30/12/2005 RITROVAMENTI FOSSILI NEL SANNIO

C’era un pezzo d’Africa in Campania, quasi un milione di anni fa. Una striscia di terra stretta tra i monti e il mare, coperta da rigogliose foreste di carya e su cui scorazzavano branchi di rinoceronti, elefanti, ippopotami e cervi giganti. I resti fossili di un rinoceronte e di un elefante, risalenti a quell’epoca, sono stati intercettati dagli archeologi della Soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino e Caserta nell’area di masseria Cambera, a Sant’Agata dei Goti, in provincia di Benevento. La presenza degli animali, stando ai reperti che lo scavo ha restituito, risalirebbe appunto al Pleistocenico, e sarebbero «vecchi» di circa 800mila anni. Un ritrovamento che secondo i ricercatori avrebbe il carattere dell’eccezionalità e permetterebbe di raccogliere straordinari dati scientifici sul passato geo-morfologico di quella zona. Situata un centinaio di chilometri dalla foce del Volturno e a meno di ottanta dal complesso vulcanico del Roccamonfina, l’area era assolutamente differente da come si presenta attualmente: i monti erano più bassi (la cima del Taburno era poco elevata sulla piana); la pianura, un lago con zone paludose; il clima fortemente umido; l’habitat faunistico, costituito essenzialmente da animali di grossa taglia come ippopotami, elefanti e rinoceronti. «A onor del vero - sottolinea Giovanni Di Maio, il geologo che ha datato i reperti - l’idea che questa zona fosse una miniera di fossili l’avevamo già accarezzata durante i lavori per la posa del metanodotto della Snav, allorché trovammo una mascella d’ippopotamo e alcune vertebre di cervo». Di qui il ritrovamento attuale del corno del rinoceronte e di altri elementi appartenuti sia allo scheletro del mammifero che a quello di un elefante, anch’esso stimato risalente al pleistocenico. Causa della scomparsa degli animali, molto probabilmente, fu la grande eruzione del Roccamonfina, che sconvolse la piana campana appunto in quel periodo preistorico. Anche se, dai segni che sono stati individuati sui resti, si potrebbe pensare a una morte avvenuta in un’area del lago molto vicina alla spiaggia, e forse seguita a una lotta cruenta per il controllo del territorio. Quindi, sarebbero intervenuti gli «spazzini»: uccelli rapaci e altri carnivori (con ogni probabilità si tratta di iene) che avrebbero fatto piazza pulita delle carogne. «Quella che abbiamo trovato - sottolinea Maria Fariello, l’archeologa responsabile dell’area - ci appare sempre di più come una miniera di dati scientifici unici per il territorio. Peccato che tra poco ci si debba fermare per esaurimento dei fondi: forse non riusciremo nemmeno a scavare interamente i resti trovati». Fossili sui quali sta indagando Raffaele Sardella, paleontologo e ricercatore all’Università La Sapienza di Roma che evidenzia le diverse possibilità offerte dal giacimento di Sant’Agata, a partire dal quadro scientifico «di un momento molto antico dell’umanità e dell’Italia di 800mila anni fa, per continuare con uno scenario che non esclude poi l’eventualità di ritrovamenti d’oggetti o manufatti che indichino una frequentazione umana». L’esplorazione ha toccato per adesso solo il primo livello, a circa tre metri dal piano di campagna, e assieme ai resti animali ha permesso di recuperare notevoli quantità di semi e tracce della flora dell’epoca. Su questi ultimi reperti, Elda Russo, della Federico II di Napoli, sta effettuando analisi al fine d’individuare le famiglie e le caratteristiche delle piante. «Insomma - sottolinea l’archeologa - è come se si fosse aperta una finestra sul passato assolutamente unica». (Fonte: IL MATTINO)

17/12/05 LICOSA, AFFIORA IL TESORO DI ULISSE

Tesori che si nascondono appena sotto la superficie del mare e con la bassa marea riemergono dalle onde come brandelli di muri: accade a Licosa, l'isoletta che guarda Castellabate e che deve il suo nome alla sirena che qui si inabissò per amore di Ulisse, come racconta il mito. A tracciare la mappa geologica e il quadro delle ricchezze archeologiche custodite nello specchio di mare antistante l'isola è stato l'archeologo subacqueo Salvatore Agizza. La presentazione dello studio inedito è avvenuta nel corso convegno scientifico che ha concluso l'edizione numero trentotto della kermesse «Natale subacqueo di Amalfi». Un evento che ha fatto il punto sull'archeologia subacquea in Italia, con una lente di ingrandimento per la realtà della costa di Salerno. Le indagini condotte da Agizza si innestano sugli studi già condotti dalla soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino, Benevento e li arricchiscono con ulteriori e approfonditi rilievi delle strutture conservate a pelo dell'acqua. L'isola di Licosa che oggi misura in asse 170 metri, un tempo aveva una superficie maggiore che fuoriusciva dalle acque, ma poi, per un fenomeno non del tutto chiaro neppure agli studiosi, è stata in parte sommersa dai flutti e con essa anche l'edificio che vi sorgeva sopra. «La struttura che è ipotizzabile sia stata destinata ad un uso abitativo - spiega l'archeologo subacqueo - è di un'epoca non accertata, ma la ceramica rinvenuta nell'area fa pensare sia a una frequentazione greca che romana». Lo studio di Agizza si basa anche sulle carte nautiche che recano la menzione dell'isola a partire dal 1300 e prende il via dalla tesi di laurea discussa dallo stesso con il docente Claudio Mocchegiani Carpano del Suor Orsola Benincasa di Napoli. «Desidero ringraziare la soprintendente Giuliana Tocco, l'ispettore di zona Antonella Fiamminghi e l'operatore tecnico sub Carlo Leggieri, grazie ai quali ho potuto condurre il mio lavoro - continua Agizza - Ma quello di Licosa è un capitolo ancora aperto che necessita di maggiori approfondimenti». Il convegno scientifico che ha concluso la kermesse «Natale subacqueo di Amalfi» ha visto anche altri preziosi contributi scientifici. Le evidenze archeologiche sommerse nelle acque prospicienti la costa fra Positano e Sapri sono state presentate dall'ispettore archeologo Maria Antonietta Iannelli della soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento. Villaggi preistorici e rischio tzunami sulla costa di Salerno sono stati, invece, al centro della riflessione del responsabile Geomed Giovanni Maio. I progetti, le ricerche e le scoperte dell'archeologia subacquea in Italia sono stati illustrati dall'ispettore archeologo Luigi Fozzati della soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, che si è soffermato in particolare sul progetto Archeomar, un censimento delle coste compiuto dal Ministero dei beni culturali. Gli strumenti e la metodologia della ricerca archeologia subacquea sono stati approfonditi dall'operatore sub Carlo Leggieri della soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento. Fabio Barbieri, responsabile del diving center Palinuro Sub, ha invece evidenziato l'importanza e il ruolo della memoria per contrastare gli scempi e tutelare con efficacia il patrimonio sommerso. A fare gli onori di casa è stata, invece, l'assessore al Turismo di Amalfi, Immacolata Lauro.

