LE NOTIZIE DEL 2015 |
14/05/2015 Paestum (SA), Il tempio tra i
rifiuti, scatta la denuncia (La città di Salerno)
«Procederò con una denuncia e chiederò al sindaco Voza di
avviare gli accertamenti per risalire ai responsabili
dell'abbandono dei rifiuti. Non ne possiamo più: la verità è che
questi incivili non meritano il patrimonio inestimabile che
hanno». È amareggiata la direttrice del museo Marina Cipriani
per lo sversamento di rifiuti nella parte retrostante l'ex
stabilimento della Cirio nell'area archeologica di Paestum. La
fabbrica per la lavorazione del pomodoro, risalente all'inizio
del Novecento, fu acquistata nel 2005 dalla Soprintendenza per
circa 3 milioni di euro. Lo stabile, oggi, versa in uno stato di
forte degrado con i soffitti in parte crollati e gli scavi
archeologici all'interno fermi per la mancanza di risorse.
L'opificio è situato a ridosso del lato meridionale esterno
delle mura di cinta dell'antica città di Poseidonia, e fu
costruito sui resti di un antico santuario greco di Afrodite, in
parte celato sotto l'ex fabbrica. «Nel 2007 abbiamo presentato
un progetto – spiega la Cipriani – per ottenere un finanziamento
che, però, ci è stato negato. Con le poche risorse che avevamo a
disposizione abbiamo provveduto alla messa in sicurezza di una
parte dello stabile ma, nel frattempo, il bene si è degradato ed
ora è necessaria una cifra considerevole per sistemarlo e
ristrutturarlo». La Soprintendenza, in questi anni, ha dovuto
combattere anche con chi puntualmente forzava le porte di
accesso per entrare all'interno, dove sono custoditi dei reperti
archeologici rinvenuti sul posto durante gli scavi. Da tempo
infatti, il santuario è a rischio saccheggio. «Non so quante
volte ho provveduto – afferma Cipriani – a far saldare gli
ingressi per evitare che si potesse accedere. Non so cosa altro
potrei fare: di fronte a tutta questa inciviltà siamo impotenti.
Non possiamo tenere il nostro personale, che già è ridotto
dappertutto. La parte del santuario, retrostante lo stabilimento
qualche tempo fa era stato sottoposto anche a restauro. Ora di
concerto con il Comune provvederemo con un'azione di bonifica».
L'acquisto dei ruderi dell' ex Cirio fu effettuato nell'ambito
nelle risorse stanziate per il "Progetto grande attrattore
Paestum-Velia" finalizzate alla riqualificazione del parco
archeologico. L'ipotesi progettuale prevedeva il recupero
dell'immobile per destinarlo a sede museale di esposizione delle
necropoli e dei materiali del territorio di Paestum, e a sede di
servizi connessi con il parco archeologico, in aderenza a quanto
previsto dallo studio di fattibilità sulla città antica. La
Soprintendenza presentò alla Regione nel 2007 un progetto per 5
milioni di euro che, come affermato dalla stessa Cipriani, fu
bocciato. A dieci anni dall'acquisto la struttura sta diventando
sempre di più un rudere e all'esterno l'erba continua a crescere
raggiungendo le pareti dello stabile mentre i soliti balordi
utilizzano l'area a mo' di discarica, sversando ogni sorta di
materiale. L'auspicio è che l'area venga bonificata così
potranno emergere anche i resti del santuario di Afrodite che
nella parte esterna era stato comunque sottoposto a restauro. |
13/05/2015 Paestum (SA), nella valle dei
Templi un tesoro sommerso dai rifiuti (La città di Salerno)
Una discarica a cielo aperto nel cuore dell’area archeologica di
Paestum. È la sorte toccata a tutta l’area retrostante l’ex
stabilimento Cirio, di proprietà della Soprintendenza, che ha
acquistato l’immobile - una fabbrica per la lavorazione del
pomodoro risalente all’inizio del Novecento - nel 2005.
L’immobile è in uno stato di forte degrado con i soffitti in
parte crollati e gli scavi archeologici all’interno che sembra
abbiano subito uno stop a causa della mancanza di risorse.
L’opificio è situato a ridosso del lato meridionale esterno
delle mura di cinta dell’antica città di Poseidonia, e fu
costruito sui resti di un antico santuario greco di Afrodite, in
parte celato sotto l’ex fabbrica. Oltre 3 milioni di euro spesi
dalla Soprintendenza per l’acquisizione della struttura per
avviare le prime operazioni di scavo e sistemazione dell’area.
Scavi che, a quanto pare, non sono più continuati, e il tutto
versa in uno stato di abbandono.
L’acquisto dei ruderi (quel che rimane della fatiscente ex
Cirio) è stato effettuato nell’ambito nelle risorse stanziate
per il “Progetto grande attrattore Paestum- Velia” finalizzate
alla riqualificazione del parco archeologico. L’ipotesi
progettuale prevedeva il recupero dell’immobile moderno per
destinarlo a sede museale di esposizione delle necropoli e dei
materiali del territorio di Paestum, e a sede di servizi
connessi con il parco archeologico, in aderenza a quanto
previsto dallo studio di fattibilità sulla città antica.
Per la messa in atto delle azioni previste la Soprintendenza
presentò alla Regione un progetto da 5 milioni di euro che fu
bocciato. A dieci anni dall’acquisto la struttura sta diventando
sempre di più un rudere e all’esterno l’erba continua a crescere
raggiungendo le pareti dello stabile mentre i soliti balordi
utilizzano l’area a mo’ di discarica, sversando ogni sorta di
materiale. Nella zona retrostante l’ex fabbrica infatti, sono
stati abbandonati diverse balle di plastica, di cui non si
conosce il contenuto, secchi di pittura, materiale cementizio,
pneumatici. Il tutto a pochissima distanza dai maestosi templi
di Paestum.
Una situazione che dimostra tutta l’inciviltà di questi balordi
che agiscono senza preoccuparsi minimamente che si tratta di una
zona vincolata dalla legge 220 Zanotti Bianco all’interno di un
parco archeologico patrimonio Unesco.
Nei capannoni sfondati della fabbrica sono stati effettuati
scavi che hanno messo in luce parte del santuario. La sciagura
della Cirio è stata nella sua ubicazione situata proprio sopra
l’antico santuario greco di Afrodite.
Tutto ebbe inizio nel 1908, quando la società conserviera decise
di costruire l’opificio sulle rive di Capodifiume, proprio di
fronte al tempio di Nettuno. Nel corso degli anni sono stati
tanti i reperti venuti alla luce, alcuni anche a seguito dei
lavori di ampliamento dello stabilimento, come delle statue
acefale di marmo bianco, una fontana, settanta monete di bronzo,
cocci, teste in marmo. In questi ultimi 50 anni, il sito è stato
oggetto di numerosi studi archeologici che ne hanno confermato
l’importanza dal punto di vista culturale e storico. Ma
nonostante tutto è abbandonato a se stesso perché non si trovano
le risorse per avviare una capillaree campagna di scavi.
L’ex stabilimento della Cirio potrebbe essere ristrutturato con
un progetto di finanza per una gestione tra pubblico e privato.
