nuovo circuito difensivo della città con torri, porte e poderose mura, di
cui sono ancora visibili i resti in opera quasi reticolata in corrispondenza
dell’attuale frazione Passo. Eclano ottenne oltre il restauro delle mura
altri privilegi per l’interessamento del suo illustre figlio Mignazio Magio,
antenato dello storico Velleio Patercolo (circa 19 a.C.- circa 31 d.C.), e
che contribuì notevolmente ai successi romani in Campania ed in Irpinia.
Sotto l’imperatore Ottaviano Augusto Eclano fu assegnata alla II Regio
Apulia et Calabria, mentre con Diocleziano fu sottoposta al Corrector
Apuliae et Calabriae. Nel II secolo, sotto l’imperatore Adriano, fu dedotta
una colonia con il nome di Aelia Augusta Aeclanum e divenne il nodo più
importante di una complessa rete viaria che collegava la Campania con la
costa adriatica. A tale periodo risale un complesso di strutture urbane
pubbliche attualmente nella località Grotte di Passo. Altre testimonianze
archeologiche visibili sono un gruppo di abitazioni private, un tratto di
strada lastricata, la tholos centrale del macellum. L’importanza assunta da
Eclano sia come municipio che come colonia fu testimoniata, oltre che dalle
suddette strutture urbane di cui fecero parte anche un anfiteatro ed il
forum pequarium, anche dalla fortuna commerciale di cui godette come mercato
di bestiame e come punto di scambio e di commercio dei prodotti artigianali
ed agricoli. Nella seconda metà del I secolo la città dette i natali a M.
Pomponio Bossulo, di cui fu ritrovato l’epitaffio. Ad Eclano, nel frattempo,
prese consistenza una fiorente comunità di cristiani; la città fu ben presto
sede vescovile ed il più famoso tra i suoi vescovi fu Giuliano di Eclano
(385-450) divenuto tale per la sua eresia pelagiana e per la sua
controversia con S .Agostino. La città, progressivamente abbandonata in
seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente subì la conseguente crisi
economica e commerciale che accomunò i destini di molti piccoli centri
dell’Italia romana. Con l’avvento dei Longobardi Eclano fu compresa nel
Ducato di Benevento, durante le guerre tra Longobardi e Bizantini nella
primavera del 663 fu depredata e distrutta dall’imperatore d’Oriente
Costante II venuto in Italia per combattere i dominatori di Benevento
travolse la resistenza longobarda e sottopose la città al più vandalo dei
saccheggi, il centro non riuscì a sopravvivere alla furia bizantina e gli
eclanesi superstiti trovarono rifugio nelle campagne circostanti.
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Illustrazione del sito: |
Resti
riferibili all’abitato antico di Aeclanum sono visibili nella località
su di un altopiano di forma triangolare con il vertice a sud, accessibile in
antico solo dalla parte opposta, dove passava la via Appia. La struttura
urbana, dai dati ricavati finora, appare di età repubblicana, anche se lo
sviluppo del centro risale al periodo imperiale. Infatti, nonostante i
livelli stratigrafici inferiori rilevino la presenza di frammenti ceramici
del IVI sec. a. C., l’età dell’originario insediamento non è accertabile con
sicurezza: si può supporre che esistesse già, anche se meno esteso, nel
IV-III sec. a. C., epoca alla quale sono riconducibili i reperti più
antichi. Alla prima metà del I sec. a. C. si data il recinto murario della
città, che segue il rilievo orografico dell’altopiano “Monte Grotte” per una
lunghezza di circa 1800 metri, inglobanti una superficie di ben 18 ettari.
Le mura, visibili in più tratti, sono intervallate da torri quadrate e
semicircolari, e presentano uno spessore medio di circa due metri, con un
paramento esterno in opera quasi reticolata e nucleo interno in opera
cementizia. La stratificazione dell’area scavata dimostra, quindi, già dal
periodo municipale, che la zona è interessata da una edilizia pubblica e
privata, ma la pianificazione urbanistica vera e propria è di età adrianea,
come confermano alcuni monumenti pubblici, fra cui l’importante complesso
termale degli inizi del I secolo d. C. scoperto nel settore nord-ovest della
città. Dell’impianto termale, con strutture murarie in opus mixtum, si
conservano il tepidarium e il calidarium con relativa vasca da bagno, alcune
suspensurae, l’apodyterium e il frigidarium, una modesta piscina natatoria,
mentre una serie di contrafforti in opus latericium, sul lato nord, fanno da
contenimento ad uno spazio aperto, con belvedere, sulla valle del fiume
Calore. Annessi alle terme sono una serie di ambienti, sempre di uso
pubblico, che conservano le murature perimetrali, in opera mista, quasi
nella loro originaria altezza, in qualche caso fino all’attacco delle volte.