16/12/05 ANFITEATRO CAMPANO, LA RISPOSTA DI DE CARO

Il giudice ha ordinato il sequestro di un monumento considerato patrimonio dell’archeologia mondiale. Contestualmente la soprintendente archeologica di Napoli e Caserta, Maria Luisa Nava, viene indagata. Un polverone, cancerogeno secondo alcuni, che però potrebbe svanire nel nulla come una bolla di sapone. O almeno di questo è convinto il direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici della Campania, Stefano De Caro. «Aspettiamo, vediamo prima cosa prescrive la normativa. Intanto noi abbiamo provveduto a isolare l’area in questione. Un intervento avvenuto quasi in contemporanea con il sequestro ordinato dal gip a conclusione delle indagini dei carabinieri. Anche da parte nostra, infatti, era stato comunicato il provvedimento da adottare». Un provvedimento giunto con un po’ di ritardo, se solo si vuol pensare che la normativa è cambiata nel 2002 e l’interrogazione dei consiglieri comunali e il sopralluogo della commissione consiliare sull’ambiente c'è stata all’inizio dell’estate. Il sindaco Iodice, poi, avrebbe trasmesso gli atti alla Soprintendenza di lì a poco mentre si continuava a consentire ai visitatori di accedere ad un’area potenzialmente pericolosa. «Ogni qual volta c’è stato un pubblico più numeroso del consueto - ha spiegato l’ex soprintendente De Caro - l’arena è stata isolata con una copertura. Fino a oggi, invece, l’isolamento non è stato programmato in maniera continua perché l’argomento non è ancora del tutto pacifico». In che senso? «Nel senso che spetterà ai tecnici stabilire se il problema (dell’utilizzo delle traversine trattate con il cancerogeno creosoto, ndr) va approfondito. L’amministrazione dei Beni culturali vaglierà con l’Avvocatura di Stato, dopo di che faremo presenti le nostre osservazioni». E non sarà la Soprintendenza il contraddittore della Procura, bensì direttamente il ministero dei Beni Culturali». De Caro lascia intravedere che l’allarme possa rientrare. «Ma ripeto: saranno i tecnici a stabilirlo. In questo momento, comunque, lo stesso materiale viene usato per fare i parapendii alle Olimpiadi di Torino 2006». All’epoca dell’installazione delle traversine il Soprintendente era proprio Stefano De Caro. «Ma ho smesso di esserlo - spiega - prima della pubblicazione del Decreto della ministero della Salute e quindi non sono io parte in causa. Però voglio ricordare che quando ho fatto quella scelta era legittima e opportuna sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista economico. Le leggi cambiano, si scoprono nuove cose e ci si adegua. La commissione ambiente del Comune si occupa esplicitamente di questi argomenti e quindi segue l’evoluzione della normativa. Noi sulla Gazzetta Ufficiale andiamo a guardare i provvedimenti che interessano i Beni Culturali piuttosto che la pesca, l’ambiente o tutto il resto. È importante, comunque, chiarire un aspetto: non è che siamo inquinatori per professione. L’intervento era stato fatto nell’interesse di un monumento. La buona fede ci sarà riconosciuta». E intanto, questa mattina, vertice in Procura a Santa Maria Capua Vetere per valutare gli ulteriori adempimenti da adottare dopo il sequestro dell’arena e dell’ipogeo dell’anfiteatro.

15/12/05 SIGILLI ALL’ARENA DELL’ANFITEATRO CAMPANO PER LE TRAVERSE CANCEROGENE

Un parquet in legno riciclato. Un’enorme passerella che attraversa l’arena e l’ipogeo dell’Anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere, collegando e scavalcando le 64 botole che danno accesso ai sotterranei. È lì da sei anni, omaggio delle Ferrovie dello Stato alla Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta. Da oltre tre anni è fuorilegge, perché dal 2002 è vietato il riciclaggio del legno impregnato di olio di creosoto, una sostanza altamente tossica e cancerogena con il semplice contatto. E proprio di creosoto - antideformante e ignifugo - erano imbevute le traversine dei binari, quelle smantellate dalle Ferrovie e regalate alla Soprintendenza che doveva ristrutturare l’Anfiteatro. È stato quel parquet tossico, quella passarella velenosa, a provocare il sequestro preventivo di quello che è il secondo anfiteatro romano d’Italia per grandezza, subito dopo il Colosseo. Il provvedimento è stato firmato dal gip di Santa Maria Capua Vetere, a conclusione di un’indagine del carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Albano e dal pm Donato Ceglie. Indagata la soprintendente archeologica di Napoli e Caserta, Maria Luisa Nava, che non ha provveduto - secondo l’accusa - a garantire la sicurezza dei frequentatori dell’anfiteatro, smantellando le traversine. Il sequestro è stato esteso a tutta l’area dell’arena e dell’ipogeo, in attesa che vengono delimitate le aree pericolose e che venga rimossa la copertura in legno. Nel frattempo, i turisti potranno visitare solo l’area esterna. Invariato, però, il prezzo del biglietto: 2 euro e cinquanta. A sollevare la questione delle traversine tossiche erano stati, la scorsa estate, alcuni consiglieri comunali di Santa Maria Capua Vetere, componenti della commissione ambiente, che avevano presentato un’interrogazione al sindaco Enzo Iodice sulla sicurezza dell’anfiteatro. Iodice aveva trasmesso la nota alla Soprintendenza, i consiglieri comunali ai carabinieri. Quindi, l’apertura dell’indagine e la perizia, affidata all’Asl Ce2, sul legno di copertura delle botole. Gli esami hanno confermato che le traversine erano imbevute di creosoto (ne è vietato l’utilizzo, come specificato nel decreto del ministero della Salute, in parchi, giardini e in altri luoghi pubblici in cui vi sia possibilità di frequenti contatti con la pelle). All’epoca della posa delle traversine, il legno trattato non rientrava tra i rifiuti pericolosi e poteva, dunque, essere riciclato. L’Anfiteatro campano di Santa Maria Capua Vetere, di epoca romana, fu costruito tra il I e II secolo dopo Cristo e fu successivamente ampliato da Adriano e Antonino Pio. Della sua grande mole, di poco inferiore a quella del Colosseo, non resta moltissimo in quanto le gradinate, che potevano contenere fino a 40 mila spettatori, sono quasi interamente andate distrutte. Ben conservati sono, invece, i sotterranei composti da una serie di corridoi coperti da volte a botte. Ogni estate ospita le rappresentazioni dei «Teatri di pietra» e concerti.

I consiglieri comunali di Santa Maria Capua Vetere in più occasioni avevano cercato di far comprendere quanto delicata fosse la questione relativa alle traversine ferroviarie impregnate di olio di creosoto e posizionate a copertura dell’arena dell'Anfiteatro Campano. Il grido d’allarme era stato lanciato diversi mesi fa dai rappresentanti di Alleanza Nazionale Dario Mattucci e Pasquale Dubliano dai banchi della minoranza in seno all’assemblea cittadina. A loro, poi, si era accodato anche il consigliere di Forza Italia Gerardo Di Vilio. «Di quell’interrogazione - ha spiegato Dario Mattucci - non ne abbiamo copie in archivio perché l’unica in nostro possesso fu consegnata ai carabinieri di Santa Maria Capua Vetere». Dopo uno spettacolo di Peppe Barra all’Anfiteatro, invece, Di Vilio sollecitò a voce un urgente intervento dell’Amministrazione comunale. «Dopo aver portato la commissione ambiente a conoscenza della questione - ha spiegato Gerardo Di Vilio - facemmo anche un sopralluogo all’interno dello storico monumento dove notammo anche altre traversine accatastate oltre a quelle piazzate sull’ipogeo». Il sequestro dell’Anfiteatro, però, soddisfa in parte le rimostranze dei consiglieri in questione. «Noi - continua Dario Mattucci - ci eravamo posti innanzitutto il problema della tutela dei beni archeologici a Santa Maria Capua Vetere e si tratta di un’azione che deve riguardare l’intero patrimonio archeologico di Capua Antica. Avevamo più volte denunciato questa situazione all’Amministrazione e alla Soprintendenza senza avere ottenere risposte. Abbiamo denunciato che a Santa Maria si costruisce o si edifica davanti all’Anfiteatro, all’interno del quale c’è una pavimentazione classificata come pericolosa per la salute. Se la Soprintendenza nell’Anfiteatro va a violare la legge è un segno di come sia poco attenta a una tutela generale dei beni archeologici. Da parte nostra va un plauso all’azione delle forze dell’ordine, che purtroppo sono chiamate a sostituire gli organi deputati all’amministrazione ordinaria. Verificheremo se il sindaco Iodice ha sollecitato la Soprintendenza dopo la nostra segnalazione. Se l’ha fatto, ne prenderemo atto, altrimenti entrerà in gioco anche una responsabilità politica da parte dell’Amministrazione comunale e del primo cittadino». La replica di Enzo Iodice, comunque, ha sgombrato il campo da questo dubbio. «Se si tratta effettivamente di materiale che può essere nocivo - ha spiegato il sindaco - è giusto che venga rimosso. Per ciò che concerne le comunicazioni alla Soprintendenza, avevo provveduto ad inviare una copia dell’interrogazione. Io non ho competenza. Non sono al corrente dei particolari del provvedimento di sequestro e spero che il problema possa risolversi in tempi brevi per consentire il calpestio dell’arena e quindi le visite all’Anfiteatro».

