Cenni storici: |
Posta alle pendici
meridionali del massiccio vulcanico di Roccamonfina, la città di Sessa
Aurunca ha le sue origini nell’antica Suessa, città sorta probabilmente sul
luogo di un insediamento protostorico dell’antica stirpe degli Ausoni o
Aurunci. Tale popolo, difatti, elesse il sito proprio centro più importante
dopo aver subito la distruzione della città di Aurunca operata dai Sidicini
di Teano e dai Latini, alleati con Capua e con Roma, nel 337 a.C.
Testimonianze di tale fase storica sono state fornite dal ritrovamento di
tombe e suppellettili funerarie risalenti ai sec. VIII e VII a. C. Dopo che
gli Aurunci furono sconfitti nel 340 e nel 315 a.C. la città di Suessa,
entrò a far parte dell’orbita romana. Nel 313 a.C. ricevette una colonia di
diritto latino con l’immissione di 6000 coloni a sostituzione della
declassata popolazione del luogo. Questo evento le conferì, comunque, una
notevole autonomia e indipendenza sicché dispose di proprie leggi e
magistrati ed acquisì diritto di conio. La città, difatti, dispose di una
propria moneta, denominata “suesano” su cui vennero raffigurati Apollo ed
Ercole, il nume tutelare. Intanto la città cominciò ad assumere una propria
configurazione urbanistica condizionata dalle particolarità orografiche che
erano caratterizzate da una forma allungata della dorsale collinosa e dalla
presenza, ad Est, di un torrente. L’area urbana, racchiusa da mura in opera
quadrata, fu articolata in una serie di terrazzamenti ed organizzata secondo
uno schema ad isolati rettangolari con larghezza costante e lunghezza
variabile il cui orientamento fu determinato dalla presenza di un asse
longitudinale principale (corrispondente all’attuale corso Lucilio) e dalle
strade ad esso ortogonali innestate a pettine. In tale tessuto trovò
collocazione il Foro posto, come di norma, nel punto più importante, in
un’area corrispondente all’attuale Villa comunale. Nel corso delle guerre
puniche i rapporti con la madrepatria entrarono in crisi a causa della
mancata partecipazione con l’invio di un contributo militare in soccorso di
Roma contro Annibale. Pertanto la città fu punita con l’imposizione di doppi
contributi. Intanto Sessa venne ad assumere una certa importanza come centro
commerciale e come tale è ricordata da Catone il Censore che nel 180 a.C. la
citò come luogo opportuno per l’acquisto di macchine agricole, sporte e
cesti. In quello stesso periodo la città dette i natali al poeta e scrittore
satirico Caio Lucilio cui è stata dedicata la già citata via principale
della città. Nel 90 a.C. fu eretta a Municipium con diritto alla
cittadinanza romana ed entrò a far parte della tribù Aemilia. Nel corso
della guerra sociale tra Mario e Silla, si schierò a favore di quest’ultimo
subendo l’espugnazione da parte di Sertorio. Nel periodo immediatamente
successivo ricevette diverse opere di abbellimento ed anche un ampliamento
delle mura, in opera reticolata. La città, quindi, diventò nuovamente un
centro prospero e fiorente ai tempi di Cicerone che, per l’appunto, in
questi termini ne parlò. Successivamente, colpevole di aver parteggiato per
Pompeo, essa ricevette una nuova punizione messa in pratica da Antonio che
vi fece strage di prigionieri. La ripresa di Suessa avvenne in grande stile
durante il periodo imperiale: sotto Augusto venne denominata Colonia Julia
Felix Classica, per aver accolto una colonia di veterani classiarii,
ricevendo un sensibile sviluppo ed una notevole espansione edilizia, estesa
ad ovest e a sud-est.. Continuò a fiorire durante l’Impero e come tutte le
importanti città di impronta romana ebbe terme (venute alla luce durante
campagne archeologiche svolte nel 1922), un magnifico criptoportico
(scoperto nel 1926) un teatro, e vari templi, tra cui quello dedicato alla
già ricordata divinità tutelare di Ercole. Notevole fu anche il
potenziamento della viabilità esterna anche per la realizzazione del Ponte
degli Aurunci che collegava la città con il mare e con le vie consolari
Appia e Latina. Infine, sempre in questo periodo, si registrò il
raggiungimento di un notevolissimo livello relativamente all’ordinamento
interno della città. Tra la fine del III ed inizi del IV secolo ebbero
inizio per la città alcune difficoltà economiche e sociali che ne
limitarono, forse, anche lo sviluppo urbanistico data la scarsa
documentazione architettonica presente relativa a quel periodo se si
escludono alcune tombe site in località Semicerchio e nel tratto iniziale di
via Sessa-Fasani e ad un’area cimiteriale sita a nord- ovest della città.
