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30/12/2005
RITROVAMENTI FOSSILI NEL SANNIO
C’era un pezzo d’Africa in Campania, quasi un milione di anni fa.
Una striscia di terra stretta tra i monti e il mare, coperta da
rigogliose foreste di carya e su cui scorazzavano branchi di
rinoceronti, elefanti, ippopotami e cervi giganti. I resti fossili di un
rinoceronte e di un elefante, risalenti a quell’epoca, sono stati
intercettati dagli archeologi della Soprintendenza archeologica di
Salerno, Avellino e Caserta nell’area di masseria Cambera, a Sant’Agata
dei Goti, in provincia di Benevento. La presenza degli animali, stando
ai reperti che lo scavo ha restituito, risalirebbe appunto al
Pleistocenico, e sarebbero «vecchi» di circa 800mila anni. Un
ritrovamento che secondo i ricercatori avrebbe il carattere
dell’eccezionalità e permetterebbe di raccogliere straordinari dati
scientifici sul passato geo-morfologico di quella zona. Situata un
centinaio di chilometri dalla foce del Volturno e a meno di ottanta dal
complesso vulcanico del Roccamonfina, l’area era assolutamente
differente da come si presenta attualmente: i monti erano più bassi (la
cima del Taburno era poco elevata sulla piana); la pianura, un lago con
zone paludose; il clima fortemente umido; l’habitat faunistico,
costituito essenzialmente da animali di grossa taglia come ippopotami,
elefanti e rinoceronti. «A onor del vero - sottolinea Giovanni Di Maio,
il geologo che ha datato i reperti - l’idea che questa zona fosse una
miniera di fossili l’avevamo già accarezzata durante i lavori per la
posa del metanodotto della Snav, allorché trovammo una mascella
d’ippopotamo e alcune vertebre di cervo». Di qui il ritrovamento attuale
del corno del rinoceronte e di altri elementi appartenuti sia allo
scheletro del mammifero che a quello di un elefante, anch’esso stimato
risalente al pleistocenico. Causa della scomparsa degli animali, molto
probabilmente, fu la grande eruzione del Roccamonfina, che sconvolse la
piana campana appunto in quel periodo preistorico. Anche se, dai segni
che sono stati individuati sui resti, si potrebbe pensare a una morte
avvenuta in un’area del lago molto vicina alla spiaggia, e forse seguita
a una lotta cruenta per il controllo del territorio. Quindi, sarebbero
intervenuti gli «spazzini»: uccelli rapaci e altri carnivori (con ogni
probabilità si tratta di iene) che avrebbero fatto piazza pulita delle
carogne. «Quella che abbiamo trovato - sottolinea Maria Fariello,
l’archeologa responsabile dell’area - ci appare sempre di più come una
miniera di dati scientifici unici per il territorio. Peccato che tra
poco ci si debba fermare per esaurimento dei fondi: forse non riusciremo
nemmeno a scavare interamente i resti trovati». Fossili sui quali sta
indagando Raffaele Sardella, paleontologo e ricercatore all’Università
La Sapienza di Roma che evidenzia le diverse possibilità offerte dal
giacimento di Sant’Agata, a partire dal quadro scientifico «di un
momento molto antico dell’umanità e dell’Italia di 800mila anni fa, per
continuare con uno scenario che non esclude poi l’eventualità di
ritrovamenti d’oggetti o manufatti che indichino una frequentazione
umana». L’esplorazione ha toccato per adesso solo il primo livello, a
circa tre metri dal piano di campagna, e assieme ai resti animali ha
permesso di recuperare notevoli quantità di semi e tracce della flora
dell’epoca. Su questi ultimi reperti, Elda Russo, della Federico II di
Napoli, sta effettuando analisi al fine d’individuare le famiglie e le
caratteristiche delle piante. «Insomma - sottolinea l’archeologa - è
come se si fosse aperta una finestra sul passato assolutamente unica».
(Fonte: IL MATTINO)
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17/12/05 LICOSA, AFFIORA IL
TESORO DI ULISSE
Tesori che si nascondono appena sotto la superficie del mare e con
la bassa marea riemergono dalle onde come brandelli di muri: accade a
Licosa, l'isoletta che guarda Castellabate e che deve il suo nome alla
sirena che qui si inabissò per amore di Ulisse, come racconta il mito. A
tracciare la mappa geologica e il quadro delle ricchezze archeologiche
custodite nello specchio di mare antistante l'isola è stato l'archeologo
subacqueo Salvatore Agizza. La presentazione dello studio inedito è
avvenuta nel corso convegno scientifico che ha concluso l'edizione
numero trentotto della kermesse «Natale subacqueo di Amalfi». Un evento
che ha fatto il punto sull'archeologia subacquea in Italia, con una
lente di ingrandimento per la realtà della costa di Salerno. Le indagini
condotte da Agizza si innestano sugli studi già condotti dalla
soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino, Benevento e li
arricchiscono con ulteriori e approfonditi rilievi delle strutture
conservate a pelo dell'acqua. L'isola di Licosa che oggi misura in asse
170 metri, un tempo aveva una superficie maggiore che fuoriusciva dalle
acque, ma poi, per un fenomeno non del tutto chiaro neppure agli
studiosi, è stata in parte sommersa dai flutti e con essa anche
l'edificio che vi sorgeva sopra. «La struttura che è ipotizzabile sia
stata destinata ad un uso abitativo - spiega l'archeologo subacqueo - è
di un'epoca non accertata, ma la ceramica rinvenuta nell'area fa pensare
sia a una frequentazione greca che romana». Lo studio di Agizza si basa
anche sulle carte nautiche che recano la menzione dell'isola a partire
dal 1300 e prende il via dalla tesi di laurea discussa dallo stesso con
il docente Claudio Mocchegiani Carpano del Suor Orsola Benincasa di
Napoli. «Desidero ringraziare la soprintendente Giuliana Tocco,
l'ispettore di zona Antonella Fiamminghi e l'operatore tecnico sub Carlo
Leggieri, grazie ai quali ho potuto condurre il mio lavoro - continua
Agizza - Ma quello di Licosa è un capitolo ancora aperto che necessita
di maggiori approfondimenti». Il convegno scientifico che ha concluso la
kermesse «Natale subacqueo di Amalfi» ha visto anche altri preziosi
contributi scientifici. Le evidenze archeologiche sommerse nelle acque
prospicienti la costa fra Positano e Sapri sono state presentate
dall'ispettore archeologo Maria Antonietta Iannelli della soprintendenza
Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento. Villaggi preistorici e
rischio tzunami sulla costa di Salerno sono stati, invece, al centro
della riflessione del responsabile Geomed Giovanni Maio. I progetti, le
ricerche e le scoperte dell'archeologia subacquea in Italia sono stati
illustrati dall'ispettore archeologo Luigi Fozzati della soprintendenza
per i Beni archeologici del Veneto, che si è soffermato in particolare
sul progetto Archeomar, un censimento delle coste compiuto dal Ministero
dei beni culturali. Gli strumenti e la metodologia della ricerca
archeologia subacquea sono stati approfonditi dall'operatore sub Carlo
Leggieri della soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e
Benevento. Fabio Barbieri, responsabile del diving center Palinuro Sub,
ha invece evidenziato l'importanza e il ruolo della memoria per
contrastare gli scempi e tutelare con efficacia il patrimonio sommerso.
A fare gli onori di casa è stata, invece, l'assessore al Turismo di
Amalfi, Immacolata Lauro.
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16/12/05 ANFITEATRO CAMPANO,
LA RISPOSTA DI DE CARO
Il giudice ha ordinato il sequestro di un monumento considerato
patrimonio dell’archeologia mondiale. Contestualmente la soprintendente
archeologica di Napoli e Caserta, Maria Luisa Nava, viene indagata. Un
polverone, cancerogeno secondo alcuni, che però potrebbe svanire nel
nulla come una bolla di sapone. O almeno di questo è convinto il
direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Campania,
Stefano De Caro. «Aspettiamo, vediamo prima cosa prescrive la normativa.
Intanto noi abbiamo provveduto a isolare l’area in questione. Un
intervento avvenuto quasi in contemporanea con il sequestro ordinato dal
gip a conclusione delle indagini dei carabinieri. Anche da parte nostra,
infatti, era stato comunicato il provvedimento da adottare». Un
provvedimento giunto con un po’ di ritardo, se solo si vuol pensare che
la normativa è cambiata nel 2002 e l’interrogazione dei consiglieri
comunali e il sopralluogo della commissione consiliare sull’ambiente c'è
stata all’inizio dell’estate. Il sindaco Iodice, poi, avrebbe trasmesso
gli atti alla Soprintendenza di lì a poco mentre si continuava a
consentire ai visitatori di accedere ad un’area potenzialmente
pericolosa. «Ogni qual volta c’è stato un pubblico più numeroso del
consueto - ha spiegato l’ex soprintendente De Caro - l’arena è stata
isolata con una copertura. Fino a oggi, invece, l’isolamento non è stato
programmato in maniera continua perché l’argomento non è ancora del
tutto pacifico». In che senso? «Nel senso che spetterà ai tecnici
stabilire se il problema (dell’utilizzo delle traversine trattate con il
cancerogeno creosoto, ndr) va approfondito. L’amministrazione dei Beni
culturali vaglierà con l’Avvocatura di Stato, dopo di che faremo
presenti le nostre osservazioni». E non sarà la Soprintendenza il
contraddittore della Procura, bensì direttamente il ministero dei Beni
Culturali». De Caro lascia intravedere che l’allarme possa rientrare.
«Ma ripeto: saranno i tecnici a stabilirlo. In questo momento, comunque,
lo stesso materiale viene usato per fare i parapendii alle Olimpiadi di
Torino 2006». All’epoca dell’installazione delle traversine il
Soprintendente era proprio Stefano De Caro. «Ma ho smesso di esserlo -
spiega - prima della pubblicazione del Decreto della ministero della
Salute e quindi non sono io parte in causa. Però voglio ricordare che
quando ho fatto quella scelta era legittima e opportuna sia dal punto di
vista ambientale sia dal punto di vista economico. Le leggi cambiano, si
scoprono nuove cose e ci si adegua. La commissione ambiente del Comune
si occupa esplicitamente di questi argomenti e quindi segue l’evoluzione
della normativa. Noi sulla Gazzetta Ufficiale andiamo a guardare i
provvedimenti che interessano i Beni Culturali piuttosto che la pesca,
l’ambiente o tutto il resto. È importante, comunque, chiarire un
aspetto: non è che siamo inquinatori per professione. L’intervento era
stato fatto nell’interesse di un monumento. La buona fede ci sarà
riconosciuta». E intanto, questa mattina, vertice in Procura a Santa
Maria Capua Vetere per valutare gli ulteriori adempimenti da adottare
dopo il sequestro dell’arena e dell’ipogeo dell’anfiteatro.
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15/12/05 SIGILLI ALL’ARENA
DELL’ANFITEATRO CAMPANO PER LE TRAVERSE CANCEROGENE
Un parquet in legno riciclato. Un’enorme passerella che attraversa
l’arena e l’ipogeo dell’Anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere,
collegando e scavalcando le 64 botole che danno accesso ai sotterranei.
È lì da sei anni, omaggio delle Ferrovie dello Stato alla Soprintendenza
archeologica di Napoli e Caserta. Da oltre tre anni è fuorilegge, perché
dal 2002 è vietato il riciclaggio del legno impregnato di olio di
creosoto, una sostanza altamente tossica e cancerogena con il semplice
contatto. E proprio di creosoto - antideformante e ignifugo - erano
imbevute le traversine dei binari, quelle smantellate dalle Ferrovie e
regalate alla Soprintendenza che doveva ristrutturare l’Anfiteatro. È
stato quel parquet tossico, quella passarella velenosa, a provocare il
sequestro preventivo di quello che è il secondo anfiteatro romano
d’Italia per grandezza, subito dopo il Colosseo. Il provvedimento è
stato firmato dal gip di Santa Maria Capua Vetere, a conclusione di
un’indagine del carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio
artistico coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Albano e dal pm
Donato Ceglie. Indagata la soprintendente archeologica di Napoli e
Caserta, Maria Luisa Nava, che non ha provveduto - secondo l’accusa - a
garantire la sicurezza dei frequentatori dell’anfiteatro, smantellando
le traversine. Il sequestro è stato esteso a tutta l’area dell’arena e
dell’ipogeo, in attesa che vengono delimitate le aree pericolose e che
venga rimossa la copertura in legno. Nel frattempo, i turisti potranno
visitare solo l’area esterna. Invariato, però, il prezzo del biglietto:
2 euro e cinquanta. A sollevare la questione delle traversine tossiche
erano stati, la scorsa estate, alcuni consiglieri comunali di Santa
Maria Capua Vetere, componenti della commissione ambiente, che avevano
presentato un’interrogazione al sindaco Enzo Iodice sulla sicurezza
dell’anfiteatro. Iodice aveva trasmesso la nota alla Soprintendenza, i
consiglieri comunali ai carabinieri. Quindi, l’apertura dell’indagine e
la perizia, affidata all’Asl Ce2, sul legno di copertura delle botole.
Gli esami hanno confermato che le traversine erano imbevute di creosoto
(ne è vietato l’utilizzo, come specificato nel decreto del ministero
della Salute, in parchi, giardini e in altri luoghi pubblici in cui vi
sia possibilità di frequenti contatti con la pelle). All’epoca della
posa delle traversine, il legno trattato non rientrava tra i rifiuti
pericolosi e poteva, dunque, essere riciclato. L’Anfiteatro campano di
Santa Maria Capua Vetere, di epoca romana, fu costruito tra il I e II
secolo dopo Cristo e fu successivamente ampliato da Adriano e Antonino
Pio. Della sua grande mole, di poco inferiore a quella del Colosseo, non
resta moltissimo in quanto le gradinate, che potevano contenere fino a
40 mila spettatori, sono quasi interamente andate distrutte. Ben
conservati sono, invece, i sotterranei composti da una serie di corridoi
coperti da volte a botte. Ogni estate ospita le rappresentazioni dei
«Teatri di pietra» e concerti.
I consiglieri comunali di Santa Maria Capua Vetere in più occasioni
avevano cercato di far comprendere quanto delicata fosse la questione
relativa alle traversine ferroviarie impregnate di olio di creosoto e
posizionate a copertura dell’arena dell'Anfiteatro Campano. Il grido
d’allarme era stato lanciato diversi mesi fa dai rappresentanti di
Alleanza Nazionale Dario Mattucci e Pasquale Dubliano dai banchi della
minoranza in seno all’assemblea cittadina. A loro, poi, si era accodato
anche il consigliere di Forza Italia Gerardo Di Vilio. «Di
quell’interrogazione - ha spiegato Dario Mattucci - non ne abbiamo copie
in archivio perché l’unica in nostro possesso fu consegnata ai
carabinieri di Santa Maria Capua Vetere». Dopo uno spettacolo di Peppe
Barra all’Anfiteatro, invece, Di Vilio sollecitò a voce un urgente
intervento dell’Amministrazione comunale. «Dopo aver portato la
commissione ambiente a conoscenza della questione - ha spiegato Gerardo
Di Vilio - facemmo anche un sopralluogo all’interno dello storico
monumento dove notammo anche altre traversine accatastate oltre a quelle
piazzate sull’ipogeo». Il sequestro dell’Anfiteatro, però, soddisfa in
parte le rimostranze dei consiglieri in questione. «Noi - continua Dario
Mattucci - ci eravamo posti innanzitutto il problema della tutela dei
beni archeologici a Santa Maria Capua Vetere e si tratta di un’azione
che deve riguardare l’intero patrimonio archeologico di Capua Antica.
Avevamo più volte denunciato questa situazione all’Amministrazione e
alla Soprintendenza senza avere ottenere risposte. Abbiamo denunciato
che a Santa Maria si costruisce o si edifica davanti all’Anfiteatro,
all’interno del quale c’è una pavimentazione classificata come
pericolosa per la salute. Se la Soprintendenza nell’Anfiteatro va a
violare la legge è un segno di come sia poco attenta a una tutela
generale dei beni archeologici. Da parte nostra va un plauso all’azione
delle forze dell’ordine, che purtroppo sono chiamate a sostituire gli
organi deputati all’amministrazione ordinaria. Verificheremo se il
sindaco Iodice ha sollecitato la Soprintendenza dopo la nostra
segnalazione. Se l’ha fatto, ne prenderemo atto, altrimenti entrerà in
gioco anche una responsabilità politica da parte dell’Amministrazione
comunale e del primo cittadino». La replica di Enzo Iodice, comunque, ha
sgombrato il campo da questo dubbio. «Se si tratta effettivamente di
materiale che può essere nocivo - ha spiegato il sindaco - è giusto che
venga rimosso. Per ciò che concerne le comunicazioni alla
Soprintendenza, avevo provveduto ad inviare una copia
dell’interrogazione. Io non ho competenza. Non sono al corrente dei
particolari del provvedimento di sequestro e spero che il problema possa
risolversi in tempi brevi per consentire il calpestio dell’arena e
quindi le visite all’Anfiteatro».
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15/12/05 BENEVENTO, SOSPESI
GLI SCAVI ED INTANTO MINACCE AGLI ARCHEOLOGI
Sospesi gli scavi archeologici nella zona compresa tra via Stefano
Borgia e corso Garibaldi, mentre sono praticamente ultimati i lavori di
ripavimentazione in questa area. Il motivo della sospensione degli scavi
è da ricercare nella necessità di reperire ulteriori fondi da parte del
Comune per questi lavori, avendo la Soprintendenza chiesto altri
accertamenti, dopo i ritrovamenti dei giorni scorsi che hanno riservato
molte novità. Il Comune si è detto pronto, in breve tempo, a consentire
la definitiva sistemazione dell’area tenendo nel dovuto conto questi
reperti. La Soprintendenza archeologica ha disposto ulteriori ricerche,
infatti finora è emerso che nella zona vi erano strutture romane di
epoca imperiale, addirittura reperti termali. In base ai reperti emersi
finora nella zona vi dovevano essere residenze imponenti. Si era
iniziato con il reperire negli scavi parti di mosaici, poi sono venuti
alla luce reperti di grande valore che richiedono anche ulteriori
accertamenti. Senza dubbio questi di via Stefano Borgia sono i reperti
più importanti tra quelli che sono venuti alla luce durante la
ripavimentazione di corso Garibaldi. Ci sono stati sopralluoghi,
presenti tra gli altri anche le funzionarie della Soprintendenza
Giuseppina Bisogno e Tomai, e l’ingegnere Capone del Comune. C’è la
volonta di far rimanere visibili questi reperti, una soluzione non
complessa tenuto conto del luogo dove c’è stato il ritrovamento, che non
incide sui lavori di pavimentazione di via Stefano Borgia e del nuovo
spiazzo realizzato lungo vico Umberto primo, tanto è vero che questa
pavimentazione è stata ultimata. Del resto gli stessi esperti della
Soprintendenza archeologica tengono a ricordare che ormai sono stati
acquisiti altri ritrovati, per rendere visibili questi reperti. Pertanto
non è detto che si debba ricorrere solo ai vetri come è appunto avvenuto
in altre zone della città, in particolare in piazza Santa Sofia. Una
tematica che sarà affrontata d’intesa tra Soprintendenza e Comune. I
reperti di via Stefano Borgia non hanno nulla a che vedere con quelli
venuti alla luce all’interno di uno dei cortili del Palazzo del Governo.