15/12/05 BENEVENTO, SOSPESI GLI SCAVI ED INTANTO MINACCE AGLI ARCHEOLOGI

Sospesi gli scavi archeologici nella zona compresa tra via Stefano Borgia e corso Garibaldi, mentre sono praticamente ultimati i lavori di ripavimentazione in questa area. Il motivo della sospensione degli scavi è da ricercare nella necessità di reperire ulteriori fondi da parte del Comune per questi lavori, avendo la Soprintendenza chiesto altri accertamenti, dopo i ritrovamenti dei giorni scorsi che hanno riservato molte novità. Il Comune si è detto pronto, in breve tempo, a consentire la definitiva sistemazione dell’area tenendo nel dovuto conto questi reperti. La Soprintendenza archeologica ha disposto ulteriori ricerche, infatti finora è emerso che nella zona vi erano strutture romane di epoca imperiale, addirittura reperti termali. In base ai reperti emersi finora nella zona vi dovevano essere residenze imponenti. Si era iniziato con il reperire negli scavi parti di mosaici, poi sono venuti alla luce reperti di grande valore che richiedono anche ulteriori accertamenti. Senza dubbio questi di via Stefano Borgia sono i reperti più importanti tra quelli che sono venuti alla luce durante la ripavimentazione di corso Garibaldi. Ci sono stati sopralluoghi, presenti tra gli altri anche le funzionarie della Soprintendenza Giuseppina Bisogno e Tomai, e l’ingegnere Capone del Comune. C’è la volonta di far rimanere visibili questi reperti, una soluzione non complessa tenuto conto del luogo dove c’è stato il ritrovamento, che non incide sui lavori di pavimentazione di via Stefano Borgia e del nuovo spiazzo realizzato lungo vico Umberto primo, tanto è vero che questa pavimentazione è stata ultimata. Del resto gli stessi esperti della Soprintendenza archeologica tengono a ricordare che ormai sono stati acquisiti altri ritrovati, per rendere visibili questi reperti. Pertanto non è detto che si debba ricorrere solo ai vetri come è appunto avvenuto in altre zone della città, in particolare in piazza Santa Sofia. Una tematica che sarà affrontata d’intesa tra Soprintendenza e Comune. I reperti di via Stefano Borgia non hanno nulla a che vedere con quelli venuti alla luce all’interno di uno dei cortili del Palazzo del Governo. In questo ultimo caso si tratta solo di una cisterna.

Due addetti agli scavi archeologici in corso per la ripavimentazione di corso Garibaldi hanno ieri mattina subito minacce da un misterioso individuo che poi si è dileguato facendo perdere le tracce. In particolare i due che operano per conto della Sovrintendenza archeologica sono stati avvicinati dall’uomo che con fare minaccioso ha detto: «dovete finite di lavorare perchè questo cantiere deve essere rimosso per le feste di fine anno». I due hanno fatto intervenire gli agenti della Volante a cui hanno raccontato l’accaduto. Come è noto da oltre un anno sono in corso lavori per la ripavimentazione di corso Garibaldi. Questi lavori sono stati fatti a zona e ora si è nella parte conclusiva nell’area adiacente piazza Duomo. S’ipotizza che proprio a fine dicembre anche quest’ultimo tratto possa essere reso del tutto agibile e quindi essere reso del tutto fruibile ai cittadini e quindi favorire l’accesso ai negozi.

6/12/2005 PULIZIA PER L'ARCO DI TRAIANO A BENEVENTO

L’Arco di Traiano tornerà presto ”pulito” e luminoso com’era subito dopo gli interventi di restauro conclusi a marzo del 2001. La Soprintendenza per i Beni Archeologici ha infatti disposto un intervento di manutenzione per evitare che le polveri depositate sull’importante monumento in questi 4 anni si induriscano e formino nuovamente le croste nere che corrodono la superficie del marmo. Il nuovo ciclo di lavori si limiterà alla rimozione dei depositi accumulatisi negli ultimi anni, attraverso una spazzolatura e un blando lavaggio realizzato con getti di acqua controllati; sarà però anche verificata la tenuta delle stuccature su tutta la superficie, per ripristinare quelle poco efficaci o crearne delle nuove in corrispondenza di recenti microfessure, prima che queste possano allargarsi e innescare così un nuovo processo di decomposizione del marmo. L’Arco comunque non sarà ”impacchettato” e celato completamente alla vista dei turisti: si eviterà infatti il ricorso ad impalcature grazie all’utilizzo di carrelli elevatori messi a disposizione dal Comune di Benevento, mentre un ponteggio è stato realizzato solo nel fornice i cui pannelli hanno bisogno di un intervento più puntuale e di maggiore durata. In particolare, il pannello di destra è stato restaurato nel 1987 senza eseguire una pulizia molto approfondita, per cui oltre alle normali spolverature si dovrà provvedere ad alleggerire le ”croste” residue, procedere alle stuccature necessarie e consolidare tutta la superficie con silicato di etile. Il nuovo intervento sarà eseguito dall’architetto Antonio Forcellino, autore dei precedenti restauri.

2/12/2005 ANFITEATRO DI BENEVENTO: 20 ANNI DI OCCASIONI PERDUTE

Il Comune di Benevento ha appena partecipato alla “Borsa del turismo archeologico del Mediterraneo”, svoltasi a Paestum dal 17 al 20 novembre scorsi. Eppure non si può proprio dire che nel capoluogo sannita l’attenzione alle emergenze archeologiche sia prioritaria.Di certo non lo è stata nei confronti di un ritrovamento straordinario, effettuato casualmente circa 20 anni fa nei pressi della stazione Appia, in via Munazio Planco.
Che nella Benevento romana esistesse un Anfiteatro era certo: lo testimoniavano le fonti antiche. Esse, addirittura, riferivano della presenza di Nerone a giuochi ivi organizzati. Tuttavia del monumento si era persa la memoria per millenni, tanto che, a fine Ottocento, quando il Meomartini ritrovò le vestigia del Teatro Romano, furono in molti a confondersi. In realtà il Teatro, meglio preservatosi perché incluso nelle mura longobarde, era una costruzione destinata agli spettacoli scenici (commedia, tragedia, mimo) composto di una platea semicircolare che dava su un palcoscenico. Nell’anfiteatro, di forma normalmente circolare o ellittica, si svolgevano invece i veri confronti tra gladiatori.
I dubbi degli studiosi su dove esso fosse collocato furono risolti casualmente a metà degli anni ’80, quando venne abbattuto il pericolante orfanotrofio di epoca fascista (la “Casa della madre e del bambino”). La società Gepel avrebbe voluto costruire nell’area di sedime un nuovo edificio, ma durante i lavori alcune emergenze archeologiche attirarono immediatamente l’attenzione della Soprintendenza: l’area fu posta sotto vincolo. Varie campagne di scavo (effettuate a più riprese nel 1989, nel 1991, nel 1992 e, da ultimo, nel 1995) fugarono ogni dubbio. Per oltre dieci anni il cantiere rimase praticamente senza sistemazione, difeso da un recinto di lamiere sempre più precarie e da una tettoia, pure in lamiere, che difende ancor oggi gli scavi (ma li nasconde pure alla vista). L’unico intervento effettuato, a fine anni ’90, fu la costruzione di una recinzione più stabile e l’apposizione di una tabella esplicativa, per altro oggi scomparsa.
Negli anni seguenti di effettuare interventi globali di recupero nell’area si è molto parlato senza realizzare nulla. L’anfiteatro, in realtà, sorge nel cuore di un parco archeologico che, partendo dalla zona dell’Arco del Sacramento, lungo l’area del Teatro Romano, poi passando lungo la vicinissima area dei “Santi Quaranta“ (un criptoportico romano posto a fianco della Basilica della Madonna delle Grazie), dovrebbe giungere fino all’area archeologica di Cellarulo, valorizzando il romano Ponte Leproso.
Già nel 1995, quando si prospettò l’incompiuta occasione dei Programmmi di Recupero Urbano, uno dei progetti riguardava l’area delle vicina ex-Metaplex, dismesso stabilimento industriale adiacente all’area degli scavi. Ma il progetto non ricevette finanziamento.
Nel 1998 fu invece l’allora Ministro peri i Beni Culturali Walter Veltroni ad annunciare l’intenzione del Ministero di acquisire l’area. L’iniziativa finì nel silenzio, proprio mentre alcuni comitati civici, tra cui lo storico “Giù le mani” protagonista della battaglia per Cellarulo, lanciarono l’idea di una Parco Archeologico per l’intera area. L’allora assessore all’Urbanistica Pino Iadicicco si disse disponibile, ma alle idee non seguirono i fatti. Almeno fino a che la Giunta Comunale, proprio nei primi mesi di quest’anno, ha richiesto alla Regione Campania un finanziamento, dalla stessa negato, per la realizzazione di una Parco a Cellarulo. Si direbbe che una sorta di “congiura” di tutti gli enti preposti condanni quanto resta dell’Anfiteatro all’abbandono. L’archeologia pare proprio fuori dall’”asse-città” che ha caratterizzato gli interventi di questi anni. Frattanto i privati si muovono: nel terreno adiacente all’anfiteatro si sta ristrutturando l’edificio colonico, con tanti saluti all’idea di acquisire quel terreno per proseguire gli scavi. Ma che importa? Alla “Borsa del turismo archeologico” comunque c’eravamo... (da IL QUADERNO)

