I Bizantini a Napoli: un suggestivo itinerario tra chiese e monasteri

Serena Del Buono

A partire dal VI secolo, Napoli, città bilingue, diventa oggetto di contesa tra Goti e Bizantini con la definitiva vittoria di questi ultimi e del generale Narsete che nel 553 ricostruisce e fortifica le mura di Neapolis, inglobando anche il quartiere Pendino come difesa portuale. Ma soprattutto si adotta quella concezione policentrica che sarà, in seguito, caratteristica delle nascenti città medievali. Difatti è in questo periodo che, a discapito del foro e degli edifici più antichi che verranno riutilizzati a seconda del caso, Napoli vede la nascita di due fulcri principali : il centro religioso, a nord-ovest, con le chiese di Santa Restituta e della Stefania (secondo alcuni l’una di rito latino l’atra di rito bizantino) e il centro politico, caratterizzato dalla presenza del palazzo ducale, inglobato poi nel Convento dei SS. Marcellino e Festo, sul Monterone (attuale università). L’infittirsi dell’apparato viario cittadino e l’ampliamento delle mura stimola il prolificare di nuove sedi ed edifici religiosi bizantini (caratterizzati da strutture senza transetto), voluti dai monaci basiliani provenienti dall’oriente. Un suggestivo itinerario, attraverso quelle che furono le antiche vestigia di Bisanzio, parte dall’originale chiesa di Sant’Aspreno, antico oratorio, oggi inglobato nel palazzo della borsa, tipico esempio di arte bizantina. Questo fu edificato su un edificio termale romano, ma dell’antico splendore restano solo l’altare con lastre marmoree del VIII secolo, con relativa iscrizione greca dei nomi dei coniugi Campulo e Costanza, costruttori della chiesa. Proseguendo per Via Duomo, oltre alle già citate chiese di Santa Restituta, oggi accorpata al Duomo, e della Stefania, di cui restano poche tracce archeologiche, si incontra una basilica fatta costruire da San Severo, in onore di San Giorgio, tra IV e V secolo. Dell’antico edificio restano l’abside semicircolare, sul quale doveva esserci un mosaico, e due colonne corinzie sul cui pulvino è impressa una croce monogrammatica greco-latina. Ancora su Via Duomo, imboccando Via Settembrini e giungendo a Largo SS. Apostoli, incontriamo la chiesa con annesso convento dei SS. Apostoli che ha origine nel V secolo.
Salendo nei pressi di Via San Bigio dei Librai ci si imbatte nella Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta con l’annesso Campanile romanico. Questo, insieme alla sala delle colonne del Castel dell’Ovo, è tra gli edifici sacri più suggestivi dell’epoca. Sorta nel nucleo più antico della città, fu fatta costruire dal vescovo Pomponio, nel VI secolo, probabilmente sull’antico tempio pagano di Diana come prima basilica dedicata alla Vergine e rappresentò una delle quattro maggiori chiese di Napoli. Sopravvivono al fagocitante barocco numerosi reperti romani e il paleocristiano campanile.
Meta finale del nostro viaggio bizantino non può che essere Megaride e quello che fu il Castrum Lucullanum, o almeno, secondo le ultime indagini, una parte dell’antica e immensa villa del romano Licinio Lucullo, trasformata poi dai bizantini in borgo fortificato. L’area, infatti, fu occupata da numerose comunità monastiche orientali che diedero il loro importante contributo allo sviluppo economico e sociale della città. Di questi conventi sono ancora visibili i resti all’interno della fortezza. Si incontra la cappella del Salvatore, un edificio caratterizzato da un vano centrale quadrato sormontato da una cupola e da due bracci ortogonali con volte a botte e quattro colonne in piperno grigio. Proseguendo, dove attualmente è visibile il loggiato gotico, vi era San Pietro, purtroppo andata distrutta; attraverso una stretta scala si può discendere verso le celle dei monaci, scavate nel tufo e divise in due diramazioni: un’ala dedicata a Santa Patrizia - romitorio destinato alle donne - e l’altra destinata ai monaci basiliani scampati alle lotte iconoclastiche. Refettorio dei monaci era una sala a pianta rettangolare divisa in quattro navate, caratterizzata dalla presenza di dodici colonne di marmo, risalenti alla villa di Lucullo, riutilizzate per sostenere gli archi, la famosa sala delle colonne.