Nell’area forense, particolarmente significativa è la presenza di un tholus
macelli, di epoca post-adrianea, formato da una serie di pilastri in opus
vittatum, da cui si accedeva ad alcune tabernae disposte intorno ad una
platea circolare con sottostante impianto di canalizzazione idrica . Ad est
del mercato doveva trovarsi un altro edificio pubblico, forse il teatro ,
come sembrano testimoniare i ritrovamenti nel secolo scorso di cornici,
lastre marmoree di rivestimento e pavimentazioni musive policrome. Gli
ambienti della casa, il cui impianto originario viene datato tra I e IVI
secolo d. C., sembrano essere dislocati su piani diversi, forse per aderire
alla pendenza del terreno, che in questo punto della città doveva essere
piuttosto scosceso. Altri ambienti ubicati a nord e a sud sono, forse, da
riferirsi ad ambienti di rappresentanza. In una fase successiva la casa
sembra cambiare destinazione d’uso nei suoi ambienti orientali e nello
stesso peristilio, dove si costruiscono pozzi e apprestamenti per produzioni
artigianali. A sud-est di questa “casa con peristilio” è un’altra strada
lastricata con basoli che, come quella posta ad ovest della domus, ha
andamento nord-sud. Quest’ultima è limitata ad est da un lungo ambiente
absidato con paramento in opus mixtum del I sec. d. C. Sempre a nord della
“casa con peristilio” sono una serie di altri ambienti, in alcuni dei quali
sono resti di una fornace in cocciopesto e vasche di sedimentazione del V-VI
secolo d. C. A pochi metri a sud del peristilio, furono scoperti, alla fine
degli anni Cinquanta, i ruderi di una basilica paleocristiana risalente, con
molta probabilità, nel suo impianto originario tra la fine del I e gli inizi
del V secolo d. C. Dai resti visibili si rileva che l’edificio doveva avere
tre navate e, forse, un portico sul davanti, preceduto da un'area aperta
dove è stato rinvenuto un fonte battesimale per il rito ad immersione con
pianta a croce greca. All’interno della navata centrale era un coro absidato
provvisto di un pavimento a mosaico. La costruzione dell’edificio porta alla
sistemazione dell’area obliterando la precedente organizzazione di epoca
romana. A quasi 4 metri al di sotto del piano d’uso della basilica sono
stati messi in luce tre ambienti, pertinenti ad una domus del I sec. d. C.,
con murature in opera laterizia e opera mista. Nell’ambiente a nord, quello
di maggiore ampiezza, il muro di fondo è conservato per un’altezza di circa
un metro ed era rivestito da intonaco di colore giallo ocra, con
ripartizioni geometriche in rosso e bruno. Questo stesso ambiente era
provvisto di un pavimento in cocciopesto, arricchito da crustae marmoree
policrome. Prospiciente una strada basolata, con andamento da nord a est, si
rileva un’unità abitativa provvista di peristilio sostenuto da colonne in
laterizio coperte di stucco che, al momento della scoperta, era dipinto con
decorazioni floreali. Nella zona centrale del pianoro è il quartiere
abitativo, esteso per oltre 2000 metri quadrati, racchiuso da tre tracciati
stradali, due dei quali, incrociandosi, formano una sorta di insula con lato
di 50 metri.
Poco lontano dagli scavi, in seguito ai
lavori di restauro di palazzo Angrisano, sono venuti alla luce i resti dell'
antica via Appia. Si tratta, nella fattispecie, di un piccolo tratto di
strada lastricata, realizzata in pietra calcarea ad opus incertum.