23/11/2005 QUASI PRONTO IL MUSEO DI PONTECAGNANO


Per realizzare il nuovo museo archeologico a Pontecagnano ci sono voluti più di 10 anni. L'edificio di via Lucania tra non molto sarà pronto ad accogliere i tanti reperti rinvenuti in anni ed anni di lavoro eseguiti dalla Soprintendenza ai Beni archeologici di Salerno sul territorio della città picentina. Il trasloco degli importanti reperti, dalla sede provvisoria di piazza Risorgimento, avverrà molto presto. Parola della direttrice Angela Iacoe . «Siamo in dirittura d'arrivo- dice- e credo che nei primi mesi del 2006 saremo pronti ad aprire finalmente i battenti». Una buona notizia, ma manca una strada d'accesso al museo, oltre ai parcheggi, l'illuminazione e la prevista piazza che serve ad abbellire la facciata principale dell'edificio. Niente di tutto questo è stato ancora realizzato. Per nessuno degli interventi elencati è stato messo in piedi un cantiere. «Potremo trovarci nella condizione di dover accedere al museo dalla porta di servizio» fa notare la direttrice Iacoe. Il sindaco Dario Del Gais non drammatizza. «Il museo è una delle nostre priorità. Gli interventi in questione sono inseriti nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche- fa sapere- che a breve ci accingeremo ad approvare». E per i tempi? «Mi rendo conto che solo qualche mese ci separa dall'apertura del museo, ma per allora saremo pronti e non faremo brutta figura per quanto riguarda l'illuminazione e la strada d'accesso». I progetti della Soprintendenza ci sono, in primis l'inserimento del sito di Pontecagnano Faiano nell'itinerario che comprende tutti gli altri centri archeologici dell'intera provincia di Salerno. Ma Pontecagnano Faiano sarà pronta, per allora, ad ospitare turisti, studiosi e scolaresche che certamente affolleranno il nuovo museo? Ora ci sono le condizioni e gli spazi per poter mettere in mostra la maggior parte dei reperti rinvenuti in anni di scavi. La città picentina è un importante insediamento dell'età etrusca. «È conosciuta, per questo, a livello nazionale ed internazionale- aggiunge la Iacoe- sono soprattutto gli studiosi a conoscere Pontecagnano per il suo illustre passato. Ma abbiamo intenzione di far visitare il museo al maggior numero di persone». Le migliaia di reperti avranno finalmente un loro spazio. Un piano dell'edificio di via Lucania sarà destinato solo all'esposizione di vasi, monili e quant'altro è stato portato alla luce dagli esperti. I visitatori avranno la possibilità di approfondire le notizie grazie alle salette attrezzate. Il museo è fornito anche di un auditorium per incontri studio e conferenze. Uno spazio, quest'ultimo, che il primo cittadino di Pontecagnano Faiano ha intenzione di utilizzare per i consigli comunali. Del Gais e la soprintendente Tocco ne hanno discusso nella giornata di ieri. Si è parlato della stipula di una convenzione tra i due enti, che comprende anche la valorizzazione dello stesso museo e del Parco archeologico.

15/11/2005 ALLA LUCE A POSITANO UNA VILLA ROMANA

Mosaici, affreschi con animali fantastici e architetture irreali, e due piani ancora tutti da scoprire. È un vero e proprio «pozzo di San Patrizio» la villa del primo secolo dopo Cristo che gli studiosi della Soprintendenza archeologica di Salerno stanno recuperando. La struttura, di enorme estensione, si trova sepolta proprio sotto la chiesa dedicata all’Assunta, a Positano. L’edificio, tuttavia, non sarebbe del tutto ignoto agli archeologi. Di un monumento d’epoca romana attestato a Positano parla difatti Karl Weber, l’ingegnere che per anni guidò gli scavi tra Ercolano e Pompei. In un resoconto al re Borbone, datato 1758, Weber dichiara di aver individuato «al lato della chiesa con campanile, di fronte alla spiaggia che è ai piedi dei monti chiamati Santa Maria a Castelli e S. Angelo, alla profondità di 30 palmi, un famoso edificio». «Il fatto importante, però - spiega Maria Antonietta Iannelli, l’archeologa responsabile delle indagini - è che, contrariamente a quanto si credeva nel passato, la struttura si trova letteralmente a pochi centimetri dal calpestìo». A una profondità poco maggiore di mezzo metro dal pavimento, durante il restauro della cripta, sono stati rintracciati, in negativo, i segni delle capriate (sono le strutture, in genere di legno, a forma triangolare, messe a sostegno dei tetti) che coprivano gli ambienti. Lo scavo successivo ha poi fornito preziosi elementi sulle modalità di distruzione. «Su questa villa - spiega difatti Giuliana Tocco, Soprintendente archeologo di Salerno - il fenomeno vulcanico si è abbattuto con la stessa potenza con la quale ha distrutto Pompei, Ercolano e Stabiae. L’unica differenza che fa capire la violenza dell’eruzione, ed è cosa non da poco, è che ci troviamo al di qua dei monti Lattari». I dati così rilevati hanno anche permesso di ricostruire la dinamica dei crolli, dovuta essenzialmente alle valanghe di materiali che si catapultarono a valle. Secondo gli archeologi, alla prima esplosione del Vesuvio e alla successiva caduta di pomici e cenere avrebbe fatto seguito il dilavamento verso il mare del materiale accumulato sui fianchi del monte. Sulla villa, dunque, si sono abbattute, a ondate successive, tonnellate e tonnellate di massi, detriti, scorie vulcaniche, alberi sradicati. L’intercetto dell’edificio ha fatto anche partire una indagine sul centro storico di Positano. I sondaggi hanno permesso di capire che la villa si affacciava su uno scenario mozzafiato e si sviluppava su diverse terrazze, di cui tre facilmente raggiungibili. Una di queste è appunto situata nell’area sottostante il sagrato della chiesa, con ingresso dal lato della fontana. «Scavando sotto quest’ultima - continua Iannelli - ci siamo ritrovati, ad appena due metri di profondità, all’interno di un ambiente, con mura ben conservate, e abbiamo raggiunto il pavimento scoprendo un mosaico in belle tessere di marmo». Tuttavia, dalle indagini geologiche fatte da Giovanni Di Maio, non solo sono stati evidenziati altri punti di accesso alla struttura, ma soprattutto si è capito che sono ancora presenti i due piani della villa. Un edificio enorme, dunque, certamente appartenuto a un personaggio di spicco della Roma imperiale. A Posides, proprietario di terreni in quell’area, attribuisce Matteo Della Corte, la derivazione del toponimo «Positano». Così come dello stesso Posides, vissuto tra il 75 e il 160 dopo Cristo, parlano Svetonio, Giovenale e Plinio il Vecchio. «Per recuperare tutta la villa - spiega l’archeologa - adesso c’è bisogno di grossi stanziamenti. Abbiamo proposto un’ipotesi di fondazione che coinvolga soprintendenza, privati e ministero. Sarebbe un palinsesto turistico-culturale stupendo, con una sequenza unica formata dal centro storico di Positano, d’epoca settecentesca, dai monumenti medioevali e quindi dalla villa romana. Come dire, duemila anni di storia in qualche chilometro quadrato». (fonte: IL MATTINO)

2/11/2005 CONTINUERANNO GLI SCAVI A BENEVENTO

Continueranno anche nelle prossime settimane gli scavi a via Borgia: il Comune di Benevento ha infatti stanziato 25.000 euro per approfondire le indagini sui reperti che sono venuti alla luce nel corso dei lavori di collegamento stradale con via Umberto I. Si tratta di rinvenimenti di grande interesse, oggetto di studio della Soprintendenza ai beni archeologici. Dalle nuove esplorazioni, che cominceranno nei prossimi giorni, dipenderà la decisione definitiva, che dovrà essere assunta dal Comune di Benevento di concerto con la stessa Soprintendenza, circa l’assetto dell’area, anche in considerazione del fatto che il collegamento stradale è stato di fatto già realizzato. L’obietttivo è quello di riuscire a rispettare le finalità del progetto del Comune, a vantaggio dei residenti, e allo stesso tempo garantire la salvaguardia dei reperti, rendendoli fruibili ai visitatori e creando, eventualmente, una struttura museale a cielo aperto. La scelta, tuttavia, potrà essere fatta con cognizione di causa solo dopo un approfondito studio degli stessi reperti: di qui la decisione dell’amministrazione di impegnare una nuova somma per realizzare i nuovi sondaggi. Intanto proseguono i lavori lungo il tratto di corso Garibaldi che porta verso piazza Orsini. Nel tratto tra l’angolo via Bologna-ingresso Palazzo Paolo V è in corso la pavimentazione totale, visto che lo scavo, chiesto dalla Soprintendenza ed eseguito dal Comune nelle scorse settimane, è stato preservato e occluso con teli e materiale idoneo.