In questo ultimo caso si tratta solo di una cisterna.
Due addetti agli scavi archeologici in corso per la ripavimentazione di
corso Garibaldi hanno ieri mattina subito minacce da un misterioso
individuo che poi si è dileguato facendo perdere le tracce. In
particolare i due che operano per conto della Sovrintendenza
archeologica sono stati avvicinati dall’uomo che con fare minaccioso ha
detto: «dovete finite di lavorare perchè questo cantiere deve essere
rimosso per le feste di fine anno». I due hanno fatto intervenire gli
agenti della Volante a cui hanno raccontato l’accaduto. Come è noto da
oltre un anno sono in corso lavori per la ripavimentazione di corso
Garibaldi. Questi lavori sono stati fatti a zona e ora si è nella parte
conclusiva nell’area adiacente piazza Duomo. S’ipotizza che proprio a
fine dicembre anche quest’ultimo tratto possa essere reso del tutto
agibile e quindi essere reso del tutto fruibile ai cittadini e quindi
favorire l’accesso ai negozi.
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6/12/2005
PULIZIA PER L'ARCO DI TRAIANO A BENEVENTO
L’Arco di Traiano tornerà presto ”pulito” e luminoso com’era subito
dopo gli interventi di restauro conclusi a marzo del 2001. La
Soprintendenza per i Beni Archeologici ha infatti disposto un intervento
di manutenzione per evitare che le polveri depositate sull’importante
monumento in questi 4 anni si induriscano e formino nuovamente le croste
nere che corrodono la superficie del marmo. Il nuovo ciclo di lavori si
limiterà alla rimozione dei depositi accumulatisi negli ultimi anni,
attraverso una spazzolatura e un blando lavaggio realizzato con getti di
acqua controllati; sarà però anche verificata la tenuta delle stuccature
su tutta la superficie, per ripristinare quelle poco efficaci o crearne
delle nuove in corrispondenza di recenti microfessure, prima che queste
possano allargarsi e innescare così un nuovo processo di decomposizione
del marmo. L’Arco comunque non sarà ”impacchettato” e celato
completamente alla vista dei turisti: si eviterà infatti il ricorso ad
impalcature grazie all’utilizzo di carrelli elevatori messi a
disposizione dal Comune di Benevento, mentre un ponteggio è stato
realizzato solo nel fornice i cui pannelli hanno bisogno di un
intervento più puntuale e di maggiore durata. In particolare, il
pannello di destra è stato restaurato nel 1987 senza eseguire una
pulizia molto approfondita, per cui oltre alle normali spolverature si
dovrà provvedere ad alleggerire le ”croste” residue, procedere alle
stuccature necessarie e consolidare tutta la superficie con silicato di
etile. Il nuovo intervento sarà eseguito dall’architetto Antonio
Forcellino, autore dei precedenti restauri.
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2/12/2005
ANFITEATRO DI BENEVENTO: 20 ANNI DI OCCASIONI PERDUTE
Il Comune di Benevento ha appena partecipato alla “Borsa del turismo
archeologico del Mediterraneo”, svoltasi a Paestum dal 17 al 20 novembre
scorsi. Eppure non si può proprio dire che nel capoluogo sannita
l’attenzione alle emergenze archeologiche sia prioritaria.Di certo non
lo è stata nei confronti di un ritrovamento straordinario, effettuato
casualmente circa 20 anni fa nei pressi della stazione Appia, in via
Munazio Planco.
Che nella Benevento romana esistesse un Anfiteatro era certo: lo
testimoniavano le fonti antiche. Esse, addirittura, riferivano della
presenza di Nerone a giuochi ivi organizzati. Tuttavia del monumento si
era persa la memoria per millenni, tanto che, a fine Ottocento, quando
il Meomartini ritrovò le vestigia del Teatro Romano, furono in molti a
confondersi. In realtà il Teatro, meglio preservatosi perché incluso
nelle mura longobarde, era una costruzione destinata agli spettacoli
scenici (commedia, tragedia, mimo) composto di una platea semicircolare
che dava su un palcoscenico. Nell’anfiteatro, di forma normalmente
circolare o ellittica, si svolgevano invece i veri confronti tra
gladiatori.
I dubbi degli studiosi su dove esso fosse collocato furono risolti
casualmente a metà degli anni ’80, quando venne abbattuto il pericolante
orfanotrofio di epoca fascista (la “Casa della madre e del bambino”). La
società Gepel avrebbe voluto costruire nell’area di sedime un nuovo
edificio, ma durante i lavori alcune emergenze archeologiche attirarono
immediatamente l’attenzione della Soprintendenza: l’area fu posta sotto
vincolo. Varie campagne di scavo (effettuate a più riprese nel 1989, nel
1991, nel 1992 e, da ultimo, nel 1995) fugarono ogni dubbio. Per oltre
dieci anni il cantiere rimase praticamente senza sistemazione, difeso da
un recinto di lamiere sempre più precarie e da una tettoia, pure in
lamiere, che difende ancor oggi gli scavi (ma li nasconde pure alla
vista). L’unico intervento effettuato, a fine anni ’90, fu la
costruzione di una recinzione più stabile e l’apposizione di una tabella
esplicativa, per altro oggi scomparsa.
Negli anni seguenti di effettuare interventi globali di recupero
nell’area si è molto parlato senza realizzare nulla. L’anfiteatro, in
realtà, sorge nel cuore di un parco archeologico che, partendo dalla
zona dell’Arco del Sacramento, lungo l’area del Teatro Romano, poi
passando lungo la vicinissima area dei “Santi Quaranta“ (un
criptoportico romano posto a fianco della Basilica della Madonna delle
Grazie), dovrebbe giungere fino all’area archeologica di Cellarulo,
valorizzando il romano Ponte Leproso.
Già nel 1995, quando si prospettò l’incompiuta occasione dei Programmmi
di Recupero Urbano, uno dei progetti riguardava l’area delle vicina
ex-Metaplex, dismesso stabilimento industriale adiacente all’area degli
scavi. Ma il progetto non ricevette finanziamento.
Nel 1998 fu invece l’allora Ministro peri i Beni Culturali Walter
Veltroni ad annunciare l’intenzione del Ministero di acquisire l’area.
L’iniziativa finì nel silenzio, proprio mentre alcuni comitati civici,
tra cui lo storico “Giù le mani” protagonista della battaglia per
Cellarulo, lanciarono l’idea di una Parco Archeologico per l’intera
area. L’allora assessore all’Urbanistica Pino Iadicicco si disse
disponibile, ma alle idee non seguirono i fatti. Almeno fino a che la
Giunta Comunale, proprio nei primi mesi di quest’anno, ha richiesto alla
Regione Campania un finanziamento, dalla stessa negato, per la
realizzazione di una Parco a Cellarulo. Si direbbe che una sorta di
“congiura” di tutti gli enti preposti condanni quanto resta
dell’Anfiteatro all’abbandono. L’archeologia pare proprio fuori
dall’”asse-città” che ha caratterizzato gli interventi di questi anni.
Frattanto i privati si muovono: nel terreno adiacente all’anfiteatro si
sta ristrutturando l’edificio colonico, con tanti saluti all’idea di
acquisire quel terreno per proseguire gli scavi. Ma che importa? Alla
“Borsa del turismo archeologico” comunque c’eravamo... (da IL QUADERNO)
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23/11/2005
QUASI PRONTO IL MUSEO DI PONTECAGNANO
Per realizzare il nuovo museo archeologico a Pontecagnano ci sono
voluti più di 10 anni. L'edificio di via Lucania tra non molto sarà
pronto ad accogliere i tanti reperti rinvenuti in anni ed anni di lavoro
eseguiti dalla Soprintendenza ai Beni archeologici di Salerno sul
territorio della città picentina. Il trasloco degli importanti reperti,
dalla sede provvisoria di piazza Risorgimento, avverrà molto presto.
Parola della direttrice Angela Iacoe . «Siamo in dirittura d'arrivo-
dice- e credo che nei primi mesi del 2006 saremo pronti ad aprire
finalmente i battenti». Una buona notizia, ma manca una strada d'accesso
al museo, oltre ai parcheggi, l'illuminazione e la prevista piazza che
serve ad abbellire la facciata principale dell'edificio. Niente di tutto
questo è stato ancora realizzato. Per nessuno degli interventi elencati
è stato messo in piedi un cantiere. «Potremo trovarci nella condizione
di dover accedere al museo dalla porta di servizio» fa notare la
direttrice Iacoe. Il sindaco Dario Del Gais non drammatizza. «Il museo è
una delle nostre priorità. Gli interventi in questione sono inseriti nel
Piano Triennale delle Opere Pubbliche- fa sapere- che a breve ci
accingeremo ad approvare». E per i tempi? «Mi rendo conto che solo
qualche mese ci separa dall'apertura del museo, ma per allora saremo
pronti e non faremo brutta figura per quanto riguarda l'illuminazione e
la strada d'accesso». I progetti della Soprintendenza ci sono, in primis
l'inserimento del sito di Pontecagnano Faiano nell'itinerario che
comprende tutti gli altri centri archeologici dell'intera provincia di
Salerno. Ma Pontecagnano Faiano sarà pronta, per allora, ad ospitare
turisti, studiosi e scolaresche che certamente affolleranno il nuovo
museo? Ora ci sono le condizioni e gli spazi per poter mettere in mostra
la maggior parte dei reperti rinvenuti in anni di scavi. La città
picentina è un importante insediamento dell'età etrusca. «È conosciuta,
per questo, a livello nazionale ed internazionale- aggiunge la Iacoe-
sono soprattutto gli studiosi a conoscere Pontecagnano per il suo
illustre passato. Ma abbiamo intenzione di far visitare il museo al
maggior numero di persone». Le migliaia di reperti avranno finalmente un
loro spazio. Un piano dell'edificio di via Lucania sarà destinato solo
all'esposizione di vasi, monili e quant'altro è stato portato alla luce
dagli esperti. I visitatori avranno la possibilità di approfondire le
notizie grazie alle salette attrezzate. Il museo è fornito anche di un
auditorium per incontri studio e conferenze. Uno spazio, quest'ultimo,
che il primo cittadino di Pontecagnano Faiano ha intenzione di
utilizzare per i consigli comunali. Del Gais e la soprintendente Tocco
ne hanno discusso nella giornata di ieri. Si è parlato della stipula di
una convenzione tra i due enti, che comprende anche la valorizzazione
dello stesso museo e del Parco archeologico.
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15/11/2005
ALLA LUCE A POSITANO UNA VILLA ROMANA
Mosaici,
affreschi con animali fantastici e architetture irreali, e due piani
ancora tutti da scoprire. È un vero e proprio «pozzo di San Patrizio» la
villa del primo secolo dopo Cristo che gli studiosi della Soprintendenza
archeologica di Salerno stanno recuperando. La struttura, di enorme
estensione, si trova sepolta proprio sotto la chiesa dedicata
all’Assunta, a Positano. L’edificio, tuttavia, non sarebbe del tutto
ignoto agli archeologi. Di un monumento d’epoca romana attestato a
Positano parla difatti Karl Weber, l’ingegnere che per anni guidò gli
scavi tra Ercolano e Pompei. In un resoconto al re Borbone, datato 1758,
Weber dichiara di aver individuato «al lato della chiesa con campanile,
di fronte alla spiaggia che è ai piedi dei monti chiamati Santa Maria a
Castelli e S. Angelo, alla profondità di 30 palmi, un famoso edificio».
«Il fatto importante, però - spiega Maria Antonietta Iannelli,
l’archeologa responsabile delle indagini - è che, contrariamente a
quanto si credeva nel passato, la struttura si trova letteralmente a
pochi centimetri dal calpestìo». A una profondità poco maggiore di mezzo
metro dal pavimento, durante il restauro della cripta, sono stati
rintracciati, in negativo, i segni delle capriate (sono le strutture, in
genere di legno, a forma triangolare, messe a sostegno dei tetti) che
coprivano gli ambienti. Lo scavo successivo ha poi fornito preziosi
elementi sulle modalità di distruzione. «Su questa villa - spiega
difatti Giuliana Tocco, Soprintendente archeologo di Salerno - il
fenomeno vulcanico si è abbattuto con la stessa potenza con la quale ha
distrutto Pompei, Ercolano e Stabiae. L’unica differenza che fa capire
la violenza dell’eruzione, ed è cosa non da poco, è che ci troviamo al
di qua dei monti Lattari». I dati così rilevati hanno anche permesso di
ricostruire la dinamica dei crolli, dovuta essenzialmente alle valanghe
di materiali che si catapultarono a valle. Secondo gli archeologi, alla
prima esplosione del Vesuvio e alla successiva caduta di pomici e cenere
avrebbe fatto seguito il dilavamento verso il mare del materiale
accumulato sui fianchi del monte. Sulla villa, dunque, si sono
abbattute, a ondate successive, tonnellate e tonnellate di massi,
detriti, scorie vulcaniche, alberi sradicati. L’intercetto dell’edificio
ha fatto anche partire una indagine sul centro storico di Positano. I
sondaggi hanno permesso di capire che la villa si affacciava su uno
scenario mozzafiato e si sviluppava su diverse terrazze, di cui tre
facilmente raggiungibili. Una di queste è appunto situata nell’area
sottostante il sagrato della chiesa, con ingresso dal lato della
fontana. «Scavando sotto quest’ultima - continua Iannelli - ci siamo
ritrovati, ad appena due metri di profondità, all’interno di un
ambiente, con mura ben conservate, e abbiamo raggiunto il pavimento
scoprendo un mosaico in belle tessere di marmo». Tuttavia, dalle
indagini geologiche fatte da Giovanni Di Maio, non solo sono stati
evidenziati altri punti di accesso alla struttura, ma soprattutto si è
capito che sono ancora presenti i due piani della villa. Un edificio
enorme, dunque, certamente appartenuto a un personaggio di spicco della
Roma imperiale. A Posides, proprietario di terreni in quell’area,
attribuisce Matteo Della Corte, la derivazione del toponimo «Positano».
Così come dello stesso Posides, vissuto tra il 75 e il 160 dopo Cristo,
parlano Svetonio, Giovenale e Plinio il Vecchio. «Per recuperare tutta
la villa - spiega l’archeologa - adesso c’è bisogno di grossi
stanziamenti. Abbiamo proposto un’ipotesi di fondazione che coinvolga
soprintendenza, privati e ministero. Sarebbe un palinsesto
turistico-culturale stupendo, con una sequenza unica formata dal centro
storico di Positano, d’epoca settecentesca, dai monumenti medioevali e
quindi dalla villa romana. Come dire, duemila anni di storia in qualche
chilometro quadrato». (fonte: IL MATTINO)
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2/11/2005
CONTINUERANNO GLI SCAVI A BENEVENTO
Continueranno anche nelle prossime settimane gli scavi a via Borgia:
il Comune di Benevento ha infatti stanziato 25.000 euro per approfondire
le indagini sui reperti che sono venuti alla luce nel corso dei lavori
di collegamento stradale con via Umberto I. Si tratta di rinvenimenti di
grande interesse, oggetto di studio della Soprintendenza ai beni
archeologici. Dalle nuove esplorazioni, che cominceranno nei prossimi
giorni, dipenderà la decisione definitiva, che dovrà essere assunta dal
Comune di Benevento di concerto con la stessa Soprintendenza, circa
l’assetto dell’area, anche in considerazione del fatto che il
collegamento stradale è stato di fatto già realizzato. L’obietttivo è
quello di riuscire a rispettare le finalità del progetto del Comune, a
vantaggio dei residenti, e allo stesso tempo garantire la salvaguardia
dei reperti, rendendoli fruibili ai visitatori e creando, eventualmente,
una struttura museale a cielo aperto. La scelta, tuttavia, potrà essere
fatta con cognizione di causa solo dopo un approfondito studio degli
stessi reperti: di qui la decisione dell’amministrazione di impegnare
una nuova somma per realizzare i nuovi sondaggi. Intanto proseguono i
lavori lungo il tratto di corso Garibaldi che porta verso piazza Orsini.
Nel tratto tra l’angolo via Bologna-ingresso Palazzo Paolo V è in corso
la pavimentazione totale, visto che lo scavo, chiesto dalla
Soprintendenza ed eseguito dal Comune nelle scorse settimane, è stato
preservato e occluso con teli e materiale idoneo.
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28/10/2005
IN DIRITTURA D'ARRIVO IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI CAUDIUM
Il comune di Montesarchio stipula un accordo di programma con il Gal
Partenio Taburno Valle Caudina per la valorizzazione turistica al
servizio dello sviluppo della città. Se ne discute nel centro caudino
nel corso di un incontro promosso in collaborazione con l’ente
provinciale per il turismo di Benevento. “L’accordo con il Gal ci
permette di avviare un’azione di valorizzazione del nostro territorio
servendoci di una struttura pubblico-privata che ha le competenze
idonee” spiega l’assessore alle Attività produttive del comune di
Montesarchio, Antonio Tinessa. Il quale elenca le iniziative che sono in
cantiere per l’antica Caudium: a breve sarà inaugurato il Museo
contenente reperti dell’epoca sannitico-romana, ritrovati nel sito di
Montesarchio ma finora “prestati” ad altri spazi espositivi; proseguono
gli scavi relativi al parco archeologico in via Napoli, in
collaborazione con la Soprintendenza, dove sono state localizzate
antiche terme; ci sarà a Montesarchio una sede della Libera università
di Scienze turistiche di Caserta, per la quale il comune sta attrezzando
i locali dell’ex convento delle Clarisse. “Si può creare indotto,
ricchezza e possibilità di nuova occupazione attraverso la
valorizzazione delle risorse a disposizione e lo sfruttamento dei fondi
che la Regione e gli altri enti stanziano per queste finalità”, spiega
il coordinatore del Gal Partenio, Maurizio Reveruzzi. Il Gal sta
cercando delle risposte a questo, con un’attività di promozione e
sensibilizzazione capillare sul territorio ma anche con azioni concrete:
a Vitulano infatti il Gal ha inaugurato il terzo Simposio Osteria per la
promozione e valorizzazione dei prodotti di pregio dell’enogastronomia
locale, dopo quello di Solopaca e di Campoli, e sta lavorando sulla
stesura di una la Carta delle qualità per le attività turistiche e
ricettive della zona.