Un’ipotesi per la cui attuazione svolge un ruolo strategico la
costruzione del sottopasso ferroviario il cui iter è in corso. |
06/05/2015 Pompei (NA), torna alla luce la
Casa della Fontana piccola (Repubblica)
Potrebbe essere la raffigurazione dell'antico porto fluviale di
Pompei. Il grande affresco sulla parete del peristilio della
Casa della Fontana piccola sarà di nuovo visibile al pubblico.
Come l'intera domus, affacciata sulla via di Mercurio, a pochi
passi dal foro. Lavori di restauro finiti, Pompei recupera un
altro gioiello. Riapre questa mattina la Casa della Fontana
piccola, una delle abitazioni più raffinate ed eleganti della
città. Deve il suo nome a una fontana decorata a mosaico
collocata sul fondo del giardino interno. Tessere di pasta
vitrea e valve di mollusco inserite nell'intonaco fresco
decorano la fontana a nicchia. L'acqua usciva dalla bocca della
maschera tragica in marmo tra due pappagalli a mosaico, così
come dal becco di un'oca tenuta in braccio da un amorino in
bronzo: questa statuetta e l'altra di pescatore, poggiate sul
bordo della vasca in marmo, sono copie.
La domus è stata interessata da un intervento globale di
restauro appena concluso che ha riguardato sia lavori di
consolidamento nell'ambito del Grande Progetto Pompei sia il
recupero della fontana e degli splendidi apparati decorativi, il
tutto realizzato in tre lotti successivi e finanziati dalla
Fondazione Città Italia.
Saranno questa mattina il soprintendente, Massimo Osanna, il
direttore generale del Grande progetto, Giovanni Nistri, e il
segretario generale della fondazione Città Italia, Ledo Prato, a
presentare i risultati dei lavori.
Tra le residenze private più antiche di Pompei, risalente
all'età sannitica, quella della Fontana piccola è una casa ad
atrio, una tipica abitazione da classe dirigente locale,
caratterizzata da ingresso, vestibolo, atrio e tablinio. Qui, il
padrone di casa riceveva i clientes e ostentava la sua
ricchezza. Fu esplorata tra il 1826 e il 1827 dal direttore
degli scavi, l'architetto Antonio Bonucci, che estese lo scavo
alle spalle del tempio di Giove, nel cuore della città, portando
alla luce le Terme del foro e tutta la via di Mercurio. La casa
sarebbe appartenuta a un mercante di frutta, il pomarius Helvius
Vestalis dell'iscrizione elettorale rinvenuta sulla facciata
dell'abitazione. La presenza di due ingressi dalla strada si
spiega col fatto che nella prima età imperiale la casa fu
ricavata dall'unificazione di due precedenti dimore. Danneggiata
dal terremoto del 62 dopo Cristo, la casa fu quasi interamente
riaffrescata in IV stile pompeiano.
Grazie alle provvidenziali coperture ottocentesche, il ciclo
decorativo del giardino si è conservato, a differenza di altre
pitture. Il restauro ha consentito di eliminare i sali di
risalita che avevano reso quasi illeggibile il grande affresco
di paesaggio marittimo nel giardino. Si riconoscono chiaramente
i resti di un approdo portuale, alcune ville marittime, un
ponticello e una serie di figure tra le quali alcuni pescatori.
L'effetto voluto è quello di sfondamento della parete del
peristilio che, per la ristrettezza di spazi, presenta solo due
lati con colonne doriche.
Altre pitture si trovano nell'ambiente a sinistra dell'ingresso,
con la parte bassa in rosso e al centro pannelli bianchi con
paesaggi. A destra dell'atrio affreschi con architetture su
fondo bianco e figure di sacerdoti.
E mentre si restituisce al pubblico un altro pezzo della città
romana, la soprintendenza di Pompei nel 2015
con i fondi ordinari programma altri restauri: si va dal mosaico
del Cave canem agli apparati decorativi delle domus di Marco
Lucrezio Frontone, Romolo e Remo, Nozze d'argento, dal recupero
della fontana della Casa della Fontana grande alla pulizia dal
guano e al restauro dei pavimenti della Casa di Fabio Rufo.
L'affresco di Adone ferito, invece, nell'omonima casa, sarà
restaurato con il ricavato della vendita del libro di Alberto
Angela "I tre giorni di Pompei". |
30/04/2015 Santa Maria Capua Vetere (CE), così
agonizza l'anfiteatro (Corriere della Sera)
A.A.A. Cercansi spericolati arrampicatori free climbing per
impresa temeraria: scalare gli spalti più impervi dell’Arena di
Capua per togliere arbusti e alberelli che li stanno devastando.
C’è una difficoltà superiore al VII grado, però: gli scalatori
dovrebbero farlo per amore. La soprintendenza, a quattrini, è
messa male male.
«E chi ce lo fa fare?», dirà qualcuno. Se la pensa così, si
accontenti di scalate più facili: la parete nord dell’Eiger, El
Captain allo Yosemite Park o il K2. La vera sfida, però, quella
che finirebbe sulle prime pagine, è salvare gli spalti superiori
dell’Anfiteatro campano.
È magnifico, quello stadio costruito tra la fine del I° e gli
inizi del II° secolo d.C. per sostituire il precedente legato
alla mitica ribellione dei gladiatori di Spartaco. Coi suoi 165
metri sull’asse maggiore e 135 sul minore, era il più grande del
mondo romano (Pubblio Vittore parla di 87 mila posti) dopo il
Colosseo. Gli spettacoli che ospitava, racconta Giacomo Rucca in
un libro del 1828 («Capua Vetere, o sia Descrizione di tutti i
monumenti di Capua antica...») erano grandiosi: combattimenti
tra gladiatori, combattimenti contro belve feroci (non solo
leoni ma anche ippopotami o coccodrilli), battaglie con
elefanti, «pugne navali»... Degni della città allora più
importante dopo Roma.
Certo, la storia non è stata clemente con l’Anfiteatro Campano.
Saccheggiato da Genserico nel 456 d.C., trasformato in una
fortezza dopo la distruzione dell’antica Capua nell’841 ad opera
dei saraceni, usato come cava di marmo e materiali edilizi a
partire dalla dominazione sveva, il magnifico stadio ha perduto
via via le ricchissime decorazioni del passato come i 240 busti
a rilievo di Giove, Giunone, Diana, Demetra, Mercurio e altre
divinità. Conserva tuttavia, a dispetto delle razzie d’un tempo
e delle erbacce di oggi, un fascino struggente. Di più: conserva
intatti i grandiosi sotterranei. Un reticolo di gallerie, archi,
canali, serbatoi e poi grandi spazi laterali per conservare le
scenografie, ospitare i gladiatori, custodire gli animali in
cattività... Un mondo intero sotto terra che dà l’idea di quanto
fossero imponenti gli «show» e quante centinaia, forse migliaia
di persone vi venissero impiegate.
Valgono da soli un viaggio da Baltimora o da Tokyo, quei
sotterranei. Così come interessantissimi sono i pezzi conservati
nel Museo dei Gladiatori, piccolo ma prezioso. E la mostra
«Immaginando città» voluta dalla soprintendente Adele Campanelli
che ricostruisce l’affascinante storia dello sviluppo urbano
nell’area campana. Per non dire dello stupendo Mitreo, l’aula
sotterranea dedicata al dio Mitra, miracolosamente sopravvissuto
al selvaggio assalto edilizio che ha devastato Santa Maria di
Capua Vetere nella totale indifferenza di chi l’amministrava.