28/10/2005 IN DIRITTURA D'ARRIVO IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI CAUDIUM

Il comune di Montesarchio stipula un accordo di programma con il Gal Partenio Taburno Valle Caudina per la valorizzazione turistica al servizio dello sviluppo della città. Se ne discute nel centro caudino nel corso di un incontro promosso in collaborazione con l’ente provinciale per il turismo di Benevento. “L’accordo con il Gal ci permette di avviare un’azione di valorizzazione del nostro territorio servendoci di una struttura pubblico-privata che ha le competenze idonee” spiega l’assessore alle Attività produttive del comune di Montesarchio, Antonio Tinessa. Il quale elenca le iniziative che sono in cantiere per l’antica Caudium: a breve sarà inaugurato il Museo contenente reperti dell’epoca sannitico-romana, ritrovati nel sito di Montesarchio ma finora “prestati” ad altri spazi espositivi; proseguono gli scavi relativi al parco archeologico in via Napoli, in collaborazione con la Soprintendenza, dove sono state localizzate antiche terme; ci sarà a Montesarchio una sede della Libera università di Scienze turistiche di Caserta, per la quale il comune sta attrezzando i locali dell’ex convento delle Clarisse. “Si può creare indotto, ricchezza e possibilità di nuova occupazione attraverso la valorizzazione delle risorse a disposizione e lo sfruttamento dei fondi che la Regione e gli altri enti stanziano per queste finalità”, spiega il coordinatore del Gal Partenio, Maurizio Reveruzzi. Il Gal sta cercando delle risposte a questo, con un’attività di promozione e sensibilizzazione capillare sul territorio ma anche con azioni concrete: a Vitulano infatti il Gal ha inaugurato il terzo Simposio Osteria per la promozione e valorizzazione dei prodotti di pregio dell’enogastronomia locale, dopo quello di Solopaca e di Campoli, e sta lavorando sulla stesura di una la Carta delle qualità per le attività turistiche e ricettive della zona. 

22/10/2005 SCOPERTO UN ANTICO INSEDIAMENTO A MADDALONI

Scoperta inaspettata: rintracciato il più antico insediamento naturale nell’area urbana di Maddaloni. «È - commenta Franco La Spina, assessore alla cultura - una grande emozione perché siamo stati catapultati inaspettatamente nel nostro passato, quello meno conosciuto, che riaffiora nei luoghi meno frequentati e quasi cancellati alla memoria collettiva. Abbiamo ritrovato un antro naturale che è l’ombelico dimenticato del nostro sviluppo urbano». Tecnicamente, è stato riaperto l’accesso ad un’ampia caverna, scavata dalla dissoluzione carsica nella roccia calcarea, nell’area pedemontana di Maddaloni. Precisamente alle falde del castello (versante est), al di sotto del quartiere medioevale dei Formali. Il Gruppo Archeologico Calatino (Gac) e il Gruppo Speleologico Italiano sono già al lavoro e stanno conducendo il rilevamento e lo studio di dettaglio della cavità. «È un’apertura - anticipa Antonio Saracco del Gac - o se si vuole un rifugio molto più grande, per altezza e profondità, dell’attuale estensione». Sono presenti «evidenti stratificazioni legate all’uso prolungato nei secoli del ricovero naturale». «Il tutto - aggiunge Saracco - è stato parzialmente obliterato dall’intenso sfruttamento, soprattutto nel primo cinquantennio del ’900, quando è stato adibito a rifugio di fortuna dei nomadi, a magazzino e addirittura a comoda discarica per lo sversamento dei materiali edili». «La cavità - spiega La Spina - ribattezzata antro di Matalo, per la suggestione ambientale e la bellezza panoramica dei luoghi, apre tre nuovi scenari». Si riaprono gli studi sugli insediamenti rupestri che hanno dato poi vita al quartiere dei Formali. Si aggiunge un «nuovo capitolo alla ricostruzione degli insediamenti protostorici, di età neolitica» già condotti dal Gac nella zone dove oggi sorge la Torre Longobarda. «Nell’immediato - annuncia La Spina - e compatibilmente con le indicazioni scaturite dagli studi geologico-tecnici in corso, vogliamo partire proprio dal recupero e valorizzazione dell’antro di Matalo per costruire un primo parco a verde nel cuore più antico, e purtroppo abbandonato, del centro storico di Maddaloni». L’obiettivo è stupire e far «conoscere soprattutto ai giovani angoli suggestivi del territorio di cui ignorano persino l’esistenza». (Fonte: Il Mattino)

18/10/2005 VERRA' RESTAURATA LA VILLA ROMANA DI PONTICELLI A NAPOLI

Non è uno scherzo, non è un sogno, non è l’ennesima promessa. Questa volta i lavori cominciano davvero. Anzi: sono già cominciati. Ponticelli si prepara ad accogliere la «Città dei bambini», un progetto avviato nel ’99 e mai realizzato (nonostante il ripetersi degli annunci che, a cadenza regolare, lo davano per imminente) per l’impossibilità di trovare i fondi e i continui atti di vandalismo nell’area destinata a ospitare la struttura. Ieri pomeriggio, durante un incontro con il presidente della circoscrizione Vincenzo De Cicco, l’assessore all’edilizia Amedeo Lepore ha messo nero su bianco tempi e metodi dell’operazione: «Se oggi indico delle date precise è perché sono in grado di farlo. L’appalto è stato aggiudicato in via definitiva, la ditta vincitrice sta firmando il contratto, gli interventi preliminari sono in corso da qualche giorno. Entro un mese l’apertura del cantiere. Entro diciotto mesi la consegna dell’opera finita». L’impresa sembrava confinata nel limbo delle occasioni perdute. Come si è compiuto il miracolo? «Siamo riusciti a recuperare il tempo perso negli ultimi sette mesi - precisa l’assessore - e cioè da quando sono arrivati, finalmente, i finanziamenti regionali: 6 milioni e 700mila euro. Abbiamo preparato i progetti, li abbiamo portati all’approvazione, abbiamo avviato la procedura di gara». Tutto qui. Nessuna bacchetta magica. Soltanto una battaglia (vinta) contro i vincoli della burocrazia. Il museo-laboratorio-teatro (20mila metri quadri, 9mila al coperto) sorgerà intorno ai ruderi dell’ex scuola media Giambattista Marino, a pochi passi dal Lotto Zero, insediamento abitativo preso spesso a simbolo del degrado in periferia. Il cronoprogramma dei lavori è stato modificato per per offrire al quartiere e alla città qualche interessante anticipazione. In primavera verrà inaugurata la sala del planetario: acquistato cinque anni fa e da allora in deposito, è stato realizzato da una ditta francese e, con i suoi nove metri d’altezza, sarà il più grande d’Europa. Altre novità stanno prendendo forma in queste ore. «Nel capitolato d’appalto - spiega l’ingegnere Ciro D’Ambrosio, responsabile del progetto per il Comune - è espressamente prevista la possibilità di organizzare visite guidate nel cantiere riservate agli alunni delle elementari e delle medie. Vogliamo che i ragazzi imparino a conoscere questa struttura mentre nasce e mentre cresce. Nel corso dei cosiddetti lavori preliminari, partiti qualche giorno fa, abbiamo individuato alcuni locali che pensiamo di utilizzare come punto di raccolta per queste ”esplorazioni”. Adesso stiamo riattivando gli impianti di illuminazione e di riscaldamento». Ponte verso il futuro, la «Città dei bambini» si impegna a far rispettare le memorie del passato. A poca distanza ci sono i resti di una villa romana (II secolo a.C.), umiliata da anni di incuria, nascosta da erbacce e detriti. «La Soprintendenza archeologica - prosegue D’Ambrosio - si farà carico delle operazioni di pulizia e di recupero. L’antica dimora diventerà parte integrante del percorso museale-didattico e la sua immagine verrà utilizzata come logo del complesso». (Fonte: Il Mattino)

