Cenni storici: |
Poco lontano dall’odierno comune di Mercato
San Severino, sulle pendici dei colli ed alle radici del monte Tauro si
estendono le sette frazioni di cui oggi si compone la città di Montoro. Fino
alla prima metà del XIX secolo esso era un tutt’uno con il comune di Montoro
Inferiore. Le origini di questo paese si perdono nella notte dei tempi. Come
dimostrano alcuni ritrovamenti di natura archeologica avvenuti negli ultimi
decenni, le prime presenze umane su questo territorio risalgono al periodo
compreso tra il Paleolitico ed il Neolitico. Nei pressi di piazza Pandola è
venuto alla luce altro materiale attestante l’esistenza della remota
popolazione degli Abellinates, tra i resti più importanti ricordiamo: una
lapide con dedica all’imperatore Giordano ed alcuni sparuti brandelli
dell’acquedotto Claudio Fontis Auguster Aquaeductus. Nel 560 una colonia di
Romani si stabilì inizialmente nella vicina Salerno per poi ampliare i
propri domini fino alla terra di Montoro. La scoperta in contrada San Pietro
a Murillo (nelle immediate vicinanze dell’antico abitato), di sepolcreti in
tufo contenenti resti ossei, armi, monete e lucerne, ha dato un ulteriore
testimonianza della presenza dei Romani in questo territorio. Con la caduta
dell’Impero Romano, Montoro fu occupata dalla popolazione barbarica dei
Goti, che dopo una sanguinosa battaglia furono scacciati dall’armata
bizantina. Non si sa se durante la breve dominazione ellenica il paese
esistesse già, ma è certo, però, che questa contrada fu sottoposta alla
signoria dei Longobardi, come territorio sia del Ducato di Benevento che del
Principato di Salerno. Quando i Longobardi giunsero a Montoro si trovarono
dinanzi una terra già abitata da popolazioni selvagge. Così com’è riportato
nella Cronaca Cavense di Pietro Abbate, i conti longobardi vollero qui
l’edificazione di svariate abitazioni e casolari che in pochi anni si
moltiplicarono fino a creare un vero e proprio borgo fortificato, con il suo
eminente castello e la sua piccola chiesa. Il Codex Cavensis Diplomaticus
riporta una delle prime citazioni della città, contenute in un atto
ufficiale con il quale Sighelcaita, moglie di Giovanni, principe di Salerno,
dona molti dei suoi possedimenti alla chiesa di Santa Maria di Salerno. Fra
i beni offerti ritroviamo anche la Curte nostra de locu Muntorum: descritto
come un territorio coltivato circondato da alte mura fortificate. Un
manoscritto del 1004 ci ha permesso inoltre di stabilire che a quel tempo
Montoro faceva parte del Gastaldato, cui era preposto Drogone; mentre nel
1012 fu dichiarato contea e concesso a Landone, alla morte del quale
subentrò il figlio Drogocaro. A causa della mancanza di notizie certe non è
stato possibile stabilire la serie di conti che dopo Drogocaro, si
susseguirono nel possesso di Montoro. Da un diploma del 1075 risulta che in
quegli anni il proprietario del castello era il normanno Raeli. Il maniero
di Montoro viene menzionato in tanti altri documenti come la città in cui
Gisulfo, ultimo Principe di Salerno, si rifugiò a seguito dell’assedio di
Salerno (giugno 1076) da parte di Roberto il Guiscardo, ex marito di
Sighelcaita, sorella di Gisulfo. Con l’avvento dei Normanni il feudo passò
prima al cavaliere Turgisio De Rota (a titolo di donazione fattagli dal
Guiscardo) e poi a Ruggiero Sanseverino, figlio del suddetto Turgisio. Con
il passare del tempo le abitazioni continuano ad espandersi a vista d’occhio
fino a creare, in piena epoca angioina, nove veri e propri Casali. Estintosi
il dominio longobardo, Montoro entrò a far parte del Giustizierato di
Principato e Terra Beneventana, nel 1284 diviso da Carlo II d’Angiò in due
parti: il feudo di Montoro che in precedenza era incorporato alla provincia
di Caserta, passò al Principato Citra serris Montorii, mentre quello facente
parte del Ducato di Benevento fu inserito nel Principato Ultra serris
Montorii. |
Illustrazione del sito: |
Un grande
riparo sottoroccia di epoca mesolitica è stato individuato nella seconda
metà degli anni Settanta nella frazione Aterrana ai piedi di un ripido
costone roccioso situato nel vallone Cardellito e denominato Balzi del
Guacci dal nome del suo scopritore. Il deposito antropico, indagato solo in
parte, ha restituito una complessa stratificazione di focolari con
alternanze e facies di abbandono stagionali da parte di cacciatori
seminomadi del periodo post-glaciale. Dai livelli di frequentazione si sono
recuperati resti di industrie litiche in selce ed in calcare siliceo di
natura microlitica ascrivibili alla Cultura Tardenoisiana tipica del
Mesolitico. Si tratta di microbulini, punte foliate, raschiatoi,
perforatori, lame, lamelle e numerose schegge. Evidenziate tracce dei
focolari da cui provengono resti di pasto subfossilizzati e in parte
combusti con ossa di cervidi.
Nella frazione Torchiati sono stati
rinvenute tracce di un insediamento capannicolo del Neolitico antico da cui
si sono recuperati strumenti litici in selce e frammenti ceramici d’impasto.
Sempre nella stessa frazione si ha notizia del ritrovamento nel XVI secolo
di sei lapidi con iscrizioni di epoca romana in cui si fa menzione della
“Colonia Veneria Livia Augusta Alexandriana Abellinatum”. |