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22/10/2005
SCOPERTO
UN ANTICO INSEDIAMENTO A MADDALONI
Scoperta inaspettata: rintracciato il più antico insediamento
naturale nell’area urbana di Maddaloni. «È - commenta Franco La Spina,
assessore alla cultura - una grande emozione perché siamo stati
catapultati inaspettatamente nel nostro passato, quello meno conosciuto,
che riaffiora nei luoghi meno frequentati e quasi cancellati alla
memoria collettiva. Abbiamo ritrovato un antro naturale che è l’ombelico
dimenticato del nostro sviluppo urbano». Tecnicamente, è stato riaperto
l’accesso ad un’ampia caverna, scavata dalla dissoluzione carsica nella
roccia calcarea, nell’area pedemontana di Maddaloni. Precisamente alle
falde del castello (versante est), al di sotto del quartiere medioevale
dei Formali. Il Gruppo Archeologico Calatino (Gac) e il Gruppo
Speleologico Italiano sono già al lavoro e stanno conducendo il
rilevamento e lo studio di dettaglio della cavità. «È un’apertura -
anticipa Antonio Saracco del Gac - o se si vuole un rifugio molto più
grande, per altezza e profondità, dell’attuale estensione». Sono
presenti «evidenti stratificazioni legate all’uso prolungato nei secoli
del ricovero naturale». «Il tutto - aggiunge Saracco - è stato
parzialmente obliterato dall’intenso sfruttamento, soprattutto nel primo
cinquantennio del ’900, quando è stato adibito a rifugio di fortuna dei
nomadi, a magazzino e addirittura a comoda discarica per lo sversamento
dei materiali edili». «La cavità - spiega La Spina - ribattezzata antro
di Matalo, per la suggestione ambientale e la bellezza panoramica dei
luoghi, apre tre nuovi scenari». Si riaprono gli studi sugli
insediamenti rupestri che hanno dato poi vita al quartiere dei Formali.
Si aggiunge un «nuovo capitolo alla ricostruzione degli insediamenti
protostorici, di età neolitica» già condotti dal Gac nella zone dove
oggi sorge la Torre Longobarda. «Nell’immediato - annuncia La Spina - e
compatibilmente con le indicazioni scaturite dagli studi
geologico-tecnici in corso, vogliamo partire proprio dal recupero e
valorizzazione dell’antro di Matalo per costruire un primo parco a verde
nel cuore più antico, e purtroppo abbandonato, del centro storico di
Maddaloni». L’obiettivo è stupire e far «conoscere soprattutto ai
giovani angoli suggestivi del territorio di cui ignorano persino
l’esistenza». (Fonte: Il Mattino)
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18/10/2005
VERRA' RESTAURATA LA VILLA ROMANA DI PONTICELLI A NAPOLI
Non è uno scherzo, non è un sogno, non è l’ennesima promessa. Questa
volta i lavori cominciano davvero. Anzi: sono già cominciati. Ponticelli
si prepara ad accogliere la «Città dei bambini», un progetto avviato nel
’99 e mai realizzato (nonostante il ripetersi degli annunci che, a
cadenza regolare, lo davano per imminente) per l’impossibilità di
trovare i fondi e i continui atti di vandalismo nell’area destinata a
ospitare la struttura. Ieri pomeriggio, durante un incontro con il
presidente della circoscrizione Vincenzo De Cicco, l’assessore
all’edilizia Amedeo Lepore ha messo nero su bianco tempi e metodi
dell’operazione: «Se oggi indico delle date precise è perché sono in
grado di farlo. L’appalto è stato aggiudicato in via definitiva, la
ditta vincitrice sta firmando il contratto, gli interventi preliminari
sono in corso da qualche giorno. Entro un mese l’apertura del cantiere.
Entro diciotto mesi la consegna dell’opera finita». L’impresa sembrava
confinata nel limbo delle occasioni perdute. Come si è compiuto il
miracolo? «Siamo riusciti a recuperare il tempo perso negli ultimi sette
mesi - precisa l’assessore - e cioè da quando sono arrivati, finalmente,
i finanziamenti regionali: 6 milioni e 700mila euro. Abbiamo preparato i
progetti, li abbiamo portati all’approvazione, abbiamo avviato la
procedura di gara». Tutto qui. Nessuna bacchetta magica. Soltanto una
battaglia (vinta) contro i vincoli della burocrazia. Il
museo-laboratorio-teatro (20mila metri quadri, 9mila al coperto) sorgerà
intorno ai ruderi dell’ex scuola media Giambattista Marino, a pochi
passi dal Lotto Zero, insediamento abitativo preso spesso a simbolo del
degrado in periferia. Il cronoprogramma dei lavori è stato modificato
per per offrire al quartiere e alla città qualche interessante
anticipazione. In primavera verrà inaugurata la sala del planetario:
acquistato cinque anni fa e da allora in deposito, è stato realizzato da
una ditta francese e, con i suoi nove metri d’altezza, sarà il più
grande d’Europa. Altre novità stanno prendendo forma in queste ore. «Nel
capitolato d’appalto - spiega l’ingegnere Ciro D’Ambrosio, responsabile
del progetto per il Comune - è espressamente prevista la possibilità di
organizzare visite guidate nel cantiere riservate agli alunni delle
elementari e delle medie. Vogliamo che i ragazzi imparino a conoscere
questa struttura mentre nasce e mentre cresce. Nel corso dei cosiddetti
lavori preliminari, partiti qualche giorno fa, abbiamo individuato
alcuni locali che pensiamo di utilizzare come punto di raccolta per
queste ”esplorazioni”. Adesso stiamo riattivando gli impianti di
illuminazione e di riscaldamento». Ponte verso il futuro, la «Città dei
bambini» si impegna a far rispettare le memorie del passato. A poca
distanza ci sono i resti di una villa romana (II secolo a.C.), umiliata
da anni di incuria, nascosta da erbacce e detriti. «La Soprintendenza
archeologica - prosegue D’Ambrosio - si farà carico delle operazioni di
pulizia e di recupero. L’antica dimora diventerà parte integrante del
percorso museale-didattico e la sua immagine verrà utilizzata come logo
del complesso». (Fonte: Il Mattino)
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18/10/2005
PRESERVATI ALCUNI DEI REPERTI TROVATI A BENEVENTO
Sono ripresi ieri mattina i lavori per la realizzazione del
collegamento veicolare tra via Borgia e vico Umberto I. Le opere di
pavimentazione, mediante l'apposizione dei basoli, riguardano le aree
non interessate dagli scavi archeologici, che saranno oggetto di una
successiva concertazione tra il Comune di Benevento e la Soprintendenza
al fine di trovare la miglior soluzione per salvaguardare i reperti e,
contemporaneamente, consentire all'amministrazione civica di portare a
termine il progetto, nato per consentire una migliore circolazione ai
residenti nell'area. Parallelamente, al corso Garibaldi, sono cominciate
le opere di conservazione e preservazione della fornace ritrovata
all'altezza del Palazzo del Governo e risalente al tredicesimo secolo.
Lo scavo verrà coperto con teli, in attesa del riempimento con materiale
di risulta e della successiva ripavimentazione. Indubbiamente, i lavori
eseguiti nell’arteria principale della città hanno riscontrato, dopo le
immancabili polemiche iniziali, grandi consensi per cui l’elaborato
progettuale eseguito dal prof. Pagliara si è rivelato di gradimento
della maggior parte della cittadinanza. Ma, se i rallentamenti dei
lavori al Corso Garibaldi si spiegano con la necessità di preservare le
preesistenze emerse, non altrettanto si può dire per altri cantieri,
laddove si sta creando grossi disagi alla mobilità. (Fonte: Il Mattino)
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15/10/2005
ALL'ASTA
IN INTERNET MIGLIAIA DI MONETE ANTICHE DAL NOLANO
Sul sito la vendita all'asta di 729 monete risalenti all'epoca
romana e bizantina, probabilmente sottratte da un’area archeologica del
nolano: scoperto e denunciato dalla guardia di finanza un collezionista
di Cimitile. Tra le monete sequestrate una risale al 400 a. C. e ha un
valore commerciale di circa centomila euro. A.P. collezionista di 53
anni, con la passione per la numismatica, aveva creato una rete di
vendita on line di monete antiche. Un giro di svariate migliaia di euro
che è stato scoperto e fermato dalle fiamme gialle. Sul sito www.ebay.it
il collezionista ha presentato diversi lotti, ognuno di circa trenta
pezzi, di monete risalenti a epoche storiche diverse: da quella romana
imperiale a quella bizantina fino a giungere al diciottesimo secolo. Le
monete dovevano essere acquistate all'asta e per ogni singolo pezzo
c’era un prezzo base. Le più economiche partivano da 80-90 euro fino a
arrivare a quelle più antiche per le quali la base d'asta era di 300-350
euro. Ogni giorno si registravano centinaia di richieste solo da tutta
Italia, ma anche dall'estero. Stando a un primo controllo delle fiamme
gialle, i più appassionati erano gli americani che non esitavano a
versare cifre cospicue pur di accaparrarsi una monetina. Sul portale di
ebai, però, il collezionista si è presentato con un soprannome al quale
era legato un vero e proprio sito internet gestito da lui e sul quale
l'acquirente interessato aveva una scelta di oltre 700 pezzi. Una sorta
di negozio on line, insomma. Ad attirare l'attenzione delle fiamme
gialle è stato proprio il sito organizzato dal collezionista. I
finanzieri di Torre Annunziata, diretti dal maggiore Gennaro Ottaiano e
dal tenente Sergio de Sarno sono riusciti a risalire al titolare del
sito. Il collezionista è stato individuato: A.P. residente a Cimitile.
In una cassaforte del suo appartamento i militari hanno ritrovato sei
raccoglitori utilizzati proprio dai collezionisti di monete contenenti
circa 729 pezzi di varie dimensioni e leghe: bronzo, oro, argento e il
rarissimo oricalco. Tra le monete sequestrate c’è un decadramma greco
del 400 avanti Cristo perfettamente conservato del valore di circa
centomila euro. Nel mondo questo tipo di moneta è rarissimo.
Immediatamente tutti i pezzi sono stati sequestrati e il collezionista è
stato denunciato in stato di libertà per possesso illecito di beni
culturali. Le indagini delle fiamme gialle, però, sono destinate a
continuare. Dai primi controlli risulta che A.P. era già venduto in
passato oltre 800 monete antiche tutte di un valore inestimabile. Resta
ora da stabilire la provenienza dei pezzi. Tra le ipotesi al vaglio
degli inquirenti, infatti, non è escluso che le monete siano state
trafugate nei siti archeologici della Campania (nel nolano e nel
vesuviano) oppure rinvenute durante scavi privati e non autorizzati
dalla Soprintendenza archeologica. Le monete sono messe a disposizioni
di esperti della Soprintendenza che avranno il compito di stabilire
l'autenticità. «Non solo monete, ma anche vasi, anfore e fregi di marmo.
Il collezionismo clandestino di reperti è un fenomeno difficile da
circoscrivere soprattutto in una zona come quella del Nolano, ricca di
testimonianze». Giuseppe Vecchio, responsabile per la sovrintendenza
archeologica dell’area nolana, spiega al «Mattino» perché il territorio
fa gola ai predoni del passato. Gli investigatori sospettano che parte
delle monete ritrovate possano provenire dall’area archeologica.
Possibile? «È difficile, ma non impossibile. Trattandosi di varie epoche
non credo però che la fonte possa essere unica» I tesori del passato
dell'area nolana non sono mai stati saccheggiati? «Altroché. Non credo
sia una leggenda il fatto che nei saloni di molte abitazioni private
siano esposti in bella mostra reperti mai classificati. Il saccheggio
più imponente è avvenuto tra la fine del Settecento e quella
dell’Ottocento». Musei illeciti in casa. Come è possibile? «Spesso si
scoprono reperti anche quando si scava per costruire un'abitazione e la
tentazione di appropriarsi di un piccolo tesoro ha la meglio anche sulla
consapevolezza di aver sottratto alla comunità un pezzo di storia». Di
quali tipi di monete è ricco il territorio? «Le varietà e le epoche sono
numerose. Come numerose sono le circostanze in cui si ritrovano. Abbiamo
recuperato sacchetti di monete a corredo delle tombe dei defunti, ma
anche piccoli tesori nelle stanze delle ville. E poi non bisogna
dimenticare che Nola, nel quarto secolo avanti Cristo, batteva moneta
propria». (Fonte: Il Mattino)
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14/10/2005
FONDI
REGIONALI PER GLI SCAVI DI ABELLINUM
Parco archeologico e chiesa di S.Nicola, trasferta napoletana per
l'assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Spagnuolo. Il vicesindaco della
cittadina del Sabato, accompagnato dall'ingegnere capo dell'Utc
Silvestro Aquino, si recherà questa mattina a Palazzo Santa Lucia per
predisporre tutta la documentazione necessaria per ottenere l'erogazione
dei finanziamenti stanziati dal Regione Campania per la riqualificazione
dei due importanti siti cittadini. Il primo finanziamento riguarderà la
rinascita dell'antica Abellinum, la «civitas foederata» di Roma.
L'antichissima colonia romana che sovrastava un tempo la valle del
Sabato, tornerà alla luce nel suo antico splendore dopo anni di
abbandono e degrado attraverso la realizzazione di un Parco
Archeologico. Un progetto di riqualificazione degli scavi archeologici
molto atteso e sul quale la città punta per un proprio rilancio
economico e turistico. L'intervento infatti di realizzazione del Parco
Archeologico dell'Antica Abellinum è rientrato nella ripartizione dei
Fondi Fas regionali per circa 4 milioni di euro. Oltre ad acquisire
nuovi terreni mediante espropri in modo da ampliare l'area di interesse
storico, si procederà anche alla continuazione delle operazioni di scavo
per far riemergere le antiche domus romane. Il tutto consentirà di
realizzare un vero e proprio parco, con tanto di percorsi pedonali per i
turisti sul modello di Pompei. Il secondo intervento punta invece al
recupero dell'antichissima chiesa di S.Nicola, sita in via Roma, andata
completamente distrutta con il sisma del 1980. Anche per la
riqualificazione di questo importante luogo di culto, la giunta comunale
ha approvato il progetto preliminare, visto la disponibilità di Fondi
Fas regionali. L'obiettivo dell'amministrazione comunale, d'intesa con
l'antichissima Confraternita di S.Monica, ricostituitasi da poco in
città e guidata dal priore Gianni Iannaccone, è quello di destinate la
struttura, una volta recuperata, a finalità sociali. Un edificio nel
cuore della città pronto a diventare punto di aggregazione e di incontro
per associazioni musicali, teatrali, culturali e ricreative. (Fonte: Il Mattino)
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11/10/2005
CANTIERI
BLOCCATI A BENEVENTO PER SCOPERTE ARCHEOLOGICHE
Sospesi gli scavi nella zona compresa tra via Stefano Borgia e corso
Garibaldi, e anche i lavori di pavimentazione. Il motivo è da ricercare
nella necessità di fare il punto sui fondi disponibili da parte del
Comune per questi lavori, avendo la Sovrintedenza chiesto altri
accertamenti dopo i ritrovamenti dei giorni scorsi. «In settimana avremo
un vertice con la Sovrintendenza per chiarire la situazione e stabilire
anche il modo più idoneo per rendere visibili i reperti che sono venuti
alla luce», dicono a Palazzo Mosti. Infatti la Sovrintendenza
archeologica ha disposto ulteriori ricerche, per cui si andrà avanti
ancora per alcuni giorni: «puntiamo sempre sulla rapidità, perchè siamo
consapevoli che gli abitanti della zona hanno dei disagi». Ma questo
scavo,ha portato alla luce parti di mosaici ed altri reperti di grande
valore che richiedono ulteriori accertamenti. Senza dubbio sono i
reperti più importanti tra quelli che sono venuti alla luce durante la
ripavimentazione di corso Garibaldi. Ci sono stati sopralluoghi,
presenti tra gli altri anche la funzionaria della Sovrintendenza
Giuseppina Bisogno, e l’ingegnere Capone. Sono allo studio le forme più
opportune per poterne conservarne la visibilità. Una soluzione non
complessa tenuto conto del luogo dove c’è stato il ritrovamento, che non
incide sui lavori di pavimentazione di via Stefano Borgia e del nuovo
spiazzo realizzato lungo vico Umberto primo. Inoltre già qualcosa di
analogo è stata fatto nella poco distante piazza Santa Sofia. Anche se
gli esperti della Sovrintendenza archeologica tengono a ricordare che
ormai sono stati acquisiti altri ritrovati, per rendere visibili questi
reperti. Pertanto non è detto che si debba ricorrere solo ai vetri come
è appunto avvenuto in altre zone della città. I lavori prevedono (come è
noto) anche un nuovo assetto di quel giardinetto adiacente corso
Garibaldi. Questo giardinetto, appena sarà terminata la rassegna voluta
dalla Provincia, scomparirà come è avvenuto per l’altro che era davanti
all’ingresso del nuovo museo dell’arte contemporanea, che ha la sua sede
a piano terra del Palazzo della Prefettura. Un area nodale della città
che sta per assumere un nuovo volto. (Fonte: Il Mattino)
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11/10/2005
TRACCE DI UNA POMPEI PREISTORICA
La più famosa è certamente la Pompei tragicamente distrutta
dall’eruzione del 79 dopo Cristo, ma non fu la più antica. Un’equipe di
archeologi svedesi - informa un articolo che compare sulla rivista
«Archeologia Viva» - ha recentemente individuato in quella stessa area,
sotto uno spesso strato di ceneri vulcaniche, resti di utensili di uso
quotidiano di molto precedenti alla Pompei romana, nella casa cosidetta
degli «epigrammi greci». È stato possibile fare questa scoperta grazie
al rinvenimento di frammenti di ceramiche preistoriche e tracce di ferro
carbonizzato datato al 3500 avanti Cristo. Un secondo strato conteneva
invece reperti databili tra il 2200 e il 1500 prima di Cristo. Ma la
questione più interessante riguarda le ragioni che spinsero genti di ben
tre epoche diverse a scegliere lo stesso sito, lambito dal fiume Sarno e
sormontato dalla minacciosa vetta del Vesuvio. Come mai? Forse, come
ipotizza la professoressa Leander Touati dell’Università di Stoccolma,
gli insediamenti preistorici potrebbero aver superato i problemi di
approvvigionamento idrico costruendo pozzi ben più sofisticati di quanto
ritenuto sinora o approfittando di un più favorevole corso del Sarno. (Fonte: Il Mattino)
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08/10/2005
UNA NECROPOLI ROMANA A FRIGENTO (Av)
Una sorprendente scoperta archeologica per gli esperti della
Sovrintendenza di Avellino. Il giallo degli scheletri scomposti
riaffiorati dalla superficie del terreno raschiata meccanicamente in
piazza San Marciano a Frigento è stato risolto nel giro di poche ore.
Quei miseri resti ossei; teschi, tibie, arti, rinvenuti durante i lavori
di rifacimento della pavimentazione, nei pressi della scuola media del
paese ufitano, sono appartenuti a sei protocristiani vissuti intorno al
V-VI secolo dopo Cristo, e sepolti in quel luogo che fungeva, a quanto
pare, da necropoli. A poca distanza da lì sorgono infatti le celebri
cisterne romane, eppoi la più antica e consistente catacomba d'Irpinia,
custodita nei sotterranei del Duomo. Che il territorio frigentino fosse
una miniera inesauribile di testimonianze archeologiche, ancora da
scoprire, era risaputo; quella dell'altra sera è stata l'ennesima
conferma di quanti preziosi reperti siano conservati da queste parti
nelle viscere della terra. I responsabili avellinesi della
Sovrintendenza ai beni archeologici, come prevede la prassi in questi
casi, hanno provveduto a mettere sotto sequestro l'area per potere
effettuare ulteriori scavi. Al momento stanno analizzando i resti umani
rinvenuti per caso. E' molto probabile che in quello stesso perimetro
siano stati sepolti altri antenati degli attuali abitanti di Frigento.