18/10/2005 PRESERVATI ALCUNI DEI REPERTI TROVATI A BENEVENTO

Sono ripresi ieri mattina i lavori per la realizzazione del collegamento veicolare tra via Borgia e vico Umberto I. Le opere di pavimentazione, mediante l'apposizione dei basoli, riguardano le aree non interessate dagli scavi archeologici, che saranno oggetto di una successiva concertazione tra il Comune di Benevento e la Soprintendenza al fine di trovare la miglior soluzione per salvaguardare i reperti e, contemporaneamente, consentire all'amministrazione civica di portare a termine il progetto, nato per consentire una migliore circolazione ai residenti nell'area. Parallelamente, al corso Garibaldi, sono cominciate le opere di conservazione e preservazione della fornace ritrovata all'altezza del Palazzo del Governo e risalente al tredicesimo secolo. Lo scavo verrà coperto con teli, in attesa del riempimento con materiale di risulta e della successiva ripavimentazione. Indubbiamente, i lavori eseguiti nell’arteria principale della città hanno riscontrato, dopo le immancabili polemiche iniziali, grandi consensi per cui l’elaborato progettuale eseguito dal prof. Pagliara si è rivelato di gradimento della maggior parte della cittadinanza. Ma, se i rallentamenti dei lavori al Corso Garibaldi si spiegano con la necessità di preservare le preesistenze emerse, non altrettanto si può dire per altri cantieri, laddove si sta creando grossi disagi alla mobilità. (Fonte: Il Mattino)

15/10/2005 ALL'ASTA IN INTERNET MIGLIAIA DI MONETE ANTICHE DAL NOLANO

Sul sito la vendita all'asta di 729 monete risalenti all'epoca romana e bizantina, probabilmente sottratte da un’area archeologica del nolano: scoperto e denunciato dalla guardia di finanza un collezionista di Cimitile. Tra le monete sequestrate una risale al 400 a. C. e ha un valore commerciale di circa centomila euro. A.P. collezionista di 53 anni, con la passione per la numismatica, aveva creato una rete di vendita on line di monete antiche. Un giro di svariate migliaia di euro che è stato scoperto e fermato dalle fiamme gialle. Sul sito www.ebay.it il collezionista ha presentato diversi lotti, ognuno di circa trenta pezzi, di monete risalenti a epoche storiche diverse: da quella romana imperiale a quella bizantina fino a giungere al diciottesimo secolo. Le monete dovevano essere acquistate all'asta e per ogni singolo pezzo c’era un prezzo base. Le più economiche partivano da 80-90 euro fino a arrivare a quelle più antiche per le quali la base d'asta era di 300-350 euro. Ogni giorno si registravano centinaia di richieste solo da tutta Italia, ma anche dall'estero. Stando a un primo controllo delle fiamme gialle, i più appassionati erano gli americani che non esitavano a versare cifre cospicue pur di accaparrarsi una monetina. Sul portale di ebai, però, il collezionista si è presentato con un soprannome al quale era legato un vero e proprio sito internet gestito da lui e sul quale l'acquirente interessato aveva una scelta di oltre 700 pezzi. Una sorta di negozio on line, insomma. Ad attirare l'attenzione delle fiamme gialle è stato proprio il sito organizzato dal collezionista. I finanzieri di Torre Annunziata, diretti dal maggiore Gennaro Ottaiano e dal tenente Sergio de Sarno sono riusciti a risalire al titolare del sito. Il collezionista è stato individuato: A.P. residente a Cimitile. In una cassaforte del suo appartamento i militari hanno ritrovato sei raccoglitori utilizzati proprio dai collezionisti di monete contenenti circa 729 pezzi di varie dimensioni e leghe: bronzo, oro, argento e il rarissimo oricalco. Tra le monete sequestrate c’è un decadramma greco del 400 avanti Cristo perfettamente conservato del valore di circa centomila euro. Nel mondo questo tipo di moneta è rarissimo. Immediatamente tutti i pezzi sono stati sequestrati e il collezionista è stato denunciato in stato di libertà per possesso illecito di beni culturali. Le indagini delle fiamme gialle, però, sono destinate a continuare. Dai primi controlli risulta che A.P. era già venduto in passato oltre 800 monete antiche tutte di un valore inestimabile. Resta ora da stabilire la provenienza dei pezzi. Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti, infatti, non è escluso che le monete siano state trafugate nei siti archeologici della Campania (nel nolano e nel vesuviano) oppure rinvenute durante scavi privati e non autorizzati dalla Soprintendenza archeologica. Le monete sono messe a disposizioni di esperti della Soprintendenza che avranno il compito di stabilire l'autenticità. «Non solo monete, ma anche vasi, anfore e fregi di marmo. Il collezionismo clandestino di reperti è un fenomeno difficile da circoscrivere soprattutto in una zona come quella del Nolano, ricca di testimonianze». Giuseppe Vecchio, responsabile per la sovrintendenza archeologica dell’area nolana, spiega al «Mattino» perché il territorio fa gola ai predoni del passato. Gli investigatori sospettano che parte delle monete ritrovate possano provenire dall’area archeologica. Possibile? «È difficile, ma non impossibile. Trattandosi di varie epoche non credo però che la fonte possa essere unica» I tesori del passato dell'area nolana non sono mai stati saccheggiati? «Altroché. Non credo sia una leggenda il fatto che nei saloni di molte abitazioni private siano esposti in bella mostra reperti mai classificati. Il saccheggio più imponente è avvenuto tra la fine del Settecento e quella dell’Ottocento». Musei illeciti in casa. Come è possibile? «Spesso si scoprono reperti anche quando si scava per costruire un'abitazione e la tentazione di appropriarsi di un piccolo tesoro ha la meglio anche sulla consapevolezza di aver sottratto alla comunità un pezzo di storia». Di quali tipi di monete è ricco il territorio? «Le varietà e le epoche sono numerose. Come numerose sono le circostanze in cui si ritrovano. Abbiamo recuperato sacchetti di monete a corredo delle tombe dei defunti, ma anche piccoli tesori nelle stanze delle ville. E poi non bisogna dimenticare che Nola, nel quarto secolo avanti Cristo, batteva moneta propria». (Fonte: Il Mattino)

14/10/2005 FONDI REGIONALI PER GLI SCAVI DI ABELLINUM

Parco archeologico e chiesa di S.Nicola, trasferta napoletana per l'assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Spagnuolo. Il vicesindaco della cittadina del Sabato, accompagnato dall'ingegnere capo dell'Utc Silvestro Aquino, si recherà questa mattina a Palazzo Santa Lucia per predisporre tutta la documentazione necessaria per ottenere l'erogazione dei finanziamenti stanziati dal Regione Campania per la riqualificazione dei due importanti siti cittadini. Il primo finanziamento riguarderà la rinascita dell'antica Abellinum, la «civitas foederata» di Roma. L'antichissima colonia romana che sovrastava un tempo la valle del Sabato, tornerà alla luce nel suo antico splendore dopo anni di abbandono e degrado attraverso la realizzazione di un Parco Archeologico. Un progetto di riqualificazione degli scavi archeologici molto atteso e sul quale la città punta per un proprio rilancio economico e turistico. L'intervento infatti di realizzazione del Parco Archeologico dell'Antica Abellinum è rientrato nella ripartizione dei Fondi Fas regionali per circa 4 milioni di euro. Oltre ad acquisire nuovi terreni mediante espropri in modo da ampliare l'area di interesse storico, si procederà anche alla continuazione delle operazioni di scavo per far riemergere le antiche domus romane. Il tutto consentirà di realizzare un vero e proprio parco, con tanto di percorsi pedonali per i turisti sul modello di Pompei. Il secondo intervento punta invece al recupero dell'antichissima chiesa di S.Nicola, sita in via Roma, andata completamente distrutta con il sisma del 1980. Anche per la riqualificazione di questo importante luogo di culto, la giunta comunale ha approvato il progetto preliminare, visto la disponibilità di Fondi Fas regionali. L'obiettivo dell'amministrazione comunale, d'intesa con l'antichissima Confraternita di S.Monica, ricostituitasi da poco in città e guidata dal priore Gianni Iannaccone, è quello di destinate la struttura, una volta recuperata, a finalità sociali. Un edificio nel cuore della città pronto a diventare punto di aggregazione e di incontro per associazioni musicali, teatrali, culturali e ricreative. (Fonte: Il Mattino)