Nel frattempo anche Sessa fu interessata da un progressivo fenomeno di
cristianizzazione che culminò nel V secolo con la sua nomina a sede
vescovile. Uno dei vescovi più noti alla storia fu Fortunato noto per aver
partecipato , tra il 496 e il 502, ai concili dei papi Gelasio I e Simmaco.
Con il crollo dell’Impero, quindi, Sessa era sopravvissuta a Roma benché
messa in crisi dalla guerra greco-gotica e soggetta ad un abbandono da parte
della popolazione che riguardò essenzialmente la parte bassa dell’abitato.
Tra le testimonianze di quel periodo vi é una iscrizione datata al 544 che
ricorda la morte di un fanciullo di undici anni, di nome Sallustio, avvenuta
proprio durante la guerra. Con l’avvento dei Longobardi, la città, ormai
notevolmente impoverita, entrò a far parte del Ducato di Benevento,
assumendo un ruolo di controllo dell’itinerario romano interno, tra Gaeta e
Capua, in sostituzione di quello costiero dell’Appia, diventato paludoso e
malsano. In una fonte del VIII secolo, la “Cosmologia Ravennate” Sessa venne
segnalata come punto di sosta. Nell’849 fu inglobata nel Principato di
Salerno e, successivamente, nella Contea di Capua, divenendo gastaldato con
Landolfo, generale di Sergio I, duca di Napoli. Con l’affermarsi del
pericolo delle incursioni dei Saraceni, annidati nell’accampamento del
Garigliano Sessa fu salvata da Pandolfo Capodiferro, principe di Capua, che
a ricordo della sconfitta fece erigere presso il fiume la Turris ad mare,
distrutta dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Dello stesso
periodo abbiamo notizie della cattedra vescovile, con alla guida il vescovo
Giovanni, dall’anno 998 giacché venne ricostituita la sede episcopale con
dipendenza da Capua. Nella bolla di Atenulfo, del 1032, Sessa appare,
invece, come borgo o “centro murato” con un perimetro che ricalca in più
tratti quello romano e con un limite meridionale costituito dall’area
settentrionale del Foro. Anche a seguito dell’affermarsi di attività
commerciali, la crescita urbana di tale centro ricevette un grande impulso.