Ciò che però ha maggiormente sorpreso gli archeologi incaricati adesso
di seguire i lavori di recupero nel cantiere a cielo aperto è l'assoluta
mancanza accanto ai defunti riportati alla luce di arredi funerari, come
si usava fare anche nell'alto medioevo. Ciò fa presupporre che i morti
appartenessero a famiglie indigenti, ma potrebbe trattarsi anche di
schiavi pagani o di lebbrosi sepolti quindi a debita distanza dai luoghi
abitati o consacrati riservati invece ai nobili o ai convertiti al
cristianesimo. (Fonte: Il Mattino)
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08/10/2005
SANTA MARIA CAPUA VETERE, ECCO IL VERO ANFITEATRO
È ormai certo che proprio nel piazzale antistante l'Anfiteatro di
Santa Maria Capua Vetere, oggi piazza "Primo ottobre", sorgeva quello
antico, dove si svolgevano i "ludi publici" con le cruente lotte tra i
gladiatori, particolarmente seguite e predilette dal popolo. I lavori di
scavo (foto), posti in essere nell'ambito dei Pit dalla Soprintendenza
ai beni archeologici, ne stanno riportando alla luce i resti. «Senza
alcun dubbio - sottolinea Valeria Sampaolo, direttrice del Museo
dell'Antica Capua che sta curando i lavori - i resti sono quelli
dell'antico anfiteatro, risalente al II secolo a.C. che, con molta
probabilità, fu abbattuto ai tempi dell'imperatore Adriano, quando
furono portati a termine i lavori del nuovo e più grande anfiteatro,
capace di contenere ben 60 mila spettatori, che affollavano i quattro
livelli del mastodontico edificio più grande, dal punto di vista della
capienza, del Colosseo di Roma». La scoperta diventa ancora di maggiore
portata se si pensa che proprio in questo sito si esibiva Spartaco, il
gladiatore trace che nel 73 a.C capeggiò la storica rivolta servile
contro la potentissima Roma. «A Capua - ricorda, in un passo del "De
vita Caesarum", il poeta latino Gaio Svetonio Tranquillo - c'era infatti
nel primo secolo a.C. una notissima scuola gladiatoria, composta da soli
schiavi di grande statura e forza, che venivano addestrati per dare vita
a spettacoli cruenti, dove solo chi vinceva aveva la possibilità di
sopravvivere». «Spesso da Roma - dice Svetonio - ricchi patrizi, per lo
più giovani amanti di particolari e sempre nuove emozioni, si recavano,
in compagnia delle loro donne, a Capua per assistere in esclusiva
(sborsando anche parecchi sesterzi) ad una lotta vera tra i gladiatori
e, soprattutto, per poter vedere "in diretta" la morte. I lavori di
scavo, però, attualmente segnano il passo e per essere ultimati hanno
bisogno di ulteriori stanziamenti. (Fonte: Il Mattino)
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05/10/2005
IL MOSAICO DELLA BATTAGLIA DI ALESSANDRO TORNA ALLA CASA DEL FAUNO A
POMPEI
Il mosaico la “Battaglia di Alessandro” torna alla Casa del Fauno. E
Pompei si arricchisce di una nuova attrazione per gli studiosi e i
turisti di tutto il mondo. L’originale, parzialmente danneggiato, è
conservato al museo Archeologico di Napoli dove si ammira alla parete
della sezione riservta alla collezioni museali borboniche da quando, nel
corso dell’Ottocento, assieme a tutte le altre decorazioni musive della
casa, era stato rimosso da Pompei e trasferito — su un carro ferroviario
trainato da buoi — per garantirne una migliore conservazione. Oggi, alle
ore 12.30, negli scavi di Pompei, è prevista la presentazione e
inaugurazione dellla copia del mosaico che torna ad ornare la
pavimentazione dell’esedra che si apre in fondo al primo peristilio
della importante “domus” appartenuta alla gens Satria e a Silla, nipote
del dittatore Mario.
Alla conferenza stampa intervengono Anna Maria Reggiani, direttore
generale del dipartimento per i Beni culturali e paesaggistici, Saturno
Carnoli, responsabile del progetto, Pietro Giovanni Guzzo,
Soprintendente archeologo di Pompei. E da domani il mosaico sarà di
nuovo in bella mostra al suo posto come pavimentazione ornamentale
dell’esedra della Casa del Fauno dove il pubblico potrà goderne la
magnificenza in ogni dettaglio.
Giunge a compimento, dunque, un’operazione lunga e complessa, realizzata
per conto della soprintendenza Archeologica di Pompei dal Centro
internazionale studi e insegnamento del mosaico di Ravenna dove è stato
ricostruito.
O meglio riprodotto in maniera conforme all’originale, nelle dimensioni
(m 3,17Xm 5,84) come nelle forme, nei materiali e nei colori grazie ad
una sofisticata tecnica di lavoro che ha consentito la ricostruzione di
oltre due milioni di tessere e mille pannelli di supporto. Grandioso, il
più celebre mosaico dell’antichità, è a sua volta copia di un dipinto
attribuito a Philoxenos di Eretria che pare l’avesse realizzato, alla
fine del IV secolo avanti Cristo, per il re Cassandro. Quello di Pompei,
invece, fu eseguito da maestranze alessandrine con tasselli policromi
finissimi che si servirono della tecnica dell' "opus vermiculatum".
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30/09/2005
AVELLINO,
UN PARCO ARCHEOLOGICO IN PIAZZA DUOMO
Pronti tre milioni di euro per riqualificare l'area del Duomo. La
giunta dà il via libera al progetto preliminare per la realizzazione del
parco archeologico sull'area di sedime del seminario. Entro la fine
dell'anno sarà presentato alla Regione il progetto esecutivo che
consentirà la materiale erogazione del finanziamento, già stanziato
nell'ambito dei fondi per le aree sottosviluppate. L'amministrazione
Galasso segna un'altra tappa del percorso per il rilancio del centro
storico avviato dall'assessore alla cultura, Toni Iermano, con il
recupero dei cunicoli e della Torre dell'Orologio. L'intervento di
riqualificazione urbana si estenderà su una superficie di oltre 6mila
metri quadri, dove sorgeva il seminario vescovile, ricostruito nella
seconda metà degli anni '50 e demolito, per motivi di pubblica
incolumità, dopo i danneggiamenti subiti con il terremoto del 1980.
L'area, che versa nel più totale stato di abbandono, diventerà un parco
archeologico. Torneranno alla luce le tombe di epoca sannita e l'antico
tracciato viario di epoca romana il cui rinvenimento, dopo la
demolizione del seminario, ha fatto scattare il vincolo della
Sovrintendenza. «L'obiettivo principale dell'intervento - spiega
l'assessore Maurizio Petracca - è quello di promuovere e migliorare la
qualità urbana con particolare attenzione ai servizi sociali e alle
funzioni pubbliche culturali. E' un progetto - conclude Petracca - che
rappresenta la continuazione dell'opera che sta portando avanti
l'assessore Iermano per la riqulificazione del cuore antico della città
e, in particolare, del Rione Terra». Il progetto prevede, inoltre, la
realizzazione di una struttura multifunzionale, una cortina muraria di
recinzione dell'area archeologica tra piazza Duomo e via Seminario,
destinata ad ospitare un museo e la sede della prima circoscrizione.
Alle spalle dell'edificio, percorsi pedonali si snoderanno attraverso i
reperti archeologici. Dalle erbacce rinascerà anche il campanile del
Duomo che sarà liberato dalla recinzione attualmente che ne impedisce la
visibilità. Si tratta di una testimonianza storica di alto valore perchè
la base è stata costruita con pezzi di edifici romani, tombe e statue,
provenienti dalla necropoli di Abellinum del I secolo a.C. (Fonte: Il Mattino)
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28/09/2005
BAIA, VIA AL RECUPERO DEL PATRIMONIO SOMMERSO
Via al restauro dei beni archeologici sommersi di Baia. «Quello di
Baia, area marina protetta, è un parco sommerso che rappresenta una
riserva archeologica importantissima che purtroppo versa in gravi
condizioni di salute, e la nostra azione mira in particolare al
recupero, non della totalità delle strutture sommerse, cosa impensabile,
ma al restauro e conservazione di alcune parti». Al momento, siamo
intervenuti, utilizzando materiali innovativi, sul ripristino di alcuni
mosaici, fra i quali un mosaico pavimentale facente parte dell'edificio
denominato Domus con ingresso a Protiro». Così, il professore Roberto
Petriaggi, direttore del nucleo per gli interventi di archeologia
subacquea dell'Istituto centrale per il restauro, spiega le ragioni del
suo impegno nel porto di Baia che lo vedono in prima linea guidare una
squadra di specialisti nella sperimentazione di materiali, strumenti e
tecniche per la protezione, conservazione ed il restauro sul luogo dei
manufatti archeologici sommersi. «Si tratta di un intervento in via
sperimentale, mirato alla conservazione in loco delle strutture
sommerse, che non trova precedenti in Italia, se non in alcuni
esperimenti accademici intrapresi per il restauro di alcune strutture
della villa romana di Torre Astura di Roma», continua Petriaggi. Fra le
altre novità, in via sperimentale e sotto il controllo del laboratorio
di biologia dell'Icr, è stato anche provato un nuovo stratagemma che ha
previsto l'aggiunta di un biocida ad azione locale, alla malta, per
limitare cosi lo sviluppo delle alghe, tra i principali fattori di
degrado. (Fonte: Il Mattino)
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26/09/2005
PARTE LA
QUINTA CAMPAGNA DI SCAVO ALLA ROCCA DI MONDRAGONE
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26/09/2005
VELIA DIVENTA PARCO ARCHEOLOGICO CON TANTO DI NUOVI SPAZI ESPOSITIVI
La riscossa di Velia. Diventa parco archeologico ”totale”, in uno
scenario d’incomparabile bellezza, la collina verdeggiante che si
affaccia sul mare di Ascea, nel cuore del Cilento, dove a metà del sesto
secolo avanti Cristo s’insediò ed ebbe fortuna una folta colonia di
Greci provenienti da Focea, città dell’odierna Turchia. Famosa per aver
dato i natali a Parmenide e al suo discepolo Zenone, fondatore della
scuola filosofica eleatica, dopo gli anni dello splendore romano
cominciò per Velia una fase di occupazione e di progressivo decadimento.
Un processo di abbandono che soltanto negli ultimi anni, grazie al
risveglio delle amministrazioni pubbliche, ma soprattutto alla
mobilitazione delle comunità locali, è stato possibile arrestare. Una
serie d’interventi finanziari ”combinati” (Regione, ministero, Unione
Europea), nell’ambito dei programmi previsti per i «grandi attrattori
culturali» della Campania. Ieri pomeriggio, finalmente, l’apertura del
parco archeologico mozzafiato, uno dei più belli al mondo, testimoni i
partecipanti al prestigioso convegno di studi sulla Magna Grecia, per un
giorno trasferito da Taranto alla capitale della cultura eleatica. Con
l’assessore regionale al Turismo e ai Beni Culturali, Marco Di Lello, il
presidente della Provincia di Salerno, Angelo Villani, soprintendenti,
sindaci e amministratori comunali. Sul cammino dei più autorevoli
archeologi del mondo, ecco in sequenza le meraviglie ritrovate nel corso
degli ultimi anni di passioni e di scavi: gli edifici restaurati
sull’acropoli, il teatro greco-romano e le due piccole chiese nelle
quali hanno trovato posto spazi museali destinati a raccontare la storia
della città attraverso i numerosi reperti rinvenuti. E ancora, gli
affreschi e le vasche delle terme ellenistiche, situate alle pendici
della collina, i quartieri della città bassa, la necropoli antistante la
cinta muraria ancora in corso di esplorazione, il ricco apparato
didattico che accompagna i visitatori dal primo all’ultimo segmento
espositivo del parco. Per non ripetere gli errori del passato, evitando
gli abusi edilizi e il degrado degli ultimi decenni, la Regione ha
varato anche una legge speciale (primo firmatario il consigliere Nino
Daniele) per la difesa dell’ampia fascia territoriale che circonda il
sito archeologico. «La realtà storica di Velia diventa così elemento
decisivo per ottenere l’inserimento del Cilento nella lista del
patrimonio mondiale dell’Unesco», spiega Giuliana Tocco, applaudita
leader dell’intera operazione-recupero dell’intero complesso eleatico.
«Un passo decisivo verso la realizzazione di quel distretto archeologico
della provincia di Salerno, che tutti aspettiamo», puntualizza Stefano
De Caro, soprintendente regionale ai Beni Culturali. E Marco Di Lello,
concludendo la breve cerimonia inaugurale, si richiama «all’importanza
strategica dei pacchetti varati dalla regione per la valorizzazione
degli itinerari culturali, autentica carta vincente dell’industria
turistica di una regione ricca di valori e di storia, come la Campania».
(Fonte: Il Mattino)
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17/09/2005
TORRE DEL
GRECO: PER LA VILLA ROMANA IN CONTRADA SORA COMUNE CONTRO SOPRINTENDENZA
Poteva bastare una «radiografia» del sottosuolo per conoscere la
reale estensione di villa Sora e i segreti dell'area archeologica. Una
prospezione geofisica che l'assessore alla Cultura Flavio Russo, avrebbe
voluto eseguire con l'obiettivo di «promuovere la conoscenza e la
valorizzazione del patrimonio storico-archeologico» e la speranza di
recuperare un sito completamente abbandonato e dimenticato dalla
Soprintendenza. Ma la proposta, a costo zero per i responsabili
dell'area, non è piaciuta al professore Pietro Guzzo che in una lettera
inviata al Comune, ha bocciato l'iniziativa, spiegando solo che «non si
può autorizzare quanto richiesto». Una decisione «immotivata» per il
Comune che non ha mancato di scatenare polemiche. E il più arrabbiato è
naturalmente l'assessore Russo che ha scritto un'infuocata lettera a
Guzzo chiedendo di rivedere la sua posizione: «Si tratta - spiega - di
un'indagine non invasiva e del tutto innocua. Le prospezioni geofisiche
ci consentirebbero di verificare innanzitutto la reale estensione della
villa. Un particolare importantissimo in previsione di un’eventuale
ripresa degli scavi. Speriamo che dietro il ”no” del soprintendente ci
sia solo un banale malinteso». Il senatore di Fi, Antonio Franco
Girfatti parla invece di «disattenzione e disaffezione» da parte della
Soprintendenza. «Non è la prima volta - dice - che mi occupo di questa
splendida testimonianza e ho già avuto modo di denunciare in
un'interrogazione parlamentare le pessime condizioni del sito.
L'amministrazione rivendica un diritto giusto: sta difendendo un bene
prezioso della comunità. Fino a oggi la Soprintendenza che appare ancora
troppo distratta, ha fatto poco o nulla. Informerò il ministero per i
beni culturali per capire le motivazioni del permesso negato». (Fonte: Il Mattino)
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15/09/2005
CONTINUANO
LE CAMPAGNE DI SCAVO A MONDRAGONE (CE)
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14/09/2005
IL SATYRICON FECE TAPPA A MONDRAGONE
La Graeca urbs di cui parla Petronio nel Satyricon non sarebbe né
Napoli, né Pozzuoli, né Pompei, ma Urbana, la città romana citata da
Plinio il Vecchio, a poca distanza da Sinuessa, attualmente Mondragone,
la cui localizzazione costituisce tuttora un rebus per gli archeologi. È
una delle ipotesi proposte da Giancarlo Bova, paleografo di Santa Maria
Capua Vetere, impegnato da anni a pubblicare l’edizione critica delle
pergamene dell’archivio capitolare e della curia di Capua, che, con
questo testo, ha esaurito il ciclo dedicato alle pergamene sveve. Finora
sono sei i volumi di testi capuani pubblicati nel corso del tempo da
Bova, a partire da quelle normanne (1996) fino a quest’ultimo volume, Le
pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana (1259-1265) (Libreria
Scientifica Editrice, pagg. 657, euro 48). E già in questo stesso volume
Bova ha iniziato con quelle angioine: trentasette pergamene da Carlo I
d’Angiò a Carlo II. Un corpus imponente che fa di Bova uno specialista
del medioevo di Terra di Lavoro, ancora più significativo se aggiungiamo
anche gli studi specifici dedicati ad esempio alla Vita quotidiana a
Capua al tempo delle Crociate (2001), a Capua cristiana sotterranea
(2002), Tra Capua e l’Oriente, i Medici (2004), in cui, tra l’altro Bova
dimostra l’origine capuana dell’illustre famiglia fiorentina, Sulle orme
di Pietro (2004), tanto per citare solo gli studi pubblicati con la
stessa Esi di Napoli. In questo quinto volume, insieme naturalmente
all’edizione critica delle pergamene, va segnalata l’acuta presentazione
(90 pagine), nella quale Bova illustra e inquadra nel loro contesto, con
fine sensibilità non solo di paleografo ma di storico tout court, i
testi pubblicati, derivandone motivi di valido interesse storiografico.
Ad esempio l’ipotesi che Bova avanza a proposito di Urbana come la
Graeca urbs di cui parla Petronio trae origine da una pergamena
medievale che cita una «villa sancti Urbani» che Bova identifica
sicuramente come l’antica città romana, per la quale, con un
procedimento diffuso in età medievale, l’agionimo (Sant’Urbano) ha preso
il posto del toponimo; e, per quanto riguarda la possibile
identificazione con la Graeca urbs citata nel Satyricon, Bova è convinto
che «urbs greca» possa indicare proprio la città di Urbana a sua volta
derivata da urbs. Non v’è motivo, infatti, per pensare ad un voluto
nascondimento da parte di Petronio del toponimo, dove tra l’altro è
ambientata la famosa cena di Trimalcione, visto che più avanti nel
Satyricon l’autore latino cita esplicitamente Crotone, dove i
protagonisti si trasferiscono. «Per Graeca Urbs, così scrive Bova,
potrebbe così intendersi la Graeca Urbana, una tappa lungo la via Appia,
sita in un’area in cui è documentato nel periodo medievale un habitat
greco». (Fonte: Il Mattino)
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09/09/2005
A BENEVENTO UN PARCO ARCHEOLOGICO IN VIA LONGOBARDI
Si è svolta, ieri, una conferenza di servizi, promossa
dall'assessore all'Urbanistica del Comune di Benevento, Fernando
Petrucciano, per discutere e risolvere i problemi legati al costruendo
centro commerciale di Zamparini e alla valorizzazione delle aree ad esso
collegate. All'incontro sono intervenuti Luigina Tomay, dirigente della
Soprintendenza ai beni archeologici di Salerno, Avellino e Benevento,
Salvatore Buonomo, dirigente della Soprintendenza ai beni ambientali di
Benevento e Caserta, i dirigenti dei settori urbanistica e lavori
pubblici del Comune, Francesco Cassano e Fernando Capone, oltre
naturalmente all'assessore Petrucciano e allo stesso imprenditore
Maurizio Zamparini. Il punto focale dell'incontro era costituito dalla
richiesta della Soprintendenza ai beni archeologici di preservare le
importanti preesistenze emerse nel corso degli scavi e che hanno portato
alla luce una complessa stratificazione insediativa databile tra l'età
del Bronzo antico e l'epoca moderna. Di qui la richiesta di realizzare
un parco archeologico in continuità con il già previsto e autorizzato
parco fluviale sulle sponde del Calore con annesso parcheggio, da
utilizzare anche per gli utenti del centro commerciale. Ipotesi che ha
trovato concordi i partecipanti alla conferenza di servizio e lo stesso
Zamparini, che ha preannunciato la redazione di un nuovo progetto che
tenga conto della modifica. Soddisfatto dell'esito dell'incontro si è
detto l'assessore all'Urbanistica, Fernando Petrucciano: «Ancora una
volta siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio tra le esigenze
della parte pubblica e le aspettative della componente privata.