11/10/2005 CANTIERI BLOCCATI A BENEVENTO PER SCOPERTE ARCHEOLOGICHE

Sospesi gli scavi nella zona compresa tra via Stefano Borgia e corso Garibaldi, e anche i lavori di pavimentazione. Il motivo è da ricercare nella necessità di fare il punto sui fondi disponibili da parte del Comune per questi lavori, avendo la Sovrintedenza chiesto altri accertamenti dopo i ritrovamenti dei giorni scorsi. «In settimana avremo un vertice con la Sovrintendenza per chiarire la situazione e stabilire anche il modo più idoneo per rendere visibili i reperti che sono venuti alla luce», dicono a Palazzo Mosti. Infatti la Sovrintendenza archeologica ha disposto ulteriori ricerche, per cui si andrà avanti ancora per alcuni giorni: «puntiamo sempre sulla rapidità, perchè siamo consapevoli che gli abitanti della zona hanno dei disagi». Ma questo scavo,ha portato alla luce parti di mosaici ed altri reperti di grande valore che richiedono ulteriori accertamenti. Senza dubbio sono i reperti più importanti tra quelli che sono venuti alla luce durante la ripavimentazione di corso Garibaldi. Ci sono stati sopralluoghi, presenti tra gli altri anche la funzionaria della Sovrintendenza Giuseppina Bisogno, e l’ingegnere Capone. Sono allo studio le forme più opportune per poterne conservarne la visibilità. Una soluzione non complessa tenuto conto del luogo dove c’è stato il ritrovamento, che non incide sui lavori di pavimentazione di via Stefano Borgia e del nuovo spiazzo realizzato lungo vico Umberto primo. Inoltre già qualcosa di analogo è stata fatto nella poco distante piazza Santa Sofia. Anche se gli esperti della Sovrintendenza archeologica tengono a ricordare che ormai sono stati acquisiti altri ritrovati, per rendere visibili questi reperti. Pertanto non è detto che si debba ricorrere solo ai vetri come è appunto avvenuto in altre zone della città. I lavori prevedono (come è noto) anche un nuovo assetto di quel giardinetto adiacente corso Garibaldi. Questo giardinetto, appena sarà terminata la rassegna voluta dalla Provincia, scomparirà come è avvenuto per l’altro che era davanti all’ingresso del nuovo museo dell’arte contemporanea, che ha la sua sede a piano terra del Palazzo della Prefettura. Un area nodale della città che sta per assumere un nuovo volto. (Fonte: Il Mattino)

11/10/2005 TRACCE DI UNA POMPEI PREISTORICA

La più famosa è certamente la Pompei tragicamente distrutta dall’eruzione del 79 dopo Cristo, ma non fu la più antica. Un’equipe di archeologi svedesi - informa un articolo che compare sulla rivista «Archeologia Viva» - ha recentemente individuato in quella stessa area, sotto uno spesso strato di ceneri vulcaniche, resti di utensili di uso quotidiano di molto precedenti alla Pompei romana, nella casa cosidetta degli «epigrammi greci». È stato possibile fare questa scoperta grazie al rinvenimento di frammenti di ceramiche preistoriche e tracce di ferro carbonizzato datato al 3500 avanti Cristo. Un secondo strato conteneva invece reperti databili tra il 2200 e il 1500 prima di Cristo. Ma la questione più interessante riguarda le ragioni che spinsero genti di ben tre epoche diverse a scegliere lo stesso sito, lambito dal fiume Sarno e sormontato dalla minacciosa vetta del Vesuvio. Come mai? Forse, come ipotizza la professoressa Leander Touati dell’Università di Stoccolma, gli insediamenti preistorici potrebbero aver superato i problemi di approvvigionamento idrico costruendo pozzi ben più sofisticati di quanto ritenuto sinora o approfittando di un più favorevole corso del Sarno. (Fonte: Il Mattino)

08/10/2005 UNA NECROPOLI ROMANA A FRIGENTO (Av)

Una sorprendente scoperta archeologica per gli esperti della Sovrintendenza di Avellino. Il giallo degli scheletri scomposti riaffiorati dalla superficie del terreno raschiata meccanicamente in piazza San Marciano a Frigento è stato risolto nel giro di poche ore. Quei miseri resti ossei; teschi, tibie, arti, rinvenuti durante i lavori di rifacimento della pavimentazione, nei pressi della scuola media del paese ufitano, sono appartenuti a sei protocristiani vissuti intorno al V-VI secolo dopo Cristo, e sepolti in quel luogo che fungeva, a quanto pare, da necropoli. A poca distanza da lì sorgono infatti le celebri cisterne romane, eppoi la più antica e consistente catacomba d'Irpinia, custodita nei sotterranei del Duomo. Che il territorio frigentino fosse una miniera inesauribile di testimonianze archeologiche, ancora da scoprire, era risaputo; quella dell'altra sera è stata l'ennesima conferma di quanti preziosi reperti siano conservati da queste parti nelle viscere della terra. I responsabili avellinesi della Sovrintendenza ai beni archeologici, come prevede la prassi in questi casi, hanno provveduto a mettere sotto sequestro l'area per potere effettuare ulteriori scavi. Al momento stanno analizzando i resti umani rinvenuti per caso. E' molto probabile che in quello stesso perimetro siano stati sepolti altri antenati degli attuali abitanti di Frigento. Ciò che però ha maggiormente sorpreso gli archeologi incaricati adesso di seguire i lavori di recupero nel cantiere a cielo aperto è l'assoluta mancanza accanto ai defunti riportati alla luce di arredi funerari, come si usava fare anche nell'alto medioevo. Ciò fa presupporre che i morti appartenessero a famiglie indigenti, ma potrebbe trattarsi anche di schiavi pagani o di lebbrosi sepolti quindi a debita distanza dai luoghi abitati o consacrati riservati invece ai nobili o ai convertiti al cristianesimo. (Fonte: Il Mattino)

08/10/2005 SANTA MARIA CAPUA VETERE, ECCO IL VERO ANFITEATRO

È ormai certo che proprio nel piazzale antistante l'Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, oggi piazza "Primo ottobre", sorgeva quello antico, dove si svolgevano i "ludi publici" con le cruente lotte tra i gladiatori, particolarmente seguite e predilette dal popolo. I lavori di scavo (foto), posti in essere nell'ambito dei Pit dalla Soprintendenza ai beni archeologici, ne stanno riportando alla luce i resti. «Senza alcun dubbio - sottolinea Valeria Sampaolo, direttrice del Museo dell'Antica Capua che sta curando i lavori - i resti sono quelli dell'antico anfiteatro, risalente al II secolo a.C. che, con molta probabilità, fu abbattuto ai tempi dell'imperatore Adriano, quando furono portati a termine i lavori del nuovo e più grande anfiteatro, capace di contenere ben 60 mila spettatori, che affollavano i quattro livelli del mastodontico edificio più grande, dal punto di vista della capienza, del Colosseo di Roma». La scoperta diventa ancora di maggiore portata se si pensa che proprio in questo sito si esibiva Spartaco, il gladiatore trace che nel 73 a.C capeggiò la storica rivolta servile contro la potentissima Roma. «A Capua - ricorda, in un passo del "De vita Caesarum", il poeta latino Gaio Svetonio Tranquillo - c'era infatti nel primo secolo a.C. una notissima scuola gladiatoria, composta da soli schiavi di grande statura e forza, che venivano addestrati per dare vita a spettacoli cruenti, dove solo chi vinceva aveva la possibilità di sopravvivere». «Spesso da Roma - dice Svetonio - ricchi patrizi, per lo più giovani amanti di particolari e sempre nuove emozioni, si recavano, in compagnia delle loro donne, a Capua per assistere in esclusiva (sborsando anche parecchi sesterzi) ad una lotta vera tra i gladiatori e, soprattutto, per poter vedere "in diretta" la morte. I lavori di scavo, però, attualmente segnano il passo e per essere ultimati hanno bisogno di ulteriori stanziamenti. (Fonte: Il Mattino)

05/10/2005 IL MOSAICO DELLA BATTAGLIA DI ALESSANDRO TORNA ALLA CASA DEL FAUNO A POMPEI

Il mosaico la “Battaglia di Alessandro” torna alla Casa del Fauno. E Pompei si arricchisce di una nuova attrazione per gli studiosi e i turisti di tutto il mondo. L’originale, parzialmente danneggiato, è conservato al museo Archeologico di Napoli dove si ammira alla parete della sezione riservta alla collezioni museali borboniche da quando, nel corso dell’Ottocento, assieme a tutte le altre decorazioni musive della casa, era stato rimosso da Pompei e trasferito — su un carro ferroviario trainato da buoi — per garantirne una migliore conservazione. Oggi, alle ore 12.30, negli scavi di Pompei, è prevista la presentazione e inaugurazione dellla copia del mosaico che torna ad ornare la pavimentazione dell’esedra che si apre in fondo al primo peristilio della importante “domus” appartenuta alla gens Satria e a Silla, nipote del dittatore Mario.
Alla conferenza stampa intervengono Anna Maria Reggiani, direttore generale del dipartimento per i Beni culturali e paesaggistici, Saturno Carnoli, responsabile del progetto, Pietro Giovanni Guzzo, Soprintendente archeologo di Pompei. E da domani il mosaico sarà di nuovo in bella mostra al suo posto come pavimentazione ornamentale dell’esedra della Casa del Fauno dove il pubblico potrà goderne la magnificenza in ogni dettaglio.
Giunge a compimento, dunque, un’operazione lunga e complessa, realizzata per conto della soprintendenza Archeologica di Pompei dal Centro internazionale studi e insegnamento del mosaico di Ravenna dove è stato ricostruito.
O meglio riprodotto in maniera conforme all’originale, nelle dimensioni (m 3,17Xm 5,84) come nelle forme, nei materiali e nei colori grazie ad una sofisticata tecnica di lavoro che ha consentito la ricostruzione di oltre due milioni di tessere e mille pannelli di supporto. Grandioso, il più celebre mosaico dell’antichità, è a sua volta copia di un dipinto attribuito a Philoxenos di Eretria che pare l’avesse realizzato, alla fine del IV secolo avanti Cristo, per il re Cassandro. Quello di Pompei, invece, fu eseguito da maestranze alessandrine con tasselli policromi finissimi che si servirono della tecnica dell' "opus vermiculatum".