In tale frangente venne quindi a formarsi il tessuto edilizio dell’età
altomedievale, articolato secondo una struttura discontinua ma comunque
riferita a precisi punti di aggregazione costituiti da ben nove chiese che a
loro volta erano state dislocate in punti particolari, nodi di traffico già
in età romana. Tre di esse, in particolare, e cioè San Giovanni ante portam
a sud, Santa Maria a Castellone a nord-est e Sant’Eustachio a nord, furono
poste a controllo delle porte extraurbane. Nel secolo XI, Sessa subì la
conquista da parte dei Normanni di Capua e, nel 1107 divenne appannaggio
feudale dei Dell’Aquila. Contemporaneamente ebbe seguito lo sviluppo
edilizio già avviato che culminò, tra il 1103 e il 1113, con l’erezione
della Cattedrale e la ristrutturazione del Castello. |
Illustrazione del sito: |
L'antica Suessa era racchiusa da una cinta
muraria, in parte ancora conservata, che nella sua più antica fase edilizia
(seconda metà del IV secoloa.C.) era costituita da un'unica cortina in opera
isodomica in blocchi di tufo, disposti alternativamente di testa e di taglio
in assise regolari di 60 cm. Tratti risalenti ad un'epoca più tarda (età
sillana I secolo a.C.) mostrano invece una muratura in opera cementizia con
paramento esterno in opera quasi reticolata di tufo. All'interno delle mura
la città era organizzata in uno schema ad isolati rettangolari con larghezza
costante e lunghezza variabile, impostati su un asse viario principale, il
cardo maximus, corrispondente all'attuale corso principale, dedicato a
Lucilio poeta satirico nativo di Suessa.
Il monumento superstite dell'area meglio
conservato é certamente il Criptoportico, posto nei pressi del Foro su una
terrazza sul lato occidentale dell'abitato, nell'area del convento di
S.Giovanni L'edificio é stato oggetto di indagini e di studi da parte
dell'archeologo Amedeo Maiuri che lo scavò nel 1926. La funzione che il
Criptoportico dovette assumere in antico fu certamente a carattere pubblico.
Esso racchiudeva, probabilmente, uno spazio aperto, una piazza forse dotata
di portici e di un tempio. Dal rilevamento di numerosi graffiti sull'
intonaco delle pareti il Della Corte ha individuato iscrizioni di vario tipo
riferite a vicende quotidiane ma anche di tipo sportivo o gladiatorio.
Inoltre, vi sono stati letti nomi di poeti greci, versi virgiliani, ed
esercitazioni di scuola in lingua greca e latina che hanno fatto pensare
alla possibilità che, in un certo periodo, il luogo fu utilizzato come sede
di una scuola. L'edificio é esteso per m.75,90 sul lato maggiore e per 40,70
m. in quello orientale. Ha un impianto a tre ali coperte da volte a botte
sorrette da file di arcate a tutto sesto. Le tre ali non sono tutte nelle
medesime condizioni. L'ala nord é appoggiata alla collina mentre quella est,
la cui estremità é addossata a strutture preesistenti di fine IVsecolo a.C.
e del periodo repubblicano ed é in una parte perduta. Quella ovest, infine,
è incorporata in una casa colonica. L'illuminazione dell'edificio é
realizzata attraverso finestre rettangolari a strombo aperte verso l'area
centrale; esse sono poste a distanza regolare ed appaiate negli interassi.
Per la sua tecnica edilizia, in opera incerta con caementa di trachite, la
fabbrica del criptoportico é attribuibile al periodo sillano o tardosillano
mentre più tarda (inizio del I secolo d.C.) é la decorazione superstite
realizzata in stucco bianco. Questa si particolarizza in alcune membrature
architettoniche a rilievo, paraste con capitello a "sofà" con palmette e
volute, che rivestono i pilastri delle arcate e le pareti laterali.
Posto sotto la terrazza del
criptoportico e al di fuori della cinta muraria é il teatro. La costruzione
dell'edificio, realizzato in opera reticolata, é stata attribuita al II
secolo a.C. Esso risulta in parte addossato alla collina ed in parte
costruito. Tra i resti rimessi in luce é distinguibile l' ima cavea
poggiante su muri che formano ambienti radiali, la media cavea, su un
ambulacro a due navate e la summa cavea, costruita su uno stretto ambulacro.
Questa stessa summa cavea, che sembra essere un’aggiunta posteriore di età
flavia, reca al centro resti di un sacello ed è circondata da una
pavimentazione in opus spicatum. I restauri hanno inoltre consentito la
messa in luce della proedria, cioè della prima fila degli spettatori, di
colonne, capitelli, frammenti scultorei.