Realizzare nell'area un parco fluviale, un percorso naturalistico,
dunque, e un parco archeologico servirà a valorizzare l'insediamento di
via dei Longobardi anche sotto il profilo ambientale, culturale e
turistico, prima ancora che commercial»e. Intanto, c’è da registrare una
presa di posizione di Fernando Errico su quanto accaduto in contrada San
Vito in occasione dell'apertura del nuovo centro commerciale: «È un
indicatore occasionale, ma comunque significativo, di un sistema
complessivamente inefficace, incapace di centrare l'obiettivo di una
crescita armonica nel rispetto dei diritti di ogni cittadino. Il
rischio, se non si interviene in tempo, è che l'evento straordinario
diventi "routine" giornaliera e che passi, come si dice, a regime. E'
necessario un intervento immediato e risolutivo che impegni
l'amministrazione Comunale in una trattativa rapida con l'ANAS che
definisca la cessione del tratto di strada interessato all'accesso al
Centro Commerciale. (Fonte: Il Mattino)
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02/09/2005
IL LAGO D'AVERNO TORNA IN MANO AI PRIVATI A CAUSA DELLA BUROCRAZIA
Un lago oggetto di un «affaire», non è la prima volta nei Campi
Flegrei. È accaduto con l’Averno, che Virgilio nell’Eneide, preso dalle
suggestioni delle fumarole, indicò come ingresso dell’Ade. Tutto iniziò
quattordici anni fa: il 21 giugno del 1991 gli eredi del cavaliere
Pollio, che avevano ricevuto lo specchio d’acqua dai Borboni, misero in
vendita il bacino. Una società la «Country club» di Gennaro Cardillo lo
comprò per un miliardo e duecento milioni di vecchie lire. Sessanta
giorni era il tempo che ebbe la Sovrintendenza per esercitare il diritto
di prelazione. Lo fece, grazie anche al Mattino che sulla vicenda iniziò
una campagna di stampa per evitare uno scempio. Enrica Pozzi, allora a
capo dell’ente ministeriale per la tutela del patrimonio ambientale,
inviò una lettera alla società annunciando che sarebbe stato applicato
il diritto di prelazione dall’ente pubblico. La Regione si impegnò a
cercare i fondi. Prima ancora, nel febbraio dello stesso anno, con
speciale decreto del ministro Facchiano il lago era stato vincolato. Fu
questo ad evitare un progetto di cementificazione delle coste, in nome
del turismo possibile. Sulla vendita dell’Averno intervenne il
sottosegretario ai Beni culturali Luigi Covatta e il sovrintendente ai
beni Architettonici Mario De Cunzo che insieme con il funzionario ai
beni archeologici Enrica Pozzi sentenziò la necessità di un intervento:
l’acquisto del lago. Erano pronti i soldi per l’Averno. Dalla Regione si
annunciò addirittura un finanziamento di 15 miliardi di vecchie lire per
la bonifica, il restyling delle coste, il turismo senza impatto
ambientale. La burocrazia intralciò il percorso. I soldi ai privati non
furono mai versati. E il «Country club» decise di appellarsi al
Consiglio di Stato per dimostrare che non era mai stato liquidato e che
quel lago era proprietà privata. Dopo dieci anni vinse. Oggi l’Averno
non è un bene comune. Le idee di sviluppo della Regione sono rimaste nei
cassetti e tornano quasi come un ciclo ripetitivo della storia. Oggi il
lago, nella leggenda ingresso degli inferi per le esalazioni sulfuree
che impedirono sullo specchio d’acqua il volo degli uccelli (Averno
significa appunto senza uccelli), è un’oasi naturale in attesa di
rilancio. Lungo le coste del bacino restano enormi scheletri di cemento
mai abbattuti e completamente abusivi. C’è, invece, un sentiero, che
porta al tempio di Apollo dove è possibile fare jogging ripulito dalle
erbacce dalla Provincia, dopo due anni di lavoro. (Fonte: Il Mattino)
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01/09/2005
IL MOSAICO DELLA BATTAGLIA DI ALESSANDRO TORNA IN COPIA ALLA CASA DEL
FAUNO A POMPEI
E' iniziata alla casa del Fauno a Pompei la posa della copia
consustanziale (cioè conforme nelle dimensioni, nelle forme, nei
materiali e nei colori) del mosaico universalmente conosciuto come "La
battaglia di Alessandro". La copia, voluta dalla Soprintendenza
Archeologica di Pompei, è stata approntata dagli esperti del Centro
Internazionale Studi e Insegnamento del Mosaico di Ravenna, attraverso
la realizzazione, con sofisticata tecnica, di tre milioni di tessere e
mille pannelli di supporto.
Tra pochi giorni quindi un vero e proprio esemplare ‘clonato’ del grande
mosaico tornerà ad ornare la pavimentazione dell'esedra che si apre in
fondo al primo peristilio della famosa "domus" appartenuta alla gens
Satria e a Silla, nipote del dittatore Mario. Una iniziativa che
vuole ulteriormente aumentare il fascino e la comprensione del sito
archeologico e quindi la sua fruizione turistica.
"La collocazione della copia del mosaico della battaglia rientra in un
più generale programma di valorizzazione e fruizione delle aree
archeologiche vesuviane ed in particolare a Pompei- spiega Pietro
Giovanni Guzzo, soprintendente archeologo - Ci preoccupiamo in questo
modo di far intendere ai visitatori l'aspetto originario dell'arredo
degli edifici antichi, invitandoli a visitare le decorazioni originali
presso il Museo di Napoli. La realizzazione della copia con la stessa
tecnica dell'originale riproduce la materialità dell'epoca e quindi
restituisce una sensazione corretta dell'integrità antica, come non
sempre avviene nelle ricostruzioni informatiche. La messa in opera della
copia, inoltre, affronta anche un problema generale di gestione, causato
dalla progressiva sempre maggiore carenza di risorse professionale di
guardiania".
La grandiosa opera denominata ‘la Battaglia di Alessandro’ proveniente
dall'ambiente di rappresentanza della Casa del Fauno a Pompei può essere
considerato il piu' celebre mosaico pervenutoci dall'antichità.
L'originale consisteva in un dipinto attribuito a Philoxenos di Eretria
per il re Cassandro alla fine del IV secolo avanti Cristo.
Il mosaico fu eseguito a Pompei da maestranze alessandrine con tasselli
policromi finissimi secondo la tecnica dell' "opus vermiculatum", e
raffigura il momento decisivo di una battaglia della campagna Persiana
che vide affrontarsi Alessandro Magno, rappresentato in sella a
Bucefalo, alla testa della sua cavalleria, contro Dario III, re di
Persia, che, vinto, si dà alla fuga.
Questa megalografia, al pari di tutto il resto della ricchissima
decorazione musiva della casa, venne portata nell'Ottocento nelle
collezioni museali borboniche posta su un carro ferroviario trainato da
buoi (l’opera misura infatti oltre tre metri di lunghezza), ed è ora a
Napoli, esposta al Museo Archeologico Nazionale.
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30/08/2005
ORO PURO PER DIPINGERE I GIOIELLI DELLA VENERE POMPEIANA
A rilevare che gli anelli,
le collane e le decorazioni della veste della dea, riprodotta su un
affresco di via dell’Abbondanza a Pompei, erano state effettuate con
foglie d’oro a 24 Karati, sono stati gli specialisti del Laboratorio di
restauro della Soprintendenza archeologica, guidata dal Soprintendente
Pietro Giovanni Guzzo, e da Pietro Baraldi, professore di Chimica Fisica
dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
La scoperta, assolutamente
eccezionale perché mai prima d’ora erano state individuate pitture che
presentavano tale particolarità, è stata fatta durante le operazioni di
restauro programmate per recuperare le facciate delle officine
infectoria e coactiliaria (si tratta rispettivamente della bottega usata
dai feltrai per produrre vestiti e stoffe, e della tintoria di Verecundo)
secondo quanto stabilito nel progetto del professor Santopuoli della
Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, su sponsorizzazione
della Fassa Bortolo. L’oro, secondo quanto è emerso dopo le indagini
effettuate con la tecnica della microscopia “Raman”, si troverebbe su
tutta la figura di Venere – la dea era la protettrice della città e la
patrona di feltrai e tintori – a partire dalla decorazione della veste,
per continuare con i monili: anelli, bracciali, collane, che ne
coprivano la figura. La scoperta delle lamine d’oro usate per dare
maggior preziosità alle pitture pompeiane, sarà presentato in anteprima
mondiale giovedì primo settembre nel corso della «Terza Conferenza
Internazionale sull’applicazione della spettroscopia Raman nell’Arte e
nell’Archeologia» che si tiene a Parigi dal 31 agosto al tre settembre.
Una tecnica di analisi non invasiva la “Raman”, che usa la radiazione
prodotta da un laser e lo studio delle risposte alla sollecitazione
fornite dai moti delle molecole. Movimenti che sono caratteristici per
ciascuna sostanza, permettendo in tal modo di conoscere se le materie
prime di cui sono formati i materiali sono elementi puri o composti. E,
come spiega Baraldi, l’analisi Raman rivelava che non solo ci si
ritrovava in presenza di un elemento puro ma dava anche il picco
caratteristico dell’oro, successivamente visto anche con il microscopio
digitale sotto forma di sottilissime lamine. La scoperta, adesso, detta
tutta una serie di interrogativi: era solo quell’affresco ad essere
“ricoperto d’oro”, visto che si trattava della dea protettrice della
città, oppure il metallo si trova anche nelle altre pitture che andranno
controllate a tappeto? E, come legavano l’oro ai pigmenti, gli artisti
antichi, considerato la difficoltà e visto che sino ad allora il metallo
lo si ritrova solo sulle statue ageminate, sui metalli meno preziosi, e
persino su dischi di vetro (vedi casa degli Amorini dorati) ma mai sugli
affreschi? «Stiamo indagando – dice Baraldi – adesso ci vorrà del tempo
per dare risposte scientifiche». (Fonte: Culturalweb)
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26/08/2005
A PAESTUM RINVENUTO UN TEMPIO DEDICATO AD ATHENA
Era dedicato alla dea Athena il tempietto-sacello scoperto dagli
archeologi della Soprintendenza di Salerno, in prossimità di Porta
Sirena, uno dei quattro varchi attraverso i quali 2400 anni fa si
entrava nella città greca di Poseidonia, poi divenuta la latina Paestum.
Il ritrovamento, che è avvenuto durante i lavori di recupero della cinta
muraria nel tratto compreso tra la «Torre 28» e appunto Porta Sirena,
potrà essere visto assieme alla cortina difensiva restaurata a partire
da venerdì prossimo, allorché si inaugurerà il percorso, lungo circa
quattrocento metri. La cinta, assieme alla porta, verrà illuminata con
un sistema di luci che ne evidenzierà la bellezza e la maestosità.
«Recupero e restauro - spiega Marina Cipriani, archeologa, direttrice
del Museo di Paestum e responsabile dell’area per la Soprintendenza
Archeologica di Salerno - sono stati interventi complessi e difficili;
per realizzarli abbiamo avuto un importante contributo scientifico dal
Dipartimento per i Beni Culturali dell’Università di Salerno, diretto da
Angela Pontrandolfo». Una barriera difensiva poderosa, dunque, quel muro
costruito per proteggere i coloni greci dagli attacchi dei nemici, di
qualunque etnia essi fossero: lucani, etruschi o legioni di Roma. Per
questo motivo, la cinta muraria, lunga quasi cinque chilometri, doveva
essere inespugnabile e nello stesso tempo funzionale. Per realizzarla,
almeno per quello che riguarda il settore recuperato e datato attraverso
la ceramica tra la fine del IV e il III secolo avanti Cristo, gli
archeologi hanno scoperto che era stata messa in opera una tecnica
inusuale per quei tempi. La procedura prevedeva la costruzione di una
doppia cortina di mura, fatta con massicci blocchi di pietra locale,
perfettamente squadrati, distanti tra loro sei, sette metri; al suo
interno ancora due muri, messi in opera a secco. Tra le diverse
murature, poi, erano inseriti terrapieni realizzati con terreno e
pietre, in maniera da compattare il tutto rendendo imprendibile la
città. Il restauro ha permesso di ritrovare le numerose postierle,
piccole porte, ricavate all’interno delle murature, attraverso le quali
gli assediati potevano fare rapide sortire per contrattaccare i nemici.
Inoltre, sono state rinvenute le fasi più antiche della vita cittadina,
con resti di murature, sia esterne che interne, stimate dagli archeologi
come elementi di santuari e aree religiose. La datazione dei reperti,
giudicati risalenti alla fondazione della Poseidonia greca, agli inizi
del VI secolo prima di Cristo, è stata resa possibile dai recuperi di
ceramica dalla tipologia caratteristica per quel periodo. «Questo
significa - riprende l’archeologa - che per realizzare la cortina
difensiva, almeno lungo questa fascia indagata, si sono dovuti
obbligatoriamente distruggere luoghi di culto e santuariali». Come
appunto il sacello-tempietto consacrato ad Athena, recuperato invece
intatto in tutte le sue caratteristiche e databile in età lucana, tra la
seconda metà del V secolo e la prima del IV. I ritrovamenti collegati
alle mura continuano, ancora, con la localizzazione dell’antico asse
viario che permetteva il passaggio attraverso la Porta Sirena. La
strada, costruita in piena età imperiale e pavimentata con basoli di
pietra, nascondeva i livelli di costruzione di ben altri due tracciati
che nel tempo l’avevano preceduta. (Fonte: Il Mattino)
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23/08/2005
NUOVI FONDI PER RESTAURI A POMPEI
Presto gli antichi edifici e le aree chiuse di Pompei dai tempi del
terremoto saranno restituiti agli occhi del mondo in tutto il loro
splendore. La Casa dei casti amanti, la caserma del Gladiatore e tanti
altri luoghi torneranno a essere visitabili grazie a un progetto di
cinquanta milioni di euro messo a punto da Regione e Soprintendenza
archeologica. Si tratta di un intervento estremamente importante per il
turismo nazionale ed internazionale, in quanto molte delle aree chiuse
al pubblico dopo il terremoto del 1980 perché inagibili, saranno
restituite nella loro interezza, e rese anche più belle dai restauri. Il
cinquanta per cento del finanziamento per la riapertura delle case
chiuse sarà attinto dalle casse dei Por (Programmi operativi regionali),
recuperati in extremis dal city manager Luigi Crimaco. Il resto dei
fondi, invece, saranno a carico della Regione e della Soprintendenza. Il
31 agosto il governatore Antonio Bassolino, l’assessore al Turismo Marco
Di Lello, il direttore dei Beni culturali della Campania Stefano De Caro
e il manager Luigi Crimaco sigleranno l’accordo finale e presenteranno
il progetto. L’intento del manager Crimaco è quello di rilanciare sul
mercato del turismo mondiale una Pompei antica più completa e
promuoverla a cartina di tornasole del ministero per i Beni e le
Attività culturali. Tra gli interventi di recupero, in risposta ad un
turismo sempre più esigente ci sono: il restauro della Casa del
Centenario, della Casa di Marco Lucrezio Frontone, della Casa di Obellio
Firmo, della Caserma dei Gladiatori, della Casa e del Vicolo del
Menandro, della Casa degli Amorini Dorati, della Casa e Insula di
Cecilio Giocondo, della Casa dei Casti Amanti, della Casa di Trebio
Valente, della Casa di Casca Longus e botteghe adiacenti, della Casa del
Vasaio Zosimo, della Casa del Moralista, della Casa di Ceriale, delle
Terme del Foro, delle Terme Suburbane, delle Terme Stabiane. I lavori
prevedono anche l’installazione di un impianto di illuminazione in
diversi punti della città antica come la Necropoli di Porta Nocera e via
dell’Abbondanza. Anche gli scavi di Ercolano beneficieranno di una
piccola fetta dei cinquanta milioni di euro. Alcuni interventi, infatti,
completeranno l’Antiquarium Ercolanese e Villa dei Papiri. Oltre a
rispondere alla voglia di sapere, del mondo, sulla storia dell’antica
civiltà pompeiana, sono previsti anche servizi di accoglienza che
verranno realizzati nella zona di Porta Stabia nei vecchi edifici
demaniali. Intanto i sindacati lanciano un appello al manager in merito
ai nuovi restauri che partiranno tra breve. (Fonte: Il Mattino)
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04/08/2005
RINVENUTA UNA DELLE
ENTRATE AL TEATRO ROMANO DI NAPOLI
Era una delle entrate del teatro romano. È rimasta in piedi, almeno
per metà. Un ritrovamento eccezionale perché rappresenta una sezione
della facciata del teatro di via Anticaglia. La settimana scorsa è
stata scoperto un pilastro nel cortile del condominio di via San Paolo
4, in pieno centro storico. La colonna si trova ad appena 40 centimetri
sotto il piano di calpestio del cortile. I saggi effettuati dalla
sovrintendenza archeologica hanno delineato, grosso modo, i contorni
della struttura. Un pilastro a forma di T (anche se non molto
accentuata) in mattoni rossi ad opera mista, alto un paio di metri e
largo altrettanti. È in corrispondenza di uno dei cunei (corridoi di
ingresso) del teatro ed è l’unico pezzo a essere all’esterno del
fabbricato: di qui l’ipotesi, ma è quasi una certezza, che si tratti
della facciata. Visto che la colonna è stata ritrovata proprio dove si
pensava fosse. Ora si tratta di lavorare con cura per i prossimi mesi
per riportare completamente alla luce, sino al basamento, il pilastro. E
rendere visibile, come detto, una porzione della facciata, per rendersi
conto di com’era il teatro duemila anni fa anche all’esterno. I
lavori alla cavea, infatti, continuano speditamente: stanno tornando
alla luce anche i colori del vecchio teatro. Le gradinate sono visibili
da tempo. La novità è costituita dagli ambulacri (sorta di antichi
foyer) in corso di ristrutturazione. Un progetto imponente quello del
teatro romano, diviso in due lotti, del valore di quattro milioni e
mezzo di euro. I tempi naturalmente non sono rapidissimi anche perché
dal punto di vista operativo il restauro non è dei più facili. A meno
di ulteriori ritrovamenti, nella primavera del 2006 saranno appaltati i
lavori del secondo lotto. Dopo di che il progetto prevede altri due anni
di lavori. Solo nel 2008 la struttura romana potrebbe tornare, dopo
duemila anni, a essere un teatro. L’intenzione dell’amministrazione
comunale è quella di restaurare completamente l’opera anche dal punto
di vista della funzionalità. «Il centro storico - afferma il
vicesindaco Rocco Papa - continua a regalarci una serie di reperti di
straordinaria importanza. Una risorsa sulla quale dobbiamo assolutamente
insistere. Sarà la priorità nella valutazione delle opere da
sottoporre ai finanziamenti Ue nel prossimo quadriennio». Dopo il
rapporto tra città e mare (leggesi waterfront) la prossima scommessa
urbanistica - con i fondi dell’Unione Europea - dovrebbe riguardare
proprio il centro antico che - continua Papa - «racconta una serie di
elementi: sviluppo economico, archeologia, architettura, arte. Deve
essere la nostra scommessa per il futuro». (Fonte:
Il Mattino)
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02/08/2005
IN CHIUSURA I LAVORI DI
SCAVO A BENEVENTO
Saranno ultimati nelle prossime ore a Benevento i lavori di scavo, i
rilievi fotografici e la catalogazione dei reperti archeologici
rinvenuti lungo corso Garibaldi, all'altezza del Palazzo del Governo,
eseguiti da una ditta di fiducia dell'amministrazione comunale con la
vigilanza della Soprintendenza ai beni archeologici. Subito dopo, la
struttura preesistente (una fornace risalente al XIII secolo, destinata
alla produzione di protomaiolica) verrà ricoperta con teli e materiale
di risulta, per poter consentire alla ditta di completare la
pavimentazione lungo l'intero tratto che va piazza Santa Sofia a piazza
IV novembre. La riapertura dell'area avverrà nei primi giorni della
prossima settimana, per ragioni tecniche dovute al necessario periodo di
assestamento della stessa nuova pavimentazione.