Valga ad esempio un depliant: «La casa di Cofuleio Sabbio è uno
dei reperti di recente scoperta. È in corso Aldo Moro 210 dove
durante gli scavi per la costruzione del fabbricato
sovrastante...». Sovrastante? Ma come, direte voi, trovarono una
casa romana del I secolo a.C. e ci fecero sopra un palazzo?
Esatto. Al punto che oggi, spiegano le guide, «la casa è
visitabile su richiesta ai condomini». Cose del passato? Magari!
Basti vedere il cantiere dell’edificio in costruzione in faccia
all’arena.
Va da sé che, a dispetto della buona volontà che possano
metterci la soprintendente e la direttrice degli scavi Ida
Gennarelli e tanti altri addetti che cercano di supplire
generosamente alla storica sciatteria di troppi colleghi, quello
che dovrebbe essere uno dei siti più curati del Sud finisce per
dare la sgradevole impressione di essere oscenamente trascurato.
Ovvio. Basti dire che il ministero, l’anno scorso, ha stanziato
per tutto il patrimonio archeologico di Santa Maria Capua Vetere
58.500 euro.
Una miseria. Insufficiente non diciamo per fare restauri seri,
se è vero come dice la soprintendente Campanelli che «un giorno
di lavoro di un operaio specializzato per i lavori dedicati
costa coi contributi e tutto 300 euro» (trecento!), ma anche per
un minimo di manutenzione. Che in questi giorni riparte coi
pochi spiccioli a disposizione. Colpa di Dario Franceschini? No.
Va così da anni e anni.
Il risultato è nei numeri: il secondo anfiteatro più grande del
mondo romano, legato alla leggenda di Spartaco, ha fatto nel
2014, secondo il ministero dei Beni culturali, 51.967
visitatori, compresi i non paganti. Meno di un quarto di Castel
del Monte che è trentesimo nella classifica delle attrazioni
culturali italiane. Poco più di un decimo di Villa d’Este a
Tivoli. Sia chiaro, va già molto meglio rispetto a una
quindicina d’anni fa, quando i visitatori erano circa 30 mila
l’anno. Ma resta uno spreco. Di bellezza e di incassi.
Anche perché, accanto all’arena, c’è qualcosa che pare
funzionare. La sistemazione dell’accesso e la costruzione con
soldi Ue di un parallelepipedo di vetro e cemento costato uno
sproposito (tre milioni di euro!) ha finito per dare un
risultato positivo. La nascita, grazie a una gara ignorata dai
mammasantissima dei «servizi aggiuntivi» («Capua era la
Cenerentola...», spiega Bruno Zarzaca, uno dei titolari) di una
biglietteria-caffetteria-trattoria «Amico Bio», davvero europea.
Arredamento essenziale, pulizia, cortesia, menu di prodotti
biologici con spazio per i vegani. Il tutto nonostante il crac
del costruttore. Nonostante la struttura fatta con soldi
pubblici non fosse stata dotata dell’abitabilità («Da pazzi: la
chiesero a noi!», ride Enrico Amico, l’altro titolare, che ha
un’azienda agricola biodinamica che fornisce mezza Italia) e non
fosse stata manco registrata al catasto.
Proprio quello spazio di servizi aggiuntivi, pare impossibile, è
al centro di uno scontro col Comune. Che contesta la canna
fumaria. «Ma come: abbiamo avuto il via libera della
soprintendenza! L’abbiamo nascosta coi pannelli d’informazione
culturale! Abbiamo proposto di coprirla con una struttura di
cristallo che ospiti anche una sala di lettura da donare alla
Università!»...
Niente da fare. Il municipio, a costo di spazzar via il
ristorante «bio» che in mezzo a tante inefficienze funziona,
quella canna vuole demolirla. Scusate: e tutta la poltiglia
cementizia abusiva? E gli orrori urbanistici tutto intorno? E i
palazzi coi resti archeologici sepolti nelle fondamenta? Ci
penseranno domani. O forse dopodomani... |
29/04/2015 Pompei (NA), I calchi di Pompei,
via al restauro e all'analisi del dna dei corpi sepolti
nell'eruzione del 79 (Repubblica)
(uno, in particolare rannicchiato nei granai del Foro), che
ricordano la tragedia di una città. Che in poche ore fu sepolta,
nel 79 dopo Cristo assieme a circa duemila persone, secondo le
stime degli archeologi. La grandezza di per Pompei non passa
soltanto negli splendidi affreschi patrizi delle domus, o nei
peristili decorati. Il suo segreto è nell’empatia che esercita
sul visitatore. Che osserva la quotidianità di una città di
duemila anni fa, cristallizzata nei solchi dei carri sulle
strade, nei graffiti d’amore su via dell’Abbondanza, nelle
locande per gli avventori, nelle iscrizioni elettorali. E nei
calchi della sua gente.
Quei cadaveri vinti dalla nube ardente del Vesuvio, che il
grande archeologo ottocentesco Giuseppe Fiorelli ha reso
immortali, colando del gesso liquido nell’impronta lasciata dai
loro corpi nella cenere.
E dopo 20 secoli, emergono gli ultimi sguardi di uomini, donne e
bambini, animali, persino una signora incinta. Per la prima
volta, tutti gli 86 calchi della città, saranno interessati da
lavori di restauro della Soprintendenza archeologica, inseriti
nel “Grande Progetto Pompei”.
Venti saranno esposti anche in occasione della mostra “Pompei e
l’Europa 1748-1943”, allestita tra gli scavi ed il Museo
archeologico di Napoli. L’inaugurazione si terrà
nell’anfiteatro, il 27 maggio (che resterà chiuso fino ad allora
per gli allestimenti). L’intervento, oltre a consentire la
ricomposizione di alcuni corpi ritrovati in frammenti, prevede
anche un’inedita analisi a raggi x, ricostruzioni con scanner
laser ed esami sul dna, per ricostruire al meglio la vita e le
abitudini di un pompeiano del primo secolo.
A partire dai prossimi giorni, solitamente visibili nell’area
del Foro, alle Terme Stabiane e Villa dei Misteri) saranno
temporaneamente trasferiti al laboratorio della Soprintendenza.