Sul lato nord dell’attuale Piazza
Tiberio, dove si ipotizza il foro, restano avanzi di un edificio in
laterizio, databile al II secolo d.C. Si tratta di un complesso a due piani,
di cui quello inferiore sotterraneo è costituito da due ambienti
rettangolari antistanti ad un terzo a pianta tribola. Ritenuto in passato un
edificio termale sembra, invece, potersi identificare con l’Aerarium e il
Tabularium, per la presenza di massicce porte, sostenute da enormi blocchi e
con architrave in calcare ( di cui la seconda a saracinesca) e per la
mancanza d’intonaco alle pareti, il che fa presupporre l’esistenza di armadi
e scaffalature di legno.
Avanzi di quello che viene ritenuto un
complesso termale sono incorporati in costruzioni recenti in via Ferranzio,
con muri in laterizio e reticolato, volte a botte e a crociera.
Dell’anfiteatro risalente all’età
tardo-romana, che si trova in una zona extraurbana nota come “Vigne del
Vescovo” sono riconoscibili le strutture di sostruzione in opus incertum.
Fuori paese a circa 2 km è il ponte
Ronaco o degli Aurunci, tra i più importanti ponti romani presenti in
Campania per dimensioni e stato di conservazione. Allo stato attuale, ci
sono fondamentalmente due vie per accedervi. La prima è a 4 km. circa
scendendo dalla via Appia e seguendola verso destra per poi percorrere, dopo
3,5 km, una breve stradina. Lungo tale percorso, poco prima di giungere al
ponte, può essere osservata la rupe tagliata artificialmente probabilmente
nell'ambito dei lavori di regolarizzazione prima della fondazione del ponte.
L'alternativa è a 2,5 km scendendo sempre dalla via Appia e, al bivio di
Mondragone, prendendo una strada incassata, a destra. Realizzato in età
traianea, nella prima metà del II secolo d.C., esso era parte integrante del
collegamento viario tra Suessa, l'Appia e Sinuessa. Difatti, il luogo ove
sorge il ponte era il punto di collegamento tra Sessa e Sinuessa, lungo
un'antica diramazione dell'Appia: esso attraversa il rio Travata. Al ponte é
legata una leggenda di età medievale secondo la quale per volere di Pietro
Bailardo, <<famoso mago in possesso del libro del comando>>, sorsero per
incanto, in una sola notte, ben tredici ponti necessari a creare la più
agevole via per raggiungere Roma. Uno di essi fu, per l'appunto, il Ponte
degli Aurunci. Il ponte, con conformazione a "schiena d'asino", é sostenuto
da pilastri di 15 metri, nella parte centrale del pendio, e si articola in
ventuno arcate a tutto sesto. Di esse solo due sono interamente aperte: per
una vi scorre la corrente del rio mentre per l'altra passa il canaletto di
scarico di un mulino a monte, nel letto del rio. Le altre arcate,
parzialmente chiuse, sono state utilizzate come abitazioni campestri, stalle
e ripostigli di attrezzi. La struttura dei pilastri é realizzata in muratura
a sacco con rivestimento in opera incerta intersecata da laterizi. Le arcate
sono a due anelli concentrici in mattoni bipedali. Inoltre sono presenti
tracce di un parapetto in tufo in gran parte crollato. Maggiormente
riconoscibile è, a tratti, l'antica pavimentazione in basoli vulcanici. A
completare l'effetto suggestivo del Ponte concorre il contesto paesaggistico
in cui è inserito oltre alla presenza, a breve distanza, di altre
testimonianze dell' antichità quali quelli di alcuni edifici sepolcrali
posti sulla strada che porta al Ponte Ronaco dal quartiere Borgo Nuovo. Si
ricorda, inoltre, che proprio in località Ponte Ronaco, presso la necropoli,
durante i lavori di scavo di un pozzo, fu rinvenuta una tomba "a ciottoli"
di pietra trachitica ad inumazione e recuperato il relativo materiale.
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