Durante lavori di sistemazione dell’area
della chiesa del SS. Rosario di Pompei, nella stessa frazione Passo, sono
stati messi in luce resti di un grosso edificio pubblico extraurbano, del
I-II secolo d. C., interpretato come un atrium o un forum. “Dell’impianto
dell’edificio sembrano riconoscibili due fasi edilizie ben distinte. Alla
prima fase sono ascrivibili i muri perimetrali sud, est e ovest di tre
grandi ambienti contigui, ma non comunicanti tra loro. Il più grande di tali
ambienti, ad ovest, ha forma quadrangolare, con il lato di oltre 10 metri;
quello centrale ha forma quadrangolare; il terzo, più piccolo, ad est, è
alquanto allungato. In questa prima fase l’ambiente quadrangolare era
fornito di un vano di passaggio a sud che lo collegava con un’area non
edificata, forse tenuta a giardino. I muri sono provvisti di paramenti in
opera mista con specchiature in reticolato e ricorsi in mattoni. La seconda
fase dell’edificio è contrassegnata da una spiccata monumentalizzazione
dell’area. I muri perimetrali rimangono gli stessi, ma i tramezzi che
separano i due ambienti rettangolari vengono abbattuti per realizzare un
unico ambiente che, con l’occasione viene rialzato e pavimentato con grossi
blocchi rettangolari di calcare bianco. Si è inoltre rinvenuto il vano di
entrata ovest con soglia in cui sono evidenti i segni dei cardini del
portale”.
Resti di un'importante arteria stradale,
larga circa 6 metri (20 piedi), lastricata con pietre di calcare,
identificata con la via Appia, è stata rinvenuta sempre a Passo durante
lavori di splateamento. Ai lati della strada erano ubicati, in lunga serie,
tombe e monumenti funerari pertinenti alla necropoli orientale della città
romana. Vi è stato, fra l’altro, rinvenuto un cippo, della seconda metà del
I sec. a. C., con l’epigrafe di un liberto della famiglia dei Fannii che
rivendica lo spazio acquistato per il suo sepolcro. Tra le evidenze più
antiche ci sono i resti di fondazione di un monumento funerario, che ricorda
i mausolei con esedra. La necropoli sembra essere stata frequentata in epoca
medio-imperiale, periodo a cui appartengono alcuni blocchi con iscrizioni
del II-III secolo d. C. Allo stesso periodo risale un sarcofago di calcare,
con parti lisce e coperchio a doppio spiovente con acroteri sbozzati.
L’ultima fase d’occupazione della necropoli è attestata dalla presenza di
piccoli recinti funerari, nei quali erano scavate le deposizioni a gruppi di
due o tre. Dalle tombe provengono pochi oggetti di corredo pertinenti per lo
più all’ornamento personale e qualche moneta di bronzo della metà del IV
secolo d. C. L’utilizzo della necropoli fu abbandonato definitivamente nel
VII secolo.
La necropoli rinvenuta in località
Madonna delle Grazie, lungo la strada Mirabella-Taurasi, rientra nella
cosiddetta corrente culturale "del Gaudo" (III millennio a.C.). La necropoli
è costituita da una serie di tombe del tipo “a forno” con camera sepolcrale
ipogea, a cui si accede attraverso un vestibolo a forma di pozzo circolare.
Le tombe sono scavate nel banco di tufo tenero, ad una profondità variabile
intorno ai due metri, e si presentano chiuse all’ingresso da un lastrone di
tufo disposto verticalmente. Di pianta ellittica all’interno, la camera
sepolcrale ospitava una o più deposizioni di inumati, i cui scheletri sono
stati trovati prevalentemente in posizione rannicchiata o supino-retratta.
Dalle tombe, contenenti sepolture anche multiple, si sono recuperati corredi
funerari, tipicamente pastorali, con industrie litiche in selce (punte di
freccia, lame, pugnali) e abbondante vasellame d’impasto. Fra il gruppo di
tombe soltanto una, la cosiddetta “tomba del capo tribù” (ora ricostruita
nel Museo Irpino di Avellino) era a deposizione singola: l’inumato era stato
sepolto, con accanto il suo cane, in posizione rannicchiata, con ricco
corredo di vasi e di armi. Si sono rinvenute brocche sferoidali con anse a
nastro, pugnali in pietra, cuspidi di frecce, raschiatoi e pugnali di rame
ed una piccola ascia enea. Uno scavo del 1972 ha portato alla scoperta di
una nuova tomba, a due celle a pianta ellissoidale chiuse ognuna da una
lastra di tufo. All’interno delle cella si sono rinvenute ossa umane e punte
di freccia. In prossimità dell’area delle tombe eneolitiche sono stati messi
in luce fondi di capanna, a pianta circolare, ricavati nel tenero banco
tufaceo, con lunghi dromos di accesso. |