Il cantiere sarà organizzato, prevalentemente, nell’area dell’Insula
Ocidentalis e, naturalmente, all’Orto dei Fuggiaschi, che ancora
conserva i corpi di 13 vittime dell’eruzione (adulti e ragazzi),
collocati nell’esatta posizione in cui furono trovati. |
03/04/2015 Pompei (NA), Tra la necropoli di
Porta Ercolano e la Regio VI. Pompei, ripartono gli Scavi dell’800 (Corriere
del Mezzogiorno)
«Il rapporto tra Università Federico II e Soprintendenza di
Pompei è anche simbolico, e questo è un giorno positivo per la
nostra realtà, il segno di un’inversione di tendenza». Il
rettore Gaetano Manfredi e il soprintendente Massimo Osanna
hanno presentato l’intesa tra i rispettivi enti con grande
enfasi evocando i personaggi «mitici» del passato. Uno su tutti,
Giuseppe Fiorelli, l’archeologo che a metà Ottocento mise a
punto il sistema per ottenere i calchi dei pompeiani morti
nell’eruzione che travolse la loro città e riorganizzò gli Scavi
suddividendoli in regiones e insulae e numerando ciascun
edificio in modo da poter localizzare con precisione ogni
reperto. «A quel tempo a Pompei c’era una situazione non tanto
diversa da oggi, con un grande fermento e grandi lavori in
corso», ha sottolineato Osanna, il quale ha poi aggiunto che
«proprio l’area in cui Fiorelli volle la sua scuola è quella
prescelta». La Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e
Stabia e l’Università Federico II di Napoli hanno infatti
stipulato un accordo «per la progettazione di un intervento
congiunto finalizzato all’indagine, allo studio e al restauro
dell’area nord-occidentale esterna alla cinta muraria degli
Scavi di Pompei, compresa tra la Regio VI e la necropoli di
Porta Ercolano». Un’area che soffre da tempo dell’impatto
infestante della vegetazione che pregiudica gravemente la
conservazione dei monumenti. Quindi saranno formate équipe
multidisciplinari che collaboreranno al disboscamento e alla
messa in sicurezza dei terreni in pendio, nonché al restauro e
alla valorizzazione di Domus presenti nell’area, di grande
rilievo per la città antica ma finora poco conosciute. Sarà,
inoltre, condotta un’indagine archeologica sperimentale sui
cosiddetti «cumuli borbonici» depositati nell’area nel corso
degli sterri settecenteschi che presumibilmente celano materiali
che all’epoca erano ritenuti di scarto. «A quel tempo — ha
spiegato il soprintendente — si cercavano soprattutto reperti
preziosi e magari si gettavano via anfore e altri manufatti».
Per coprire l’ampio spettro di operazioni, che costituiranno
anche una vera e propria nuova campagna di scavi, saranno
coinvolti non solo archeologi, ma anche botanici, architetti,
restauratori, ingegneri strutturisti. Proprio in vista di questa
operazione che ha il rettore definito «di ricerca», diversamente
da altre università, la Federico II non ha presentato un proprio
progetto per il Piano della conoscenza (che intanto è partito).
«I primi sei mesi — ha aggiunto Manfredi — saranno dedicati
soprattutto alla progettazione, ma i sopralluoghi sono già
cominciati. L’accordo ha durata triennale, ma probabilmente ci
sarà da lavorare per decenni». «Dopo un approccio conoscitivo
sul piano botanico, per capire quali piante si possono
sacrificare – ha detto Osanna — toccherà ad architetti e
archeologi». Ma il fine non è soltanto scientifico, si lavorerà
anche per la fruizione. «I reperti che rinveniremo — sottolinea
il soprintendente — saranno esposti in un museo allestito in un
edificio ottocentesco nell’area, e sarà allestito un percorso
conoscitivo, e non solo di impatto emotivo, anche per disabili».
Il nuovo programma di indagine e restauro nell’antica città, per
il quale ieri mattina è stato firmato l’accordo in Rettorato,
coinvolgerà decine di professionisti, studiosi e studenti. «La
Federico II — dice Manfredi — ha già messo al lavoro un team di
trenta persone. In seguito arriveremo a un numero oscillante tra
50 e 100, compresi laureandi, dottorandi, borsisti,
specializzandi e ricercatori. Quindi costituirà anche una grande
occasione di formazione». Dal canto suo, la Soprintendenza
metterà in campo «archeologi, funzionari archeologi e giovani
della segreteria tecnica, ma — afferma Osanna — vorrei
promuovere anche stage finanziati dal ministero». E le spese?
«Inizialmente l’Università utilizzerà risorse già disponibili
che saranno riorientate», dice il rettore, che rassicura: «Poi
ne troveremo altre, anche attraverso bandi europei». Contribuirà
pure la Soprintendenza, naturalmente: «Per quest’area
utilizzeremo nostre risorse, visto che il Grande Progetto Pompei
è finanziato con fondi europei. Penso ad alcuni milioni di
euro». A proposito del Grande Progetto, come procedono i lavori?
Osanna non solo non è preoccupato che si riesca a portare a
termine i lavori previsti per fine anno, ma è fiducioso che sarà
prolungato: «Probabilmente avremo ulteriori finanziamenti nella
programmazione europea 2014-2020». E quello sarebbe un altro
giorno positivo. |
19/03/2015 Pompei (NA), riapre Villa dei
Misteri (Corriere del Mezzogiorno)
Villa dei Misteri sarà riaperta domani. Dopo due anni di lavori
è tornata al suo antico, accecante, splendore. Stefano Vanacore,
restauratore capo del laboratorio della Soprintendenza
archeologica di Pompei, garantisce che «se mettessimo dei
triclini qui dentro, potremmo davvero pensare di essere
ritornati al 79 dopo Cristo attraverso uno specialissimo
stargate, una porta del tempo capace di farci fare un balzo
indietro di duemila anni».
Il nome Villa dei Misteri deriva dal ciclo di affreschi del
triclinio, che rappresenta scene del rito d’iniziazione
femminile al matrimonio e che caratterizza l’ambiente più bello
dei novanta che compongono la magione. La cerimonia dionisiaca,
descritta momento per momento, è una delle più grandi pitture
antiche esistenti conservate al posto originario. Le altre sono
tutte conservate al Museo Archeologico di Napoli.
La domus fu costruita nel II secolo avanti Cristo, lungo la
strada che da Pompei conduceva verso Ercolano. Ebbe il periodo
di massimo splendore durante l’età augustea, quando fu
notevolmente ampliata ed abbellita. In origine era una villa d’otium,
cioè una villa residenziale patrizia a pochi passi dal mare e
dotata di ampie sale e giardini pensili. A seguito del terremoto
del 62 dopo Cristo, prima della drammatica eruzione del Vesuvio
che distrusse Pompei nel 79, fu prima abbandonata e poi
trasformata in villa rustica con l’aggiunta di diversi ambienti
per la lavorazione agricola e in particolare del vino.
La villa comprende un quartiere residenziale rivolto verso il
mare e decorato con esempi di «secondo stile» e un quartiere
servile con i locali per la lavorazione del vino, dove è stata
ricostruita una pressa, torcularium , per la spremitura
dell’uva, con il tronco a testa d’ariete. Splendidi esempi di
«terzo stile» a fondo nero sono nel tablino, con motivi
miniaturistici in stile egizio. La Villa, situata fuori
dall’area archeologica cittadina e famosa per le decorazioni
pittoriche delle stanze e per i pavimenti, è stata restaurata
con un lavoro puntuale e rivoluzionario. Le pitture della domus
si stavano sfarinando sotto l’azione di muffe e batteri, che
distruggevano la pellicola pittorica e l’intonaco. L’importante
intervento di restauro — che ha interessato tutti gli apparati
decorativi, dai mosaici agli affreschi — è stato realizzato con
progetti innovativi. E’ stata applicata una tecnologia di
pulitura d’avanguardia, con il ricorso ad una strumentazione
laser. Per la prima volta applicata ad un ciclo di pitture così
esteso e importante. Una tecnica che costituisce una valida
alternativa per le superfici estremamente sensibili agli agenti
chimici e meccanici. L’utilizzo del laser ha consentito, tra
l’altro, un’efficiente rimozione dei diversi strati protettivi
utilizzati nei secoli.