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26/07/2005
AL VIA TRENTUNO PROGETTI
PER L'AMBIENTE, L'ARCHEOLOGIA E LO SVILUPPO IN CAMPANIA
Trentuno progetti integrati, la cui realizzazione sarà assicurata
con un impegno finanziario complessivo di mille milioni di euro: i
relativi accordi di programma sono stati firmati ieri mattina alla
Regione dal governatore Bassolino e dai rappresentanti di tutti gli enti
interessati. Diversa la natura degli interventi, programmati in questi
mesi da appositi tavoli di concertazione. I Progetti Integrati delle «città
capoluogo» interessano Napoli, Benevento, Salerno e Caserta e possono
contare sulla disponibilità di circa 261 milioni di euro di fondi
europei del Por Campania 2000-2006. I progetti sono finalizzati alla
riqualificazione e alla valorizzazione delle risorse storico-culturali e
ambientali del territorio. I Progetti integrati individuati nella
tipologia «sistemi locali a vocazione industriale» interessano il
territorio dei comuni dell’area giuglianese, nolana e della «città
del fare» con un impegno di risorse finanziarie di 44 milioni di euro
dei fondi Por; sono finalizzati allo sviluppo e al potenziamento della
capacità competitiva dei sistemi locali, attraverso la valorizzazione
delle risorse umane ed imprenditoriali presenti sul territorio, nonchè
la creazione di servizi a sostegno delle piccole e medie imprese. Per la
categoria «sistemi locali a vocazione turistica» sono coinvolte le
isole del golfo, il Borgo Terminio-Cervialto e Pietrelcina; il
finanziamento di fondi Por è di 57 milioni di euro; obiettivo, la
creazione di sistemi integrati turistici, alla valorizzazione di beni
culturali ed ambientali, al recupero e alla realizzazione di
infrastrutture per servizi turistici, ad incrementare i flussi
turistici. Dedicati agli «Itinerari Culturali» i pit che interessano
le province di Avellino, Benevento e Caserta e riguardano il Regio
tratturo di Benevento, i Monti trebulani-Matese, la Valle dell’Ofanto,
la Valle dell’antico Clanis, il Regio tratturo di Avellino, l’Antica
Volcej, il Litorale domitio, possono contare su risorse finanziarie del
Por per circa 176 milioni di euro. I progetti «Grandi attrattori
culturali» di Pompei- Ercolano e sistema archeologico vesuviano,
Napoli, Campi flegrei, Reggia di Caserta, Paestum-Velia, Certosa di
Padula, con un finanziamento di circa 400 milioni di euro, sono
finalizzati alla valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale
in chiave turistica; i Progetti integrati «Parchi nazionali e regionali»
interessano il Parco regionale del fiume Sarno, il Parco regionale dei
Monti Picentini, il Parco regionale del Partenio, il Parco regionale del
Taburno-Camposauro, il Parco regionale Roccamonfina-foce Garigliano, il
Parco nazionale del Cilento- Vallo di Diano e il Parco Nazionale del
Vesuvio, che possono contare su risorse finanziarie del Por per oltre
140 milioni di euro. Soddisfatto il governatore Baassolino, secondo il
quale quelle finanziate sono «opere che vogliono innalzare il livello
di crescita della Campania, e farne sempre più una Regione europea,
capace di guardare a Bruxelles ed al Mediterraneo». Opere che è
possibile far partire subito: «I cantieri si possono aprire fin dalle
prossime ore», sottolinea Bassolino, ricordando che i finanziamenti
derivano per la gran parte dai fondi strutturali europei. «Adesso -
conclude Bassolino - tutti al lavoro, con l’impegno di rispettare i
tempi previsti per la realizzazione di questi importanti progetti, che
vanno ad aggiungersi ai 15 accordi già sottoscritti per la filiera
termale, turistico enogastronomica, per la Penisola
Sorrentino-Amalfitana, per la Piana del Sele, per l’Agro dei Monti
Picentini, la città di Avellino, il Parco del Matese, la Valle
dell'Irno e i sette distretti industriali». (Fonte:
Il Mattino)
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11/07/2005
UNO TSUNAMI DI 4000 ANNI
FA A SALERNO
Forse, tornarono. A piedi nudi, poco tempo dopo il disastro, per
raccogliere quello che restava degli attrezzi necessari per coltivare la
terra o macinare il grano. Oppure, scappavano, dopo aver abbandonato le
primitive calzature per correre meglio, in cerca di un luogo sicuro e in
grado di salvargli la vita. Nessuno lo potrà dire con certezza. Ma le
orme, le impronte che raccontano la storia di un villaggio devastato da
uno tsunami scatenatosi con tutta la sua violenza millenovecento anni
prima di Cristo, stanno là, nella zona di Olive - Torricelle, in
prossimità della collina di San Leonardo, alla periferia Ovest di
Salerno. Sono decine. A lasciarle, quattromila anni, fa su una base di
fango molliccio e giallastro, fu un gruppo formato da adulti, da
adolescenti e da animali. Le hanno trovate, gli archeologi della
Soprintendenza Archeologica di Salerno, durante i saggi che di solito si
fanno prima di dare l’ok definitivo alle concessioni edilizie. Sparsi
su tutta l’area, assieme a una incredibile quantità di ossa
d’animali - forse quelli che rimasero vittime del disastro - numerosi
frammenti ceramici di piatti e scodelle. Reperti che qualche volta sono
stati trovati del tutto integri e perfettamente conservati, sigillati
nella colata di fango. E poi, hanno intercettato il villaggio. Sette
capanne, quelle trovate per ora, chiuse in cerchio; tutte a forma di
ferro di cavallo; che ospitavano una comunità del Bronzo antico (tra il
1600 e il 2200 a.C.) o per meglio dire del ”Rame finale”, appunto 40
secoli fa. Un abitato che dovette avere anche un discreto numero di
presenze umane (considerata l’epoca) sia perché si trovava di fronte
al mare, che per la caratteristica della zona, da sempre considerata
un’area di passaggio. Ma principalmente perché, il nucleo abitato si
era sistemato vicino a uno stagno, forse alimentato da una polla
d’acqua dolce. «Tutto spazzato via. Tutto raso al suolo in pochi
attimi» racconta Giovanni Di Maio, geologo, che su quell’area ha
lavorato a stretto contatto con gli archeologi per definire la scansione
delle fasi storico stratigrafiche. Un’onda anomala terribile - i dati
ricavati dalle analisi la fanno stimare alta quanto un palazzo di
quattro piani - si abbatté sulla costa, penetrando nell’interno per
almeno un chilometro e superando una diga naturale elevata di qualche
metro sul livello del mare. Una barriera fatta di terreno giallo,
deposito alluvionale sceso dai monti vicini. Tutto sbancato in un sol
colpo villaggio, sabbia e abitanti che non fecero in tempo a salvarsi.
Chi erano quei primitivi e quali fossero le loro produzioni, sono gli
stessi reperti che lo dicono: coltivavano la terra, avevano fornetti in
terracotta, per cuocere granaglie o focacce, e allevavano diverse
tipologie di bestiame, tra cui maiali, capre e vacche. La scoperta del
sito, è avvenuta qualche tempo fa. Ma il tutto è stato rigorosamente
secretato al fine consentire una lettura corretta dei dati e di dare
interpretazioni precise sui fenomeni responsabili della fine del
villaggio. Per capire poi le origini di tanto sconvolgimento, secondo
gli studiosi, bisogna forzatamente puntare o su terremoti generati da
movimenti di faglia oppure considerare eruzioni sottomarine e le fasi
telluriche ad esse collegate. Quest’area del Tirreno, compresa tra la
Campania e la Sicilia, è difatti punteggiata da vulcani. Il ”Marsili”,
che è il più grande di tutti, si trova a circa 70 chilometri dalle
isole Eolie, è alto tremila metri, lungo sessantacinque chilometri, e
la cima si trova appena 500 metri sotto la superficie del mare. Ancora,
ci sono il ”Vassilov”, vecchio sei milioni di anni, e il ”Palinuro”,
oltre all’”Alcione” e al ”Lametini”, piccoli satelliti del
Marsili. La presenza umana su quell’area di Salerno rimasta devastata
dal maremoto era attestata gia sin dal Paleolitico (in grotte), circa 10
mila anni fa. Una frequentazione che, considerata la fertilità del
suolo, permise a quegli uomini primitivi di favorire, tra le altre
coltivazioni, lo sviluppo della vite, visto che si sono ritrovati i
pollini di quella coltura. Per quel periodo, poi, si sono intercettati
materiali che arrivano da fuori, quale, ad esempio l’ossidiana, che
viene importata sia dalle isole Eolie che dalla più grande Sardegna. «Insomma
- spiega Giuliana Tocco, soprintendente archeologico di Salerno -
l’area che abbiamo messo in luce è una delle più significative di
tutta la costa campana. Un dato è sicuramente importante: quel maremoto
ha cristallizzato tutto e ci ha permesso di recuperare una immensa
quantità di elementi riguardanti un periodo interessantissimo della
storia campana, sul quale contiamo di saperne di più non appena
riprenderemo le indagini». (Fonte:
Il Mattino)
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05/07/2005
NUOVE SCOPERTE SU POMPEI
SANNITA
C’era un porto, in antico, nell’area esterna che si affaccia sul
fronte meridionale degli scavi di Pompei, tra la zona di Porta Marina e
il Tempio di Venere. L’ipotesi, sicuramente di grande valenza
scientifica e archeologica, oltre che storica, ha già il sostegno di
alcuni e ben precisi elementi: un gran numero di magazzini dove
avrebbero trovato alloggio merci in entrata e in uscita dalla città,
situati appunto nel piano sottostante l’area sacra del Tempio di
Venere. La scoperta è stata fatta dal gruppo di archeologi della scuola
di specializzazione in Archeologia dell’Università di Matera, in
Basilicata, coordinati da Emanuele Curti, docente al Birkbeck College
dell’Università di Londra. «Stiamo lavorando - spiega l’archeologo
- per dare corpo alle nostre ipotesi. A settembre, quando ritorneremo a
indagare, inizieremo proprio con una serie di prospezioni mirate». Ma
c’è ancora una scoperta interessante che il gruppo ha fatto sempre
nella stessa area, durante le indagini effettuate nello spazio del
Tempio di Venere. «Quella struttura sacra - conferma Curti - non risale
al I secolo a.C., ma è coeva come impianto monumentale al Foro, alla
Basilica e all’area che si trova a sud ovest della città». Di più.
Secondo gli archeologi, la presenza di un’area di santuari sarebbe
attestata già sin dal III secolo a.C., se non addirittura dall’età
arcaica, quindi in epoca preromana. E l’edificio sarebbe stato
consacrato alla dea Mefite (la Venere romana), di origine sannitica,
forse collegata addirittura a Venere ericina, nella Sicilia occidentale;
ma certamente, in Campania, legata alle acque e al commercio. E,
appunto, quale area poteva essere la migliore per edificare un tempio a
un dio protettore del commercio se non quella che guardava sullo scalo
marittimo della città? La campagna di scavi di quest’anno ha avuto la
durata di due mesi e si è sviluppata nello stesso settore indagato
l’anno scorso. «Il sottosuolo dell’antica città di Pompei -
sottolinea il Soprintendente archeologo Pietro Giovanni Guzzo - ovvero
quelli che erano i livelli della vita cittadina lungo un arco di sette
secoli (dal VI secolo a.C. fino al 79 d.C.) conservano ancora
documentazioni di una società che solo in minima parte era finora nota».
Le ultime scoperte fatte nell’area del Tempio di Venere evidenziano un
elemento di continuità con la precedente fase sannitica che sino a
qualche tempo fa era stato solo ipotizzato. Tra le altre, proprio
l’edificazione del Tempio di Venere, nel 130 a. C, ovvero durante
quella sorta di ristrutturazione urbanistica che ebbero le architetture
cittadine lungo quell’area, evidenzia la quantità e la qualità degli
investimenti che furono fatti. «E - riprende Curti - questo è ancora
un nuovo ulteriore aspetto dell’indagine: bisognerà capire attraverso
la lettura delle tracce, da dove arrivano tutti quei sesterzi e il perché
di quel massiccio intervento economico che ha interessato Pompei nella
II metà del secondo secolo avanti Cristo». Altre scoperte, poi, sono
arrivate ancora dai dati letti nelle strutture portanti del santuario.
Secondo gli archeologi, il tempio di Venere si sviluppava su due
terrazze: una superiore dove era ospitata l’area sacra e l’altra,
sottostante, dove è stata rinvenuta una piattaforma con canalette per
il deflusso di acqua o che appunto servivano al culto della divinità.
Appartenenti a questa fase sono stati inoltre rinvenuti vari frammenti
architettonici, pertinenti al sistema decorativo di questa fase del
santuario. Una delle novità di questa campagna di scavo viene dal
ritrovamento, lungo i livelli indagati, di materiali di fattura greca ed
etrusca tra cui una terracotta architettonica che raffigura un Eros
dall’aspetto quasi da ermafrodito, e una serie di offerte votive
rituali contraddistinte da vasetti in miniatura, ossa di giovani
maialini, frutta e legumi carbonizzati. Reperti, questi ultimi, che
adesso saranno oggetto di studio per il gruppo di specialisti che ha
affiancato l’equipe di Curti: Alison Carnell, archeozoologa
dell’Università di Southampton; Girolamo Fiorentino, archeobotanico
dell’Università di Lecce e Claudio Mazzoli, petrografo dell’Ateneo
di Padova.
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01/07/2005
RISULTATI E PROSPETTIVE
FUTURE PER L'ARCHEOLOGIA A BENEVENTO E DINTORNI
Ieri mattina, presso l’ex carcere San Felice di Benevento, si è
tenuta una conferenza stampa voluta da Soprintendenza ai beni
archeologici e Comune di Benevento per offrire un report sui
ritrovamenti legati alla realizzazione di opere pubbliche in città. Sia
il sindaco di Benevento, Sandro D’Alessandro, che la soprintendente
Giuliana Tocco, hanno rimarcato la grande collaborazione istituzionale
in atto, fatto significativo che permette al Comune di poter realizzare
lavori di riqualificazione urbana in un clima di grande fermento,
confortato dalla fiducia che gli stessi saranno portati a termine, pur
nella salvaguardia dei rinvenimenti e dei reperti che emergono
giornalmente. Luigina Tomay, responsabile degli uffici di Benevento
della Soprintendenza, ha illustrato nel dettaglio i rinvenimenti emersi
sia durante i lavori di rifacimento della pavimentazione di corso
Garibaldi sia in altri luoghi della città, come nel caso del Duomo,
dove il Comune non è direttamente coinvolto sebbene stia contribuendo
alla realizzazione degli scavi. I rinvenimenti principali si sono avuti,
per l'epoca romana, al largo San Bartolomeo, in via Bartolomeo Camerario,
piazza Ponzio Telesino (dove è emersa una necropoli con sei sepolture),
al Duomo mentre resti di edifici di epoca sannitica sono stati rinvenuti
a contrada Acquafredda, nonché ulteriori campagne di scavi sono in
corso a piazza Duomo e in altri siti della città. Qualche evidenza
particolare, come la fornace risalente al XIII secolo destinata alla
produzione di protomaiolica, rinvenuta all’altezza del Palazzo di
Governo, sarà lasciata a vista e musealizzata. Nei prossimi mesi nuovi
sondaggi sono già previsti in piazza Orsini e presso il Museo Diocesano.
