Cenni storici: |
I primi abitanti di
questa terra sono riconducibili ad una comunità che si costituì tra il VII
ed il III secolo a.C. intorno al lago d’Ansanto. Qualche anno fa in questo
sito è stato localizzato l’importante Santuario della Dea Giunone Mefitide,
protettrice dei raccolti, delle greggi e dagli animali predatori come i
lupi. Il culto veneratorio di Mefite era legato alle caratteristiche
naturali del luogo, sede di un laghetto vulcanico che ribolle per la
presenza di anidride carbonica e di acido solforico nel sottosuolo. Nel
corso di alcuni scavi sono venuti alla luce numerosi reperti che attestano
la presenza di un insediamento stabile almeno dal V al IV secolo d.C. : ex
voto in bronzo e legno, rilievi funerari, bronzetti raffiguranti l’Ercole
Italico (IV- III secolo a.C.), iscrizioni e svariate monete antiche
testimonianza della provenienza dei fedeli e dell’ampia adesione al culto
della Mefite. Sulla collina di fronte al lago, è stata ritrovata una
struttura porticata che molto probabilmente era riferibile al periodo romano
del Santuario. In realtà l’attuale Rocca è di fondazione longobarda.
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Illustrazione del sito: |
La località costituisce senza dubbio uno
dei luoghi più suggestivi e di intensa frequentazione nell’antichità per la
presenza di un laghetto naturale, noto per le sue venefiche esalazioni. Il
laghetto ha un perimetro di circa 40 metri e una profondità non superiore ai
due metri, nel quale l’acqua ribolle per lo sprigionarsi di anidride
carbonica e acido solforico. Identificato dagli antichi popoli italici e
dagli stessi Romani come una delle porte dell’Ade, la zona è stata descritta
da Virgilio nell’Eneide e da altri famosi scrittori latini. Scavi compiuti
negli anni Cinquanta hanno portato alla scoperta del deposito votivo di
quello che viene generalmente considerato come il santuario federale degli
Hirpini, ubicato proprio ai margini del laghetto vulcanico, asciutto
d’estate e ribollente d’inverno. L’imponente mole di materiali, allora
recuperata e attualmente conservata nella sala V del Museo Irpino di
Avellino, costituisce ancor oggi una delle più ricche e interessanti
testimonianze della cultura figurativa italica, offrendo un panorama fra i
più vasti e completi sui processi di maturazione artistica dell’artigianato
sannitico, dall’età tardo-arcaica fino alle soglie della romanizzazione.
Numerose le statuette fittili raffiguranti diverse divinità, tra cui Eracle,
Afrotide, Eros, Atena, Era in trono, Artemide e offerenti con cinghialetto o
con patere, figure muliebri con bambini o guerrieri italici con corazza
anatomica. Il rinvenimento più importante è costituito dal gruppo di
sculture lignee, a figura umana, a forma di erme o pseudoerme, vicine
tipologicamente a quelle rinvenute a Palma di Montechiaro, in Sicilia,
sempre in una sorgente sulfurea. Le campagne di scavo, condotte agli inizi
degli anni Settanta dalla Soprintendenza Archeologica di Salerno, hanno poi
portato all'individuazione, sulle pendici nord-occidentali della collina di
Santa Felicita, di una cospicua parte del santuario riferibile alla prima
metà del I secolo a. C. Il complesso archeologico rilevato, tra cui si
segnala la presenza di un piccolo e rudimentale altare di sagoma
rettangolare, stando alle sequenze stratigrafiche e alla varietà dei
materiali associati, soprattutto ceramici, indica una successione di tre
distinte fasi cronologiche che dalla tarda età repubblicana giungono al IV
secolo d. C. Lavori di ristrutturazione vengono eseguiti sull’edificio a
partire dalla prima metà del I secolo a. C., con la messa in opera di un
pavimento in grosse tegole rettangolari sistemate perpendicolarmente ad un
grosso muro di terrazzamento, costruito a secco, che corre lungo l’asse
est-ovest per una lunghezza di circa 23 metri, formando così una sorta di
lungo corridoio. All’estremità occidentale di quest’area si segnala la
presenza di un grande edificio porticato, del quale si sono messi in luce
parte della struttura perimetrale est ed un lungo muro di fondo, in cui sono
inseriti tre plinti in pietra, uno dei quali conserva un frammento di
colonna in laterizio. Edificato in opera cementizia, l’edificio è orientato
sull’asse NE-SW, asimmetrico rispetto al lungo corridoio pavimentato con
tegole fittili. Quest’ultimo doveva fungere da percorso di collegamento
dall’edificio porticato al nucleo centrale del santuario, da localizzare in
un’area pianeggiante situata a nord-est delle strutture finora scoperte. Il
territorio dell’odierno comune è sottoposto, tra il 124 e il 123 a. C., a
centuriazioine, come testimoniano due cippi graccani, rinvenuti,
rispettivamente, nelle località Costa Diana e Sterpaie ed oggi nel Museo
Irpino di Avellino (vi si ricordano i magistrati Marco Fulvio Flacco, Gaio
Papirio Carbone e Gaio Sempronio Gracco). In località S. Felicita è visibile
l’iscrizione funeraria CIL IX, 1027. In contrada Carmasciano venne scoperta
nel 1925 una tomba della primissima età imperiale con iscrizione menzionante
un duovir iure dicundo. Aree di frammenti fittili si rilevano in varie
località, ubicate nei dintorni dell’odierno nucleo urbano. |