All’inaugurazione di domani sarà presente il ministro Dario
Franceschini, il soprintendente Massimo Osanna, il direttore
generale del Grande Progetto Pompei Giovanni Nistri, i
funzionari e tecnici restauratori che hanno curato gli
interventi sugli apparati decorativi che sono stati finanziati
con fondi della sovrintendenza per un importo di 900mila euro. |
13/03/2015 Napoli, riaffiora la quinta nave
romana, ecco la flotta di Neapolis (Il Mattino)
Sono due le imbarcazioni di epoca romana affiorate di recente
nel pozzo del metrò di Piazza Municipio. Entrambi i relitti sono
ancora sigillati, per quasi il cinquanta per cento della loro
lunghezza, all'interno dello strato di fango che in seguito a
eventi alluvionali, verificatisi tra il III e il V secolo dopo
Cristo, interrarono il porto della Neapolis romana. Di quei
legni, affondati probabilmente a causa di violenti fortunali, e
delle loro caratteristiche, oltre che delle altre tre navi
rinvenute sempre in quell'area nel 2005, tratterà Giulia Boetto,
del Cnrs francese «Camille Jullian» dell'Università di Aix -
Marseille, oggi, alle 16.30, presso la sede dell'Orientale di
Palazzo Corigliano (in piazza San Domenico Maggiore) in un
incontro dal titolo «Archeologia navale a Napoli: nuovi e vecchi
ritrovamenti nello scavo della metropolitana». In maniera
particolare, come rivela Daniela Giampaola, archeologa della ex
Soprintendenza archeologica di Napoli - ora «soprintendenza
archeologica della Campania» guidata da Adele Campanelli, in
virtù della legge che rimodulava il Mibac e le diverse
soprintendenze italiane - si dirà anche della caratteristica
estremità (prua o poppa) «a specchio» (non sagomata come quella
delle barche o dei gozzi attuali, ma verticale) di una delle due
nuove imbarcazioni.
Particolarità, quest'ultima, che già era stata riscontrata in
uno dei tre legni trovati nel 2005 e che, dunque, è elemento in
grado di sottolineare l'eccezionalità del rinvenimento di questi
due relitti (indicati come «Napoli F» e «Napoli G»), ritrovati
ai limiti dell'area di cantiere, tagliati in pieno dalle paratie
dello scavo.
Altre due imbarcazioni con estremità a «specchio» sono state
ritrovate nel porto romano di Tolone, in Francia, e una vicino a
Ostia, in prossimità del Tevere. E questo anche se, come
sottolinea Giampaola, «non ci sono ancora, nella maniera più
assoluta, dati certi da presentare» perché solo «appena avremo
terminato di riportare alla luce queste due nuove barche e aver
studiato le loro caratteristiche daremo tutte le informazioni in
nostro possesso». Possiamo tuttavia dire, aggiunge l'archeologa,
che «si tratta di due relitti che sembrano databili tra la fine
del II secolo dopo Cristo e gli inizi del III secolo dopo
Cristo».
Legni che, dunque, non si dovrebbero discostare di molto da
quelli trovati nel 2005 e che, studiati, sono risultati essere
delle imbarcazioni di piccolo–medio cabotaggio. Ovvero, battelli
lunghi circa quindici metri che erano addetti al trasporto
marittimo di derrate alimentari o merci di altro tipo, tra porti
vicini. Le cause dell'affondamento delle imbarcazioni, secondo
l'archeologa della Soprintendenza, vanno individuate, molto
verosimilmente, oltre che in una violenta mareggiata, che
all'epoca dovette colpire il porto, anche nel fasciame che non
si trovava davvero in ottime condizioni, perché in più parti
risulta rabberciato e rattoppato alla meglio.
Nelle identiche, pessime, condizioni erano le navi trovate nel
2005, di cui tratterà appunto Giulia Boetto, nell'ambito di
lezioni seminariali di «Archeologia marittima» coordinate da
Chiara Zazzaro. Insomma, si potrebbe trattare di naviglio
costruito almeno trent'anni prima che la tempesta lo affondasse.
In effetti lo scavo, che si trova posizionato a circa tre metri
sul livello del mare (ma sono quasi otto a livello dell'attuale
sede stradale) sino ad oggi, ha consentito di recuperare, per un
relitto, circa sei metri di strutture; nove metri, invece sono
quelle scavate dell'altro. Una volte riportate alla luce, le
imbarcazioni, così come è stato per quelle altre ritrovate dieci
anni fa, si procederà a una serie di analisi finalizzate a
delineare con certezza la tipologia dei legni con i quali sono
state costruite. In buona sostanza, tuttavia, il tipo di legname
dovrebbe avere caratteristiche resinose, per meglio resistere
all'attacco dell'acqua salmastra.
«Per adesso - sottolinea ancora Giampaola - sulle barche non
sono state trovate tracce di eventuali carichi. E nemmeno si è
in grado di dire se si muovevano a remi oppure erano provviste
di vela: ne sapremo di più solo quando avremo recuperato del
tutto i due preziosi reperti». |
20/02/2015 Pompei (NA), Sulle tracce del
tempio dei Dioscuri nell'osteria alle porte degli Scavi (Repubblica)
È LA "statio maritima" di Pompei, un posto dove si riposavano
marinai e ufficiali in navigazione lungo le coste del
Mediterraneo. Per Mario Torelli, uno dei più grandi archeologi
italiani, a Murecine, lì dove passa l'autostrada Napoli-Salerno,
c'era un vero e proprio insediamento legato al porto sul fiume
Sarno. «Bisogna scavare tra l'autostrada e le mura di Pompei —
propone Torelli al termine della conferenza all'Auditorium degli
scavi — per trovare il santuario dei Dioscuri, lo stesso che
secondo me è raffigurato in un affresco di arte popolare
rinvenuto nell'edificio B di Murecine, un'osteria dove i marinai
si riposavano una volta attraccati nel porto fluviale sul Sarno
».
La nuova ipotesi interpretativa di uno dei più straordinari
complessi architettonici rinvenuti in area vesuviana fuori dal
sito pompeiano giunge quando mancano un paio di mesi
dall'esposizione al pubblico dei celebri affreschi che furono
staccati nel 2000 dall'edificio riesplorato mentre si costruiva
la terza corsia dell'autostrada A3 nel tratto compreso tra gli
svincoli per Castellammare di Stabia e Angri, sotto la direzione
di Antonio De Simone, Salvatore Ciro Nappo e Marisa
Mastroroberto. Quel sito era già stato esplorato quando fu
costruito il prolungamento dell'autostrada da Pompei a Salerno,
tra l'aprile e il dicembre del 1959 da Olga Elia.
Quelle pitture che meravigliarono il mondo per i loro colori
brillanti e per la qualità dei volti di Apollo e delle Muse
troveranno casa: in primavera saranno finalmente visibili al
pubblico all'interno della Palestra grande di Pompei, dove sono
in corso lavori di restauro e allestimento finanziati con fondi
ordinari della soprintendenza speciale per i beni archeologici.