Le esplorazioni archeologiche a piazza Duomo, dove sorgerà il Museo
d’arte moderna, a piazza Ponzio Telesino e nell’area dell’Arco del
Sacramento, dove opera un’équipe della seconda Università degli
studi di Napoli, diretta dal professor Marcello Rotili, testimoniano la
densità e l’estensione degli interventi di archeologia urbana
attualmente in corso. Un accenno merita anche l’intervento che si sta
effettuando presso la Cattedrale. Contrariamente a quanto ci si
aspettava, la ricostruzione successiva al bombardamento del 1943 non ha
compromesso le fasi più antiche dell’edificio, che, com’è noto, fu
eretto nell’area del Foro Romano, lì dove, probabilmente, sorgeva il
Capitolium. Già i primi dati emersi dagli scavi lasciano intravedere
una situazione di grande interesse, con strutture pertinenti sia
all’adiacente basilica di San Bartolomeo, sia ad epoca romana, con un
muro in opera reticolata ed un pavimento in mosaico a tessere bianche e
nere. Questi lavori, in particolare, evidenziano il clima di grande
collaborazione venutosi a creare tra gli Enti operanti in città sul
tema delle preesistenze archeologiche. Infatti, l’esplorazione in
Cattedrale è resa possibile grazie all’impegno finanziario assunto,
oltre che dalla Curia, dall’amministrazione provinciale e dal Comune,
che hanno recepito pienamente come, in un’area di così grande
interesse storico ed archeologico, il recupero del passato rappresenti
una tappa imprescindibile per lo sviluppo futuro. Il controllo capillare
del territorio effettuato dalla Soprintendenza Archeologica ha
determinato l’esecuzione di importanti interventi anche in aree
periferiche e fuori città. Tra gli scavi più importanti si segnala
quello ancora in corso in Via Valfortore, dove il rinvenimento di
maggiore interesse è rappresentato da un acquedotto, individuato per
una lunghezza di circa 50 metri, risalente al II secolo d.C. Novità
rilevanti provengono anche dall’area del Consorzio Asi, in località
Ponte Valentino. Qui le recenti esplorazioni presso il Pastificio Rummo
e in località Acquafredda hanno restituito una ricchissima
documentazione compresa tra l’epoca preistorica ed il periodo
tardo-antico, che amplia notevolmente il quadro delle conoscenze sulle
modalità insediative succedutesi nel corso dei secoli nella campagna
beneventana. Marcello Rotili, docente di archeologia medievale presso la
seconda Università di Napoli, ha infine illustrato la campagna di scavi
in corso presso l’Arco del Sacramento e lungo via Carlo Torre e via
San Gaetano, dove il Comune ha in corso di realizzazione il recupero
dell’intera area, nell’ambito del Pit “Benevento: il futuro nella
Storia”. Anche Rotili, incaricato dal Comune di coordinare le ricerche
nell’importantissima area, toccata negli anni 60 da un intervento
edilizio privato mai completato, ha sottolineato come la “diagnostica
archeologica” sia il primo e indispensabile passo per realizzare opere
pubbliche, anche di forte impatto socio-culturale, nella certezza della
possibile valorizzazione dell’antico e del moderno.
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29/06/2005
NUOVI SCAVI A POMPEI
NELL'AREA DI PORTA STABIA
Abitazioni,
negozi, botteghe in un’area di Pompei praticamente intatta fino
all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.: è quanto rivelano gli scavi
condotti da Steven Ellis (Università di Sidney e Michigan) e Gary
Devore (Stanford University) che stanno per portare alla luce case
private, risalenti a fasi precedenti l'età romana e poi
divenute contigue all'area di intrattenimento della città (2 teatri, un
ampio cortile colonnato, 3 templi e un Foro). Il progetto
complessivo di scavo è denominato Pompeii Archaeological Research
Project: Porta Stabia (PARP:PS) e si sviluppa lungo una delle principali
strade transitabili di Pompei, all’interno di una delle porte di
ingresso in quello che fu un tempo il centro sociale e culturale
della città. Un gruppo di 30 archeologi, proveniente
dalle università australiane, americane, inglesi, canadesi e italiane è
al lavoro per una prima campagna di scavo della durata
di cinque settimane."L'invito
lanciato nel 1996 e rivolto alle università italiane e straniere di
venire a compiere ricerche archeologiche e storiche a Pompei continua a
riscuotere successo - dichiara il Soprintendente archeologo di Pompei,
Pietro Giovanni Guzzo - Il progetto internazionale sul quartiere interno
a Porta Stabia ne è un'ulteriore conferma. La Soprintendenza segue con
il massimo interesse questa multiforme attività, allo scopo sia di
ricavarne elementi di conoscenza utili al restauro ed alla manutenzione
della città antica sia di ampliare le conoscenze e le informazioni da
diffondere ai visitatori. E' purtroppo da segnalare che la progressiva
riduzione del personale costringe a non offrire alla visita tutti i
settori dell'antica città. Ci auguriamo che una tale situazione possa
trovare, quanto prima, una felice soluzione."Tra gli
obiettivi dell’importante scavo anche quello di definire
l’impatto urbano e culturale che l’occupazione romana ebbe a Pompei
e di approfondire aspetti importanti della vita quotidiana e di
relazione della città. “Sappiamo che i romani conquistarono Pompei nei primi secoli
prima di Cristo”, dichiara Ellis - e che portarono con sé
le loro istituzioni, la loro forma governativa, ed il loro modo di
vivere. Possiamo toccare con mano il processo di “Romanizzazione”
nella monumentalizzazione dei loro edifici pubblici , ma quello di cui
siamo meno sicuri è quali siano stati i risvolti pratici di tale
processo. Innanzitutto stiamo cercando di scoprire come sia cambiato il
modo di vivere dei pompeiani a seguito della distruzione di parti della
loro città quando con l’arrivo dei romani furono costruiti edifici
come i teatri e i templi.’’Secondo
Devore “Scavare questa parte di Pompei è un’opportunità unica e
privilegiata., raramente gli archeologi a Pompei hanno avuto accesso a
zone di tale importanza. Infatti è questa un’area della città, sulla
cui storia c’è ancora tanto da dire. Siamo interessati a come
l’aspetto domestico e commerciale sia riuscito a sopravvivere, pur
rimanendo nell’ombra, rispetto allo sviluppo fiorente dei edifici
pubblici monumentali, come il Teatro grande e il Tempio di Iside.” |
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21/06/2005
ARCHEOLOGIA SUBACQUEA: CONCLUSO IL PROGETTO ARCHEOMAR
Duecentosessantacinque siti
rilevati e documentati con un alto livello di dettaglio, dei quali 96 in
Calabria, 79 in Campania, 3 in Basilicata e in 97 in Puglia. Sono questi
i numeri della seconda fase del progetto "Archeomar",
conclusasi oggi che in due anni ha portato un’equipe di archeologi
marini a passare al setaccio i fondali dei mari delle quattro regioni
meridionali per censire e documentare le testimonianze del passato.
L’obiettivo, dopo la conclusione del progetto "Archeomar",
come ha annunciato oggi il viceministro per i Beni e le Attività
Culturali, Antonio Martusciello, dovrà essere quello di realizzare un
vero e proprio polo museale «dedicato alla storia dell’uomo sui mari,
nelle lagune, sui fiumi e sugli ipogei italiani». Cento operatori, tra
tecnici di bordo, subacquei, archeologi subacquei, assistenti e
dipendenti delle Soprintendenze hanno individuato, anche grazie
all’utilizzo di moderne tecnologie come il sistema Gps, relitti di
epoca romana, medioevale e moderna (come relitti militari della I e
della II guerra mondiale). Materiale che costituirà una vera e propria
banca dati, con l’indicazione anche degli elementi di criticità
relativi ai rischi di distruzione. Ma per favorirne la conoscenza al
grande pubblico il materiale finirà in un sito web che è in fase di
allestimento e in un poderoso atlante cartografico e fotografico dei
siti archeologici sommersi che è in corso di lavorazione.
I risultati della seconda fase del progetto ’Archeomar’ sono stati
illustrati oggi, alla presenza del viceministro ai Beni Culturali,
Antonio Martusciello, a bordo della nave oceanografica «Coopernaut
Franca» ancorata al largo dell’isola di Procida (Napoli), proprio
dove gli operatori hanno rintracciato il ’relitto dei marmì. Si
tratta di una imbarcazione del XVIII secolo, affondata per cause ignote
che affondò subito dopo aver doppiato Capo Miseno, che trasportava
marmi antichi, molto probabilmente ricavati dalla spoliazione di un
monumento di epoca romana, e alcuni reperti di ceramica invetriata. Sia
i marmi che lo scafo, secondo quanto hanno accertato gli esperi, sono in
buone condizioni. Il progetto ’Archeomar’, finanziato con circa 77
milioni di euro previsti da una legge del 2002, affidato a seguito
dell’espletamento di una gara internazionale sulla base di una
progettazione compiuta dal ministero per i Beni e le Attività
Culturali, è servito oltre a catalogare nuovi reperti marini anche a
mettere a sistema tutto il materiale raccolto negli anni passati. Al
momento sono state completate le prime due fasi del progetto, ovvero
quella della progettazione dell’intervento e quella
dell’individuazione dei siti. Ora scatterà della valutazione dei dati
acquisiti ma come ha spiegato ancora il viceministro Martusciello
bisognerà «trovare le risorse ad hoc per rendere disponibili ed
operativi laboratori di restauro del legno bagnato e di quanto viene
recuperato sott’acqua, come metalli, ceramiche, materiali lapidei e
cuioi».
I risultati finora conseguiti, sempre a giudizio di Martusciello,
dimostrano «che l’intuizione di dotare di fondi e strutture adeguate
la ricerca subacquea era giusta e doverosa e porterà ad un ampliamento
della conoscenza e della capacità di intervento nella tutela di un
patrimonio finora sconosciuto e sedimentato nei secoli».
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17/06/2005 OTTO
DVD PER LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NEI CANTIERI PER LE LINEE FERROVIARIE
AD ALTA VELOCITA'
Che cosa ci faceva un orso a
Afragola, in provincia di Napoli? Sue impronte sono state ritrovate nel
sito archeologico scoperto in occasione dei lavori dell’Alta Velocità
sulla tratta Roma-Napoli. Ieri i ministri Lunardi e Buttiglione, il
presidente delle Ferrovie dello Stato, Elio Catania, l’amministratore
Tav Antonio Savini Nicci, con l’archeologo Andrea Carandini e altre
autorità hanno presentato a Roma la collana multimediale «Archeologia
Tav in 3D». Otto dvd (il primo uscito ieri è dedicato al Lazio), nei
quali si ricostruisce virtualmente e sulle basi scientifiche finora
acquisite il patrimonio archeologico venuto alla luce durante i lavori
ferroviari delle nuove linee tra Torino, Milano e Napoli. Seicentotrenta
chilometri, circa 200 ritrovamenti di cui 50 di grande interesse
scientifico, scoperti grazie alla pratica della cosiddetta «archeologia
preventiva». Le nuove tecnologie - rilievi laser, ricognizioni
geo-magnetiche, carotaggi, il macro riserve engineering - consentono il
monitoraggio del sottosuolo senza il pericolo di trovare reperti in
corso d’opera e senza dover distruggere il patrimonio culturale e
archeologico. Questa metodologia coinvolge ministeri, Ferrovie, Tav,
Soprintendenze, enti locali: richieste di concessioni, permessi, studi.
La conferenza dei servizi per la tratta Torino-Novara, per esempio, è
durata sei anni: uno in più di quelli impiegati per la sua effettiva
costruzione. Per snellire le competenze è stata creata una Società, la
Arcus, nella quale si convoglia il 5 per ento delle risorse per le
grandi opere che rientrano nella legge-obiettivo, a tutt’oggi 58
milioni di euro. Lunedì, Lunardi e Buttiglione firmeranno un decreto
per ulteriori 140 milioni di euro. L’alta velocità tra Roma e Napoli
è lunga centotrenta chilometri: verrà inaugurata a fine anno. È la più
ricca per testimonianze archeologiche: 140 siti rilevanti. In media, uno
ogni 500 metri. I lavori di archeologia preventiva sono, in media,
costati 950 euro per ogni chilometro. Le differenze tra i terreni
laziali e campani sono piuttosto rilevanti. L’attività eruttiva
dell’area vicino Napoli ha più volte sepolto le testimonianze di vita
pre e protostorica: come a Pompei, ma venti secoli prima. I rilievi
laser hanno svelato, nella zona tra Caivano e Afragola, un territorio
densamente occupato a ridosso del fiume Sebeto. Qui si sono ritrovate
impronte umane, di ruote di carri, di animali. Sono quelle della gente
che, fuggita dai villaggi a causa dell’eruzione, a lava ancora tiepida
è tornata indietro per verificare che cosa era accaduto al loro
villaggio. È stata scavata un’area periferica di un insediamento che
ha avuto una lunga durata di vita e che doveva estendersi per una
considerevole dimensione. A Botteghelle sono state rimesse in luce un
pozzo e delle fosse. Blocchi di tufo hanno permesso di ipotizzare un
portico affacciato su uno spazio aperto pavimentato in cocciopesto. In
esso si trovava una vaschetta formata da tegole: un focolare usato per i
riti. Insomma, un santuario di età ellenistica. Verso Roma le
testimonianze hanno altre caratteristiche. Vicino Teano c’è un
santuario con piscina confrontabile con quello ritrovato a Segni, nel
Lazio. A Vitulazio una villa rustica di età romana. Di tutti i
materiali rinvenuti, la Soprintendenza sta valutando futura
collocazione. Il dvd sulla tratta campana uscirà a dicembre: quattro
saranno i siti virtualmente riprodotti, certo quello di Mignano Monte
Lungo (un villaggio di età romana del periodo augusteo). Si spera che,
fino ad allora, gli studi specialistici siano arrivati al punto di
spiegarci: riusciamo a risalire ad Annibale per le tracce degli elefanti
ritrovate a Roma, ma come è potuto arrivato un orso a Afragola? (Fonte:
Il Mattino)
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07/06/2005 PRESENTATO
IL PROGETTO DEL PARCO DELLA PROTOSTORIA DI POGGIOMARINO
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03/06/2005 SPUNTANO
FRAMMENTI DELL'ETA' DEL BRONZO DAL CANTIERE DELLA LINEA 6 A NAPOLI
Per ora sono due frammenti. Forse di un’olla, antiche anfore.
Forse di qualche utensile. Rappresentano, però, la prima testimonianza
dell’età del bronzo a Napoli, città ricca invece di storia greca e
romana. Resta da vedere se sarà l’unica o se sotto un metro di
terreno si troveranno tracce più cospicue di un qualche insediamento
pre-ellenico. I due frammenti sono stati datati e risalgono al bronzo
antico, vale a dire quattromila anni fa. Sono costituiti da un impasto
di bronzo con un cordone digitato, ovvero con la sommità modellata con
le dita. Una scoperta che potrebbe essere veramente importante quella a
piazzale Tecchio, a Fuorigrotta, durante gli scavi della stazione della
linea 6. Dai carotaggi nel terreno sono venuti fuori i due frammenti. E
quaranta giorni fa è iniziata la campagna di scavo condotta dalle due
archeologhe Natascia Pizzano e Anna Maria Pappalardo, che hanno già
lavorato con successo a Nola e Poggiomarino. Si è arrivato, scavando
letteralmente con il cucchiaino, all’epoca romana, al primo paleosuolo.
Qui sono state trovate tracce di una palificazione, ma nessuna struttura
in pietra o tufo. Significa che molto probabilmente sorgeva una fattoria
(i pali erano conficcati di molto nel terreno, segno che dovevano
reggere un’abitazione) e che, vista per ora l’assenza di elementi
zooarcheologici, gli abitanti dell’insediamento erano dediti
all’agricoltura più che all’allevamento di animali. Sono stati
scavati una serie di buchi e ritrovati numerosi frammenti di ceramica
romana (già catalogati). Così come una porzione del terreno raccolto
è stato inviato in laboratorio per delle analisi: si capirà gli
antichi agri romani di Fuorigrotta a cosa erano coltivati. Un lavoro
meticoloso che, però, ha portato nell’ultimo mese a un rallentamento
nella realizzazione della linea 6, l’ex ltr. Ma ora si è arrivati a
una svolta. «Bisogna scavare per un metro ancora - spiega l’ingegnere
Antonio Liguori, project manager della Linea 6 per l’Ansaldo - dopo di
che arriveremo al paleosuolo dell’età bronzea». E qui si vedrà cosa
c’è. Se cioé esiste un vero e proprio insediamento dell’età del
bronzo, fatto unico a Napoli, o se i frammenti siano riconducibili a
episodi isolati. Il paleosuolo romano, invece, andrà via, perché a
conti fatti non contiene nulla di importante. Prima però sarà
fotografato nei minimi dettagli per una completa schedatura da parte
della sovrintendenza. Da qui poi la scelta di cosa fare dei reperti
trovati. Se cioè inglobarli nella nuova stazione che va a nascere (e
che sarà pronta per la primavera prossima) o asportarli e metterli in
un museo. Dipende soltanto dall’importanza dei prossimi ritrovamenti.
Dopo di che il lavoro della linea 6 andrà avanti. (Fonte: IL MATTINO)
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31/05/2005 DIVENTERA'
VISITABILE IL TEATRO ROMANO DI NAPOLI
Era un bel rosso pompeiano forte. Ora è sbiadito, ma il colore è
rimasto. Erano le pareti dell’ambulacro del teatro romano. Stanno
tornando pian piano alla luce. Insieme a nicchie, vomitori (i moderni
foyer), cunei, archi, opera mista. Una testimonianza eccezionale, unica
al mondo. È solo una porzione del teatro in cui - siamo a metà tra
leggenda e storia - si esibì Nerone. Il resto è sepolto dai palazzi
del centro storico, via San Paolo, via dell’Anticaglia, vico
Cinquesanti. Delle gradinate del teatro si sapeva da anni. La novità è
la parte retrostante che pian piano sta emergendo, sotto la supervisione
della soprintendenza ai beni archeologici e del dipartimento comunale
del centro storico, coordinato dall’architetto Giancarlo Ferulano
sotto la supervisione diretta del vicesindaco Rocco Papa. Il centro
storico si conferma un museo a cielo aperto. Si entra in un palazzo, a
via San Paolo 4, e in quello che potrebbe essere un garage, dietro una
saracinesca di ferro, si disvela un mondo di duemila anni fa. Una
costruzione augustea, è stato appurato dai numerosi saggi che da un
decennio si susseguono sulla struttura. Con superfetazioni di ogni tipo
e di ogni età, dalla successiva epoca flavia alle costruzioni
cinquecentesche, sino agli attuali edifici che hanno ricoperto gran
parte del teatro romano (che a sua volta sorse, ampliandolo, sui resti
di quello greco). Si scava. Mancano due metri per arrivare al pavimento
di vomitori e ambulacro. Pian piano, però, emergono sorprese, come
archi e appunto intonaco ancora esistente. C’è un progetto per
riportare alla luce e rendere addirittura fruibile il teatro. Una
piccola porzione di cavea e gradinate: delle 7mila persone che
assistevano agli spettacoli (i giochi sportivi erano più in là, nella
struttura che sta emergendo a via Duomo) troveranno posto solo 700
persone. Sulle gradinate è rimasta anche qualche traccia di marmo che
originariamente ricopriva tutti i posti a sedere, mentre la struttura è
obbligatoriamente in tufo napoletano. Il problema è che tutta la cavea
(almeno quella che tornerà alla luce) è sotto un giardino interno,
anche questo bello e antico ed è necessario espropriarlo e
sacrificarlo. Qui si aprirà sicuramente una battaglia legale e di
opinione e i tempi di apertura del teatro al pubblico dipendono anche da
come si svilupperà la situazione. Il progetto del vicesindaco Rocco
Papa è ambizioso. Non solo visite guidate ma addirittura «rappresentazioni
teatrali e manifestazioni culturali» come si legge nel progetto
dell’architetto Romano Roberto Einaudi. Stanziati dal bilancio
comunale quasi 4 milioni di euro, «il complesso monumentale del teatro
antico - scrive ancora Einaudi - recuperato e restaurato con gli
ambulacri interni, i vomitori antichi di accesso alla grande cavea,
l’orchestra, il podio e la grande frons scenae, il tutto incastonato
tra gli edifici moderni sorti attorno al teatro a partire dal ’500,
sarà una testimonianza unica della lunga e complessa storia della città».
(Fonte: IL MATTINO)
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18/05/2005
TRA I PIT INTERVENTI ARCHEOLOGICI PER
LA VALLE DELL'OFANTO
Nove interventi candidati al bando regionale di premialità rivolto
ai progetti integrati per un importo complessivo di poco superiore ai
26milioni di euro. Sono le referenze con le quali il Pit ‘Valle
dell’Ofanto’ concorre all’assegnazione di risorse aggiuntive.
Sovvenzioni che verranno assegnate mediante il riscontro di specifiche
condizioni quali la qualità e l’efficienza della spesa. Più
precisamente, il set progettuale che aspira alle premialità riguarda ed
interessa diversi ambiti programmatici. Si parte dal progetto di qualità
urbana della zona ‘Fossi’ di Carife, al restauro del castello
Gesualdo con destinazione a centro europeo di cultura musicale al
restauro e riuso di Palazzo Vitale, con sede ad Aquilonia, mediante una
nuova veste operativa e funzionale: un centro studi sulle culture locali
del Mediterraneo. E poi, il completamento del parco archeologico e
storico do Compsa, la realizzazione di un incubatore d’impresa e
scuola di design a Calitri nonché la valorizzazione e promozione del
patrimonio culturale dell’area della Valle dell’Ofanto. Allo stato
attuale, il progetto integrato gode di un tetto economico di 32.077.544
euro (risorse assegnate dalla Regione Campania). Un ruolo fondamentale
è rappresentato dalla formazione. “Sono previsti- mette in evidenza
la presidente della Provincia di Avellino, Alberta De Simone- una serie
di qualifiche per diplomati e laureati per gestire al meglio la
ricettività turistica e il patrimonio culturale”. Lo strumento di
programmazione negoziata, che interessa numeri comuni dell’Alta Ipinia,
è finalizzato alla costruzione di un itinerario culturale che punti
alla valorizzazione dell’intreccio unico tra gli aspetti storici,
archeologici e naturalistici, della tipicità irpina. L’obiettivo
primario è la messa in produzione delle ricchezze culturali presenti
nell’intero ambito territoriale interessato dal percorso del fiume
Ofanto, fino alle aree del suggestivo patrimonio
naturalistico-ambientale di Montella e del vicino altopiano del Laceno.
L’Itinerario possiede già un suo valido livello di attrazione e
include, inoltre, importanti aree protette, come l’oasi Wwf della Diga
di Conza e quattro altri Sic (siti di interesse comunitario),
accrescendo la validità di un progetto di fruizione integrata,
progettata nel rispetto delle peculiarità del territorio, reso ancora
più attraente dalla presenza di alcune particolari emergenze
archeologiche, monumentali di centri storici ben conservati.
L’itinerario si implementa poi di valore aggiunto con la promiscuità
dell’azione di valorizzazione dei percorsi tratturali, perseguita dal
piano Integrato dell’itinerario del Regio Tratturo, per le province di
Avellino e Benevento, nonché dal progetto Appennino Parco d’Europa.
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13/05/2005
SCEMPI A GIUGLIANO (NA)
ED OLEVANO SUL TUSCIANO
Gli scempi sono stati
scoperti dai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di
Napoli in località “Casale Pagliarone” di Giugliano in Campania,
un’area prossima al Lago Patria, e a Olevano sul Tusciano, in
provincia di Salerno. Nel primo caso,
gli abusivi avevano costruito alcune baracche senza nessun permesso, in
quell’area che consideravano al sicuro da ogni controllo perché
troppo fuori mano, oltre che utilizzata solo per l’agricoltura. E,
cosa ancora più grave, le costruzioni era state edificate su
preesistenza di epoca romana, forse una fattoria, con ben evidenziati
ruderi e pavimenti in opus spicatum. L’attività investigativa del
Nucleo Tutela dell’Arma, tuttavia, ha permesso di intercettare i
colpevoli dello scempio archeologico e di fermare l’azione devastante
contro uno dei tesori dell’area, considerata tra le più ricche della
regione dal punto di vista storico archeologico, denunciando diciannove
persone per “danneggiamento, demolizione, modifica e rimozione di cose
d’interesse storico artistico”. Identica l’ipotesi di reato per il
proprietario del Convento di Santa Maria a Costantinopoli, un edificio
da poco acquistato, che stava per essere completamente stravolto in
architetture e strutture. La fabbrica, una costruzione cinquecentesca
appartenuta ai Domenicani, fu abbandonata in seguito a un decreto emesso
da Gioacchino Murat re di Napoli che sopprimeva tutti i conventi con
meno di dodici religiosi professi, nonostante che lo stesso potesse
vantare una florida situazione economica e un consistente supporto dei
fedeli. Il convento, secondo i militari, stava per essere trasformato in
struttura ricettiva, perdendo completamente le caratteristiche
originarie di bene culturale dal notevole valore storico scientifico.
(Fonte: comunicato
stampa)
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10/05/2005
RIQUALIFICAZIONE PER IL
COLLE DEL TIFATA ED IL TEMPIO DI GIOVE
Riqualificare il colle del Tifata, con le sue presenze
archeologiche. Organizzare percorsi alternativi all’interno di un
parco di grande impatto ambientale. Sono questi gli obiettivi della
Soprintendenza dei Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta.
In un intervista Maddalena Marselli, funzionario della Soprintendenza,
ha espresso la volontà dell'ente in questione di realizzare interventi
per il colle del Tifata, nel casertano, dove sono presenti diverse
emergenze architettoniche ed archeologiche come la Basilica di
Sant'Angelo in Formis, costruita a sua volte su un tempio preromano. Nel
‘99 furono presentati anche alcuni progetti che riguardavano il parco
archeologico dell’Appia prevedendo l’esproprio di alcuni terreni in
adiacenza alla Tav; poi fu presentato la proposta di un parco
archeologico all’interno del Cira, il Centro Italiano di Ricerche
aerospaziali. Nel 2004 ci si è reso conto che quest’ultimo progetto
non era attuabile e quindi si è fatto presente al Prusst di indirizzare
meglio le risorse, concentrandole per il parco archeologico ambientale
del Tifata. E' stato scelto quest'ultimo perché sono state eseguite
indagine archeologiche e sono emerse strutture interessanti. Sono stati
pubblicati i risultati degli scavi al tempio di Giove Tifatino e tutto
è riportato sull’articolo scientifico pubblicato sul bollettino di
archeologia nazionale. Del tempio di Giove è stato portata alla luce un
complesso santuario di notevoli articolazione. Per quanto riguarda la
cronologia è possibile ipotizzare che la fase di inizio corrisponda ad
un momento collocabile tra la fine del secondo e primi decenni del primo
secolo avanti Cristo. Lo lasciano intendere l’utilizzo massiccio di
opera, la comparsa di alcuni tratti di muratura che preluderà ad una
tecnica che si svilupperà negli anni a venire. (Fonte: comunicato
stampa)
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23/02/2005
ENTRO DUE ANNI IL PARCO ARCHEOLOGICO DI PUNTA CHIARITO A FORIO D'ISCHIA
(Na)
Lo scoprirono per caso quando, negli anni ’70,
durante un tentativo di costruire case abusive cominciarono a venire
fuori i primi reperti. L’intervento degli ambientalisti bloccò la
speculazione e diede il via alla campagna di scavi di quello che viene
indicato come uno dei primi insediamenti greci nel golfo di Napoli: il
sito di Punta Chiarito a Forio. Ora, la zona, avrà dignità di parco
archeologico: lo ha stabilito un protocollo d’intesa siglato da
Comune, Regione e Soprintendenza. L’apertura al pubblico avverà
entro due anni. L’insediamento greco, su una insenatura della costa
meridionale dell’isola, intorno al mille avanti Cristo, era una
strategica base navale che gli antichi colonizzatori sfruttarono per i
loro rifornimenti sulle rotte fra l'isola d’Elba e la madrepatria,
fino al 600 a.c. Poi, improvvisamente, l’intero villaggio venne
sepolto da una enorme massa di fango argilloso. Il sito archeologico,
negli anni passati, ha visto l'intervento anche di prestigiose
istituzioni internazionali come il museo di Berlino, che ha finanziato
una parte degli scavi. Per i primi, immediati interventi, dunque,
Comune, Regione e Ministero spenderanno almeno un milione e 300mila
euro. Nei prossimi giorni si passerà alla stesura della progettazione
esecutiva. Occorre delimitare l'area attuale (1000 mq) e anche quella
dove nei prossimi anni si concentreranno nuove ricerche. L'obiettivo
più ambito dai tecnici della sovrintendenza resta quello di scoprire
dov'è la necropoli, che si presume possa essere addirittura più
antica di quella rinvenuta negli anni '50 nella baia di San Montano e
dai quali venne riportata alla luce la famosa coppa di Nestore, uno
fra i più importanti reperti archeologici di tutta la Magna Grecia.
«Per ora sono stati rinvenuti due siti abitativi perfettamente
intatti, con fornaci, attrezzature e vasellame dell'epoca», dice la
sovrintendente Costanza Gialanella che ha siglato il protocollo
d'intesa, presenti per la Regione l'assessore Marco Di Lello ed il
consigliere Antonio Simeone e per il Comune il sindaco Franco Regine e
l'assessore Nicola Monti. Entro la primavera la Regione inizierà
anche i lavori - con i fondi già stanziati - di consolidamento per
evitare che vi siano cedimenti sul versante marino. Il tratto di costa
in questione è da sempre oggetto di forti mareggiate e una parte
rilevante dell'antico insediamento è stato inghiottito dalle onde. «Realizzeremo
- dice il sindaco Regine - e naturalmente la struttura del museo nella
quale esporre quei preziosi reperti». Entro il 2007, quindi l'area
sarà perfettamente agibile e inserita nei percorsi archeologici della
Campania, mentre attualmente per accedervi, occorre il permesso della
sovrintendenza. «E con l'istituzione del parco archeologico - ha
dichiarato Marco Di Lello - si metterà speriamo fine al fenomeno del
cemento selvaggio».
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28/01/2005
MUSEO DELL'ANTICA CALES IN DIRITTURA D'ARRIVO?
È stato, finalmente, compiuto il primo storico
passo verso la creazione del museo dell’antica Cales. Firmato
l’accordo tra la Soprintendente Reggente Valeria Sanpaolo, in
rappresentanza del Ministero per i Beni Culturali, ed il sindaco di
Calvi Risorta, Giacomo Zacchia, per la realizzazione della casa
museale nei locali del Castello Aragonese. Il Comune ha destinato il
Castello a sede del museo, mentre l’ente archeologico si è
impegnato a «riportare a casa» tutti i reperti del passato caleno,
che si trovano dislocati in altri musei ed uffici della Sovrintendenza.
La prima piattaforma di concertazione, dunque, che si era insediata
solo pochi giorni fa negli uffici regionali della Sovrintendenza ai
beni archeologici, con il Sovrintendente di Caserta Stefano De Caro,
la reggente Valeria Sanpaolo e l’amministrazione comunale calena, ha
messo nero su bianco l’impegno programmatico per la esecuzione
dell’ambiziosa opera. Il tratto saliente dell’accordo, è
certamente rappresentato dal passaggio in cui gli enti convengono di
«impegnarsi congiuntamente al raggiungimento della istituzione del
Museo Archeologico nel Castello Aragonese, che il Comune destina a
tale scopo, nel quale esporre i materiali provenienti dagli scavi
dell’antica Cales e che la Sovrintendenza mette a disposizione». «Questo
è davvero un bel piatto con il quale ci presenteremo alla tavola
degli enti coinvolti nella realizzazione del parco archeologico e
dello svincolo autostradale» ha commentato il sindaco Giacomo Zacchia.
Ora si tratta di definire il cronoprogramma per la realizzazione
concreta delle opere.
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15/01/2005
CHIESTA LA TUTELA DELL'UNESCO PER IL VILLAGGIO PREISTORICO DI NOLA
ED INTANTO PARTONO I LAVORI
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05/01/2005
APPELLO PER LA BADIA DI CAVA DEI TIRRENI (SA)
L'abbazia benedettina della
Santissima Trinità di Cava ha bisogno di fondi per poter essere meglio
conservata. Un patrimonio,di proprietà dello Stato,e che è anche il
fiore all'occhiello della città metelliana deve avere quelle
attenzioni particolari che questo grande scrigno di cristianità e
cultura merita. Lo dice chiaramente senza nascondersi dietra ad un
dito l'attuale abate mons.Benedetto Chianetta. «Per l'assistenza
spirituale - sottolinea - ci pensano i monaci ma per quella materiale
c'è bisogno dell'aiuto degli organi a ciò preposti. Abbiamo avuto solo
promesse per interventi di restauro di alcune nostre strutture ma
ancora ad oggi nulla si è mosso perchè i fondi non sono mai arrivati».
Nel monastero sono conservati dei veri e propri tesori d'arte come la
biblioteca che conserva 70.000 volumi con numerosi incunaboli,
l'archivio con oltre 15.000 pergamene (la prima risale all'VIII
secolo),una Bibbia visigotica del IX secolo, il codex legum
Longobardorum del Mille ed un interessante Museo che purtroppo è
ancora chiuso da più di tre anni per lavori di restauro. «Hanno
bisogno di interventi anche gli appartamenti abbaziali - prosegue
monsignor Chianetta - una volta di una stanza per l'umidità si è
rigonfiata e rischia di crollare. La comunità monastica non può
intervenire economicamente per l'esosità dei fondi occorrenti. La
Soprintendenza di Salerno ha preparato alcuni progetti che per il
momento sono fermi perché gli aiuti economici rivenienti dell'otto per
mille destinati dallo Stato ancora sono fermi e chissà quando si
sbloccheranno». Stando così le cose uno dei più bei monumenti
dell'Italia meridionale fondato nel 1011 da Alferio, nobile
salernitano di origine longobarda formatosi a Cluny, rischia di essere
completamente dimenticato ed alcune sue strutture di restare chiuse al
pubblico per chissà quanto tempo ancora.La prima impressione è di un
edificio di modeste dimensioni,ma l'apparenza inganna perchè la
facciata nasconde un grandioso complesso monumentale. Nel museo
vengono conservati in una vasta sala del XIII secolo,innumerevoli
oggetti d'arte (sculture e quadri preziosi, collezioni ed altri
reperti archeologici),una Madonna con santi,una tavola senese del XV
secolo,un cofanetto d'avorio del XI sec., un Polittico di scuola
leonardesca attribuito ad Andrea Sabatini; tele di pittori
caravaggeschi, numerosi reperti archeologici; una collezione
numismatica completa e ordinata per le zecche longobarde e normanne di
Salerno,maioliche abruzzesi e vietresi e Codici Miniati. Questo
cospicuo patrimonio è dovuto in massima parte all'opera dei monaci o
di altri artisti per commissione degli stessi. Anche la
ristrutturazione del teatro "Alferianum", all'interno del monastero
non è stata completata. Con i suoi 500 posti è attrezzato per
accogliere spettacoli di alto livello e convegni anche a carattere
internazionale disponendo di un'apparecchiatura per la traduzione
simultanea in quattro lingue. L'ultima manifestazione risale ormai al
dicembre del 1996. «Per fare in modo che la Badia possa ben
conservarsi e lottare contro l'usura del tempo - conclude l’abate
Chianetta - deve quanto prima essere di nuovo inclusa nel cosiddetto
circuito costante di finanziamenti annuali come era qualche tempo fa.
E soprattutto gli enti che elargiscono i fondi devono essere molto
concreti». In sintesi bisogno fare presto e non perdere tempo. Parole
sobrie, ferme ed accorate quelle di monsignor Chianetta che richiama
le istituzioni che rappresentano la comunità a farsi carico della
tutela di un inestimabile patrimonio di fede e di cultura.
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05/01/2005 A
SARNO SPUNTA UNA TOMBA DEL PRIMO SECOLO A.C.
Fu
una spaventosa alluvione di fango misto a cenere e lapillo, successiva
alla terribile eruzione del Vesuvio del 472 d.C., a investire e
distruggere il grosso monumento funerario che gli archeologi della
soprintendenza di Salerno hanno scoperto in località Galitta del
Capitano, un’area della periferia di Sarno che il Consorzio per la
bonifica dei bacini di raccolta delle acque meteoriche sta mettendo in
sicurezza. Il mausoleo, un parallelepipedo che si leva per quasi
quattro metri su una base rettangolare, secondo gli specialisti
risalirebbe a un periodo compreso tra il I e il II secolo a.C.. «La
straordinarietà del monumento - spiega il soprintendente Giuliana
Tocco - sta nella qualità eccezionale degli elementi decorativi in
stucco che ornavano le parti in caduta della tomba». Tra le altre
cose, lo stucco delle decorazioni era stato impreziosito con colori
vegetali dai toni particolarmente delicati. Affiancata alla
costruzione, poi, è stata rinvenuta una sepoltura a camera, più
antica e orientata Nord-Sud, secondo quanto previsto dai rituali
religiosi del tempo, che venne sconvolta allorché fu costruito
l’edificio. «Del tumulo - dice Laura Rota, l’archeologa
responsabile del territorio - rimane soltanto un letto funebre, senza
alcun ritrovamento dei caratteristici materiali votivi». In una zona
laterale è stato anche intercettato il posto dove il defunto veniva
bruciato e i resti conservati in vasi di terracotta o di vetro.
L’edificio funerario si trova in asse con le tombe dipinte del IV
secolo a.C. scoperte due anni fa e che lasciarono gli archeologi
stupefatti sia per il perfetto stato di conservazione che per la
finezza delle pitture. Le due sepolture, a cassa, dette del «guerriero»
e della «principessa», allora furono recuperate e le lastre
trasportate in deposito. La tomba del «guerriero» è stata
restaurata di recente ed è in attesa di sistemazione in un apposito
spazio da realizzare nel nuovo museo archeologico di Sarno. Per
completare lo spazio museale, che accoglierà altre tombe dipinte e
reperti archeologici testimonianze dell’intera valle del Sarno,
secondo le stime, occorreranno finanziamenti per circa cinque milioni
di euro e almeno tre anni di lavoro. Non sarà possibile invece
recuperare il mausoleo in quanto troppo onerose le due fasi di
smontaggio e ricostruzione che oltretutto rischierebbero di mandare
all’aria le evidenze architettoniche della tomba. Un’altra delle
caratteristiche della muratura, difatti, è la sua messa in opera con
alcuni punti in «reticolo», con gli angoli in mattoni e cornici in
calcare, molto ben lavorate e forse prodotte in una cava dell’area
sarnese. Adesso, le indagini degli specialisti coordinati
dall’archeologa Angela De Feo sono indirizzate al ritrovamento
dell’ingresso del mausoleo. «Anche se - come spiega Rota - non è
detto che l’edificio sia cavo internamente, visto che ci sono esempi
di cenotafi edificati solo perché della persona e della famiglia si
conservasse perpetuo ricordo».
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