Partendo dall'interpretazione di quegli affreschi, Mario
Torelli, professore emerito di archeologia e storia dell'arte
greca e romana all'università di Perugia, uno dei due soli
archeologi ad aver vinto il premio internazionale Balzan, ha
proposto di interpretare gli edifici di Murecine come luoghi di
culto e "statio maritima", composta da tre parti: il triclinio,
dove i marinai si rifocillavano in ambienti affrescati con
figure apollinee e si sentivano parte di una "elevazione"
culturale; il "balneum", dove prendevano i bagni termali secondo
l'uso romano, e una fonte per rifornirsi di acqua. Il tutto
sotto l'egida dei Dioscuri, divinità protettrici della
navigazione antica. «Una navigazione — ha ricordato Torelli —
che aveva bisogno di edifici di servizio a terra per rifocillare
la ciurma e per fare acqua, dove non servivano stanze da letto
perché si dormiva a bordo. Il modello lo si può ritrovare sulla
costa laziale, a Castrum Inui, un sito archeologico ubicato sul
litorale tra Ardea e Tor San Lorenzo, alla foce del fiume
Incastro, una delle scoperte archeologiche più importanti degli
ultimi 50 anni». Secondo l'archeologo la situazione di Pompei e
quella di Ardea erano identiche: località costiera, porto
fluviale, saline. Ad Ardea sono stati rinvenuti i resti di due
templi, uno dedicato al dio Sole, dove poi sarà attestato il
culto dei Dioscuri. A Pompei, nel triclinio B di Murecine, sono
raffigurati sia Castore che Polluce. «Io credo che l'affresco
popolare ritrovato a Pompei, sulla parete di quella che era
l'osteria di Murecine, rappresenti una scena di culto davanti
alle mura di Pompei, con la porta della città e il santuario dei
Dioscuri sulla destra. Un tempio che ora dobbiamo solo cercare». |
08/02/2015 Sant'Arpino (CE), parco
archeologico e museo in sospeso (Il fatto quotidiano)
“La nostra amministrazione sta lavorando affinché si possano
attuare idee e progetti che contribuiscano concretamente al
rilancio dell’economia dei nostri Comuni e a questo scopo è
stato approvato il progetto «Alla riscoperta del genius loci di
Atella» che consentirà di accedere ai fondi stanziati dalla
Regione nell’ambito degli interventi di promozione e diffusione
dell’immagine culturale della Campania. Lo scopo è far rivivere
l’ex Municipio di Atella rendendolo il fulcro della
valorizzazione del Parco Archeologico attraverso una serie di
iniziative come l’organizzazione di eventi, convegni e
rappresentazioni teatrali; la promozione di un parco urbano
denominato «Il cuore verde di Atella»; l’attivazione degli spazi
del museo del parco archeologico e la promozione delle
eccellenze locali e dell’artigianato”.
Erano i primi giorni dello scorso settembre quando il sindaco di
Sant’Arpino, piccolo comune del casertano, Eugenio Di Santo,
presentò il suo programma per un’area strategica nel suo Comune.
Quella del Parco archeologico, istituito quasi all’estremità est
del centro urbano, proprio in coincidenza dell’abitato romano.
L’occasione, l’incontro con il consigliere regionale, Angelo
Consoli, l’Assessore regionale a Turismo, Personale, Enti Locali
e Beni Culturali, Pasquale Sommese e il consigliere provinciale
Luigi Meditto, oltre ai sindaci delle confinanti Succivo e Orta
di Atella. Di fronte all’ex Municipio di Atella, liberato dai
pannelli di legno e di acciaio che lo circondavano, ripulito
dalla vegetazione infestante e dalle immondizie che la
prolungata incuria aveva fatto prosperare. Intenzioni nobili
quelle del sindaco. Che vorrebbe affidare l’area in gestione a
privati “attraverso un bando pubblico a cui potranno partecipare
cooperative e associazioni che possano valorizzarla e sostenere
i costi di manutenzione necessari”.
L’ex Municipio, nel quale è previsto il Museo archeologico di
Atella e terreni retrostanti, nei quali si conserva l’area
archeologica dal 2010 ufficialmente diventati Parco
archeologico, sono là. Monumenti, incompleti, di un tentativo
finora fallito. Nonostante l’entusiasmo per le scoperte del
1966, rapidamente sopito dopo il termine delle indagini per
mancanza di fondi e il fallimento del Consorzio archeologico
atellano, nato sognando la realizzazione del Parco archeologico.
Nonostante la costituzione di associazioni ed istituti come
l’Istituto di studi atellani, l’Archeoclub di Atella e la Pro
Loco di Sant’Arpino, sorti per dare impulso all’archeologia
atellana. Nonostante nel novembre 1996 il Comune avesse
approvato il protocollo d’intesa per il Parco, sottoscritto tra
Ministero dei Beni culturali, Soprintendenza archeologica per le
province di Napoli e Caserta e Comune di Sant’Arpino. Nonostante
nell’agosto 2003 la Regione Campania avesse deliberato
l’assegnazione di 4.878. 000 euro quale finanziamento per la
realizzazione del Parco. Nonostante quella cifra fosse stata
suddivisa in due moduli, il primo denominato “Museo Archeologico
di Atella e sistemazione aree esterne museo”, per l’importo di
2.450.000 euro, e il secondo denominato “Parco archeologico di
Atella e restauro del Castellone” per 2.428.233 euro.
Nonostante i lavori del primo modulo iniziati nell’ottobre 2005
fossero terminati nel 2009. Nonostante il modulo due fosse
preceduto dall’occupazione parziale dei terreni, pari a circa 65
mila metri quadrati dei circa 240 mila complessivi. Nonostante
che, dopo la campagna di indagini geofisiche del 2006 su un’area
di circa cinque ettari, nel gennaio 2010 avessero preso avvio
gli scavi archeologici con la scoperta di un complesso termale,
in opera laterizia con specchiature in opera reticolata, nelle
vicinanze del foro. Ancora, nonostante proprio quel rinvenimento
avesse permesso, nel luglio 2012, di connotare l’area come parco
archeologico, come scriveva la Soprintendente per i Beni
Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta al Comune
di Sant’Arpino. Nonostante la maggior parte di queste
circostanze sembrasse indirizzare questa storia verso un esito
positivo. Che finora non c’è stato. Terminati i fondi per il
Parco archeologico senza poter realizzare le opere prescritte
dalla Soprintendenza archeologica, a partire dalla copertura
dell’area scavata. Così le erbe spontanee hanno potuto crescere
indisturbate. Contribuendo al crollo delle suspensurae
dell’edificio termale. Provocando il distacco delle tessere dei
mosaici pavimentali, il deterioramento delle creste dei muri.
Mentre in alcuni ambienti l’acqua piovana ristagna. Portati
quasi a compimento i lavori di ristrutturazione all’ex
Municipio, ma senza che si decidesse cosa farne. In attesa che
lo si faccia numerosi gli atti di vandalismo, i tentativi di
furto.
Nel centro campano nel quale l’abusivismo edilizio è una piaga
evidente, che si è deciso di sanare con l’ennesimo condono, il
Parco archeologico circondato da un vasto polmone verde può
ancora costituire l’espediente per riequilibrare una situazione
più che incerta. Proprio per questo, per non sprecare il lavoro
svolto fino al 2010, tante associazioni locali qualche giorno fa
hanno deciso di riunirsi per manifestare la loro preoccupazione.
Nonostante lo spot del sindaco. |
07/02/2015 Pompei (NA), giù due pezzi di
intonaco (Repubblica)
PROBABILMENTE un crollo che non è di ieri, ma a Pompei se ne
sono accorti solo nel primo pomeriggio. Due pezzi di intonaco
all'esterno della Casa del Centenario si sono staccati per le
pesanti piogge dei giorni scorsi. Un rischio che aumenta con il
maltempo. L'edificio è nell'Insula ottava, chiuso da trent'anni
e inserito nel progetto di messa in sicurezza della Regio IX del
Grande Progetto Pompei, la cui gara è attualmente in fase di
aggiudicazione. Il primo cedimento riguarda un quadrato di venti
centimetri di lato di intonaco che originariamente era di colore
rosso, ora quasi del tutto scolorito, all'ingresso della domus,
mentre il secondo distacco consiste in due quadrati di dieci
centimetri di lato di intonaco grezzo in cocciopesto ed ha
interessato un corridoio di servizio della dimora. I frammenti
sono stati recuperati in attesa del restauro. Anche in questo
caso il danno non è gravissimo, ma sommato a tutti gli
sbriciolamenti degli ultimi quattro anni, acquista un peso
diverso e preoccupante.
La Schola Armaturarum, il primo crollo consistente della triste
vicenda pompeiana, risale al 6 novembre 2010. Per quell'evento
la Procura di Torre Annunziata che indagava, emise nove avvisi
di garanzia. Ma poi non se n'è saputo più nulla e neppure è
stato effettuato il ripristino dell'edificio crollato, che era
stato annunciato dalla soprintendenza entro il 2015. Due giorni
prima di quest'ultima caduta di intonaci alla Regio IX, dove
solo i custodi hanno accesso e hanno potuto per questo
constatare il danno, la soprintendenza aveva reso noto lo
smottamento sotto il giardino della Casa di Severus, nella Regio
VIII.
La Casa del Centenario, ricca dimora del secondo secolo avanti
Cristo - come dimostrano le raffinate pitture erotiche e le
scene di caccia che la caratterizzano, ma anche il larario e il
giardino con piscina ninfeo e fontane - è tra le più grandi di
Pompei e occupa un intero isolato. È chiamata così perché la sua
scoperta risale al 1879, un secolo dall'inizio degli scavi
borbonici, ed è chiusa alle visite dagli anni Ottanta. In cinque
anni nell'area archeologica si sono verificati più di trenta
crolli. A marzo 2014 se ne registrarono tre in 48 ore ma ce ne
sono stati anche nel mese di giugno. |
26/01/2015 Nocera Superiore (SA), Il
battistero vittima di una... convenzione (La Città di Salerno)
«Il Comune si attivi per rilevare la proprietà del Battistero»:
così lo storico locale Antonio Pecoraro, a proposito dell'antica
struttura di Nocera Superiore. Secondo lo studioso, il restauro
del bene sarebbe durato più di 100 anni, perché iniziato nel
1858 e continuato fino al 1999, sempre coperto economicamente da
sovrani e organi statali. Lo stesso Pecoraro, negli anni ‘90
ispettore onorario per i Beni culturali su parte del territorio
dell'Agro, aveva informato il sovrintendente Francesco
Prosperetti del fatto che, dall'Unità in poi, tutti gli
interventi eseguiti sul Battistero erano stati realizzati ad
opera dello Stato. «Secondo la documentazione prodottasi
risulterebbe che lo Stato ha surrogato la Curia nei lavori di
restauro e nella gestione. La Curia non dovrebbe esserne
proprietaria». Ed è qui che la storia prende una strana piega.
Sbuca una convenzione sottoscritta nel 2001 tra il Comune di
Nocera Superiore e la parrocchia di Santa Maria Maggiore.
Secondo il documento, arricchito dall'assenso di Curia e
Soprintendenza, la Parrocchia di Santa Maria Maggiore figura
proprietaria del Battistero, mentre Palazzo di Città, all'epoca
retto da Gaetano Montalbano, ne avrebbe chiesto "solo" la
gestione per promuoverla e inserirla nei circuiti turistici.
Secondo la convenzione, il Comune avrebbe avuto il godimento a
titolo precario dell'immobile, occupandosi di renderlo fruibile,
della sua manutenzione, della promozione tramite guide e
materiale informativo: attività andate perse col tempo,
lasciando nell'oblio una struttura fondamentale per la storia
nocerina e italiana. Lo stesso Pecoraro precisa: «La commissione
avrebbe dovuto disciplinarne il tipo di gestione, ma non è mai
entrato in vigore quel regolamento. Il parroco e la Curia non
hanno necessità di avere la proprietà dell'edificio perché
possiedono già la chiesa vicina, terremotata, e ristrutturata
dallo Stato. In sintesi, se il Comune non si attiva, perderà il
Bene, la cui proprietà gli spetta. Il sindaco tenga conto che è
lo Stato ad aver salvato quella struttura che non ha più
funzione liturgica». Tuttavia il primo cittadino Cuofano rifiuta
di fare muro contro la Curia. «Al di là delle competenze, stiamo
lavorando per realizzare un Parco archeologico e abbiamo avviato
un dialogo virtuoso con la Curia e la Sovrintendenza, proprio
sulla discussione di queste tematiche. Insieme risolveremo il
problema». Intanto, La Rotonda – così viene chiamato l'edificio
storico – resta inutilizzato, fermo in un caotico passato e in
bilico sul ciglio di un ipotetico futuro. |
26/01/2015
Pozzuoli (NA), Rione Terra, sul modello di gestione è scontro tra
Regione e Comune
(La Repubblica)
RIONE Terra, il cuore antico di Pozzuoli. Teatro della
disperazione dei pescatori che ne abitavano le rovine, sfrattati
al tempo del bradisismo. Facciate dai colori squillanti, una
piazza intitolata alla memoria del brutto giorno in cui i 5000
abitanti (il 2 marzo ricorrerà il 35esimo anniversario) furono
evacuati perché la terra faceva i capricci. Oggi si presenta
così Rione Terra, il palinsesto della storia di Pozzuoli, una
torta a strati depositaria della grandezza di una città,
totalmente dimenticata. Sotto quegli edifici rimessi a nuovo,
cunicoli su cui si affacciavano botteghe e granai e persino
l'edificio delle terme romane: un pezzo di antichità — la città
dei marinai che sbarcavano in quello che era a tutti gli effetti
il porto di Roma — che si spalanca, intatta e percorribile, agli
occhi dei turisti. Sembra un sogno. E infatti è ancora tale.
Manca, per realizzarlo, l'accordo sul modello di gestione che
metta insieme Regione, Comune di Pozzuoli, Curia, ministero per
i beni culturali e i privati che dovrebbero occuparsi delle
cubature in superficie e rendere visitabile il sito archeologico
sotterraneo.
Quell'accordo è la tessera mancante del puzzle
politicoamministrativo che ha portato in quasi 20 anni, con una
spesa totale di circa 200 milioni di euro, alla riscoperta e al
restauro di una delle parti più interessanti dell'antico porto
di Roma. Due stop ai lavori, fino alla mobilitazione dello
scorso autunno, quando cento dipendenti delle imprese edili
utilizzate dal consorzio Rione Terra rischiarono il
licenziamento. Scongiurato in corner dalla Regione con un
accordo di programma e lo sblocco dei 30 milioni per completare
i lotti 9 e 10 (il campanile, la canonica della cattedrale e il
museo diocesano). I primi 4 milioni sono stati già pagati al
consorzio. Il finanziamento complessivo, relativo alla legge 80
del ‘94, era di 61.458.370 euro, di cui 59 già erogati. Ma di
apertura al pubblico ancora non si parla: fu prevista per un
breve periodo il sabato e la domenica con un biglietto di 3
euro, ma ora Rione Terra è di nuovo sbarrato, anche se il sito
del "Circuito informativo regionale della Campania per i Beni
culturali e paesaggistici" lo riporta come aperto.
Qualcuno a Santa Lucia parla di Rione Terra come di «un'eredità
lasciata a troppi figli». Ai tempi di Bassolino presidente della
Regione fu avviato un protocollo d'intesa mai più siglato.
«Siamo in attesa di chiudere sul modello di gestione — dice
l'assessore regionale al Turismo e ai beni culturali, Pasquale
Sommese — per il quale prendiamo a esempio la buffer zone del
Grande Progetto Pompei, che dovrebbe valere anche per Carditello
». Buffer zone deriva da un termine usato dall'Unesco per
definire «un'area che deve garantire un livello di protezione
aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell'umanità
», ma nel Gpp rappresenta più una zona "limitrofa" al sito
archeologico, che resta invece la core zone. «Come Regione —
prosegue Sommese — noi abbiamo già individuato l'obiettivo, ora
la Diocesi, il Comune e il ministero facciano la loro parte.
Mediante il project financing si dovranno realizzare alberghi e
botteghe di qualità. Il Comune propone un concorso di idee
internazionale, ma noi crediamo che bisogna partire subito. Si è
a buon punto per costruire questo organismo di gestione. Il 2015
è l'anno della svolta». Fin qui, la Regione. L'altro attore
della vicenda, il Comune, è su una diversa lunghezza d'onda. Il
sindaco Vincenzo Figliolia preferirebbe un modello Colosseo per
Rione Terra. «Vorremmo mettere in campo un progetto unico che
possa gestire la parte alberghiera turistica con il controllo
della parte pubblica. Rione Terra è un resort all'aperto, con
tanti piccoli alberghi fino a un totale di 600 posti letto e
occorre una gestore, un privato che risolva il problema della
produttività. Abbiamo una città ricca di siti, l'anfiteatro, il
tempio di Serapide, Cuma: peccato non mettere a reddito tanti
beni patrimonio dell'umanità. Il Comune ha recentemente siglato
un protocollo d'intesa con la soprintendenza: non avevano
personale sufficiente per la gestione e abbiamo messo a
disposizione il nostro».
Sono passati 35 anni. Tra pochi giorni, un nuovo anniversario
del sacrificio fatto dagli abitanti. Per niente? «Sono in agenda
già degli incontri al ministero che si terranno a breve»,
annuncia il sindaco. Un tavolo aperto a Roma per i problemi di
Pozzuoli. «Ma la questione non è semplice — dice Figliolia — la
conclusione non avverrà dalla mattina alla sera». |
02/01/2015
Napoli (NA), Centinaia di turisti delusi a Pompei. «Selfie» davanti
ai cancelli sbarrati (Corriere del Mezzogiorno)
«Inutile tenere aperti gli Scavi a Capodanno, arrivano pochi
turisti». Il ministro Dario Franceschini è stato smentito dalla
realtà. Da quei circa duemila turisti che ieri mattina sono
scesi dai loro pullman e hanno trovato i cancelli dell’area
archeologica di Pompei chiusi. Qualcuno si è arrabbiato, qualcun
altro ha chiesto di poter fare comunque una passeggiata intorno
alle inferriate di cinta del sito per sbirciare oltre. Molti
altri hanno fatto dei selfie con le rovine alle spalle per poter
dire: io sono stato a Pompei. Ma chissà se avranno il coraggio
di raccontare ai loro amici che la città romana sepolta duemila
anni fa dalla lava del Vesuvio non l’hanno vista. E tutto perché
il ministero dei Beni culturali nelle settimane scorse è sceso a
patti con i sindacati.
Ma gli oltre trenta pullman turistici arrivati ieri mattina
davanti agli Scavi e rimandati indietro hanno fatto esplodere il
web di commenti e accuse. E stavolta ad uscirne malconcio è
proprio il ministro. Che dopo le polemiche del 25 dicembre,
altra giornata in cui gli Scavi rimasero chiusi, disse:
«Polemiche estemporanee. E’ una scelta presa con i sindacati e
dettata da ragioni di buona amministrazione, dopo aver valutato
i dati dell’affluenza». E rese note le cifre: il 25 dicembre del
2013 sono state registrate in tutto 827 persone. Solo qualche
turista in più, 889, il 25 dicembre del 2012. Secondo il
ministero capodanno non ha mai brillato per biglietti staccati.
In tutto 2.350 visitatori nel 2014 e 2.835 nel 2013. «Presenze
di fatto troppo contenute rispetto alla media di altri più
normali festivi, tali comunque da non giustificare i costi di
un’apertura straordinaria». Sarà. Ma la tesi non convince. Il
problema non è solo di visitatori, ma anche e soprattutto di
immagine. Quella che a Franceschini era stata tanto cara durante
il braccio di ferro con i sindacati sulle assemblee che
costringevano il sito a chiudere i battenti. «Pompei rappresenta
l’Italia. I turisti davanti ai cancelli chiusi sono un danno
incalcolabile per il Paese», tuonò. E ora. Facciamo un po’ di
conti.
Trenta bus turistici con una media di 50 passeggeri, fanno
millecinquecento turisti. Molti altri sono arrivati su minibus
provenienti direttamente da Napoli dove in porto era attraccata
una grossa nave da crociera. Sono i visitatori che si sono mossi
in base a pacchetti già acquistati da tempo. Beffati. Molti
altri hanno disdetto la visita in tempo. Testimone di quanto
accaduto ieri mattina Antonio Irlando, presidente
dell’Osservatorio Patrimonio culturale. «Dopo quello che ho
visto - racconta - fuori l’area archeologica di Pompei ribadisco
che chiudere gli scavi a Natale e Capodanno è stato inopportuno
e che si è persa un’occasione. Le ragioni che hanno indotto il
ministro Franceschini sono state clamorosamente smentite. Si era
raggiunto anni addietro uno storico accordo con i sindacati e
non confermarlo ha comportato la perdita di un prezioso credito
per l’’Italia e per un territorio di crisi come quello
vesuviano. Inoltre lo stop è stato comunicato solo due giorni
prima di Natale, mentre Pompei viene visitata da turisti che
accorrono da ogni parte del mondo e programmano cosa fare con
largo anticipo».
Poi la proposta: «Sarebbe stato meglio puntare, magari con una
domenica gratis in meno, su una peculiarità di Pompei rispetto
ad altri musei nazionali, come proposta strategica di promozione
con cui incrementare flussi e permettere al territorio di avere
ricadute positive in termini economici». |
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