30/09/2005 AVELLINO, UN PARCO ARCHEOLOGICO IN PIAZZA DUOMO

Pronti tre milioni di euro per riqualificare l'area del Duomo. La giunta dà il via libera al progetto preliminare per la realizzazione del parco archeologico sull'area di sedime del seminario. Entro la fine dell'anno sarà presentato alla Regione il progetto esecutivo che consentirà la materiale erogazione del finanziamento, già stanziato nell'ambito dei fondi per le aree sottosviluppate. L'amministrazione Galasso segna un'altra tappa del percorso per il rilancio del centro storico avviato dall'assessore alla cultura, Toni Iermano, con il recupero dei cunicoli e della Torre dell'Orologio. L'intervento di riqualificazione urbana si estenderà su una superficie di oltre 6mila metri quadri, dove sorgeva il seminario vescovile, ricostruito nella seconda metà degli anni '50 e demolito, per motivi di pubblica incolumità, dopo i danneggiamenti subiti con il terremoto del 1980. L'area, che versa nel più totale stato di abbandono, diventerà un parco archeologico. Torneranno alla luce le tombe di epoca sannita e l'antico tracciato viario di epoca romana il cui rinvenimento, dopo la demolizione del seminario, ha fatto scattare il vincolo della Sovrintendenza. «L'obiettivo principale dell'intervento - spiega l'assessore Maurizio Petracca - è quello di promuovere e migliorare la qualità urbana con particolare attenzione ai servizi sociali e alle funzioni pubbliche culturali. E' un progetto - conclude Petracca - che rappresenta la continuazione dell'opera che sta portando avanti l'assessore Iermano per la riqulificazione del cuore antico della città e, in particolare, del Rione Terra». Il progetto prevede, inoltre, la realizzazione di una struttura multifunzionale, una cortina muraria di recinzione dell'area archeologica tra piazza Duomo e via Seminario, destinata ad ospitare un museo e la sede della prima circoscrizione. Alle spalle dell'edificio, percorsi pedonali si snoderanno attraverso i reperti archeologici. Dalle erbacce rinascerà anche il campanile del Duomo che sarà liberato dalla recinzione attualmente che ne impedisce la visibilità. Si tratta di una testimonianza storica di alto valore perchè la base è stata costruita con pezzi di edifici romani, tombe e statue, provenienti dalla necropoli di Abellinum del I secolo a.C. (Fonte: Il Mattino)

28/09/2005 BAIA, VIA AL RECUPERO DEL PATRIMONIO SOMMERSO

Via al restauro dei beni archeologici sommersi di Baia. «Quello di Baia, area marina protetta, è un parco sommerso che rappresenta una riserva archeologica importantissima che purtroppo versa in gravi condizioni di salute, e la nostra azione mira in particolare al recupero, non della totalità delle strutture sommerse, cosa impensabile, ma al restauro e conservazione di alcune parti». Al momento, siamo intervenuti, utilizzando materiali innovativi, sul ripristino di alcuni mosaici, fra i quali un mosaico pavimentale facente parte dell'edificio denominato Domus con ingresso a Protiro». Così, il professore Roberto Petriaggi, direttore del nucleo per gli interventi di archeologia subacquea dell'Istituto centrale per il restauro, spiega le ragioni del suo impegno nel porto di Baia che lo vedono in prima linea guidare una squadra di specialisti nella sperimentazione di materiali, strumenti e tecniche per la protezione, conservazione ed il restauro sul luogo dei manufatti archeologici sommersi. «Si tratta di un intervento in via sperimentale, mirato alla conservazione in loco delle strutture sommerse, che non trova precedenti in Italia, se non in alcuni esperimenti accademici intrapresi per il restauro di alcune strutture della villa romana di Torre Astura di Roma», continua Petriaggi. Fra le altre novità, in via sperimentale e sotto il controllo del laboratorio di biologia dell'Icr, è stato anche provato un nuovo stratagemma che ha previsto l'aggiunta di un biocida ad azione locale, alla malta, per limitare cosi lo sviluppo delle alghe, tra i principali fattori di degrado. (Fonte: Il Mattino)

26/09/2005 PARTE LA QUINTA CAMPAGNA DI SCAVO ALLA ROCCA DI MONDRAGONE

Consulta lo speciale www.archemail.it/mondragone.htm

26/09/2005 VELIA DIVENTA PARCO ARCHEOLOGICO CON TANTO DI NUOVI SPAZI ESPOSITIVI

La riscossa di Velia. Diventa parco archeologico ”totale”, in uno scenario d’incomparabile bellezza, la collina verdeggiante che si affaccia sul mare di Ascea, nel cuore del Cilento, dove a metà del sesto secolo avanti Cristo s’insediò ed ebbe fortuna una folta colonia di Greci provenienti da Focea, città dell’odierna Turchia. Famosa per aver dato i natali a Parmenide e al suo discepolo Zenone, fondatore della scuola filosofica eleatica, dopo gli anni dello splendore romano cominciò per Velia una fase di occupazione e di progressivo decadimento. Un processo di abbandono che soltanto negli ultimi anni, grazie al risveglio delle amministrazioni pubbliche, ma soprattutto alla mobilitazione delle comunità locali, è stato possibile arrestare. Una serie d’interventi finanziari ”combinati” (Regione, ministero, Unione Europea), nell’ambito dei programmi previsti per i «grandi attrattori culturali» della Campania. Ieri pomeriggio, finalmente, l’apertura del parco archeologico mozzafiato, uno dei più belli al mondo, testimoni i partecipanti al prestigioso convegno di studi sulla Magna Grecia, per un giorno trasferito da Taranto alla capitale della cultura eleatica. Con l’assessore regionale al Turismo e ai Beni Culturali, Marco Di Lello, il presidente della Provincia di Salerno, Angelo Villani, soprintendenti, sindaci e amministratori comunali. Sul cammino dei più autorevoli archeologi del mondo, ecco in sequenza le meraviglie ritrovate nel corso degli ultimi anni di passioni e di scavi: gli edifici restaurati sull’acropoli, il teatro greco-romano e le due piccole chiese nelle quali hanno trovato posto spazi museali destinati a raccontare la storia della città attraverso i numerosi reperti rinvenuti. E ancora, gli affreschi e le vasche delle terme ellenistiche, situate alle pendici della collina, i quartieri della città bassa, la necropoli antistante la cinta muraria ancora in corso di esplorazione, il ricco apparato didattico che accompagna i visitatori dal primo all’ultimo segmento espositivo del parco. Per non ripetere gli errori del passato, evitando gli abusi edilizi e il degrado degli ultimi decenni, la Regione ha varato anche una legge speciale (primo firmatario il consigliere Nino Daniele) per la difesa dell’ampia fascia territoriale che circonda il sito archeologico. «La realtà storica di Velia diventa così elemento decisivo per ottenere l’inserimento del Cilento nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco», spiega Giuliana Tocco, applaudita leader dell’intera operazione-recupero dell’intero complesso eleatico. «Un passo decisivo verso la realizzazione di quel distretto archeologico della provincia di Salerno, che tutti aspettiamo», puntualizza Stefano De Caro, soprintendente regionale ai Beni Culturali. E Marco Di Lello, concludendo la breve cerimonia inaugurale, si richiama «all’importanza strategica dei pacchetti varati dalla regione per la valorizzazione degli itinerari culturali, autentica carta vincente dell’industria turistica di una regione ricca di valori e di storia, come la Campania». (Fonte: Il Mattino)

17/09/2005 TORRE DEL GRECO: PER LA VILLA ROMANA IN CONTRADA SORA COMUNE CONTRO SOPRINTENDENZA

Poteva bastare una «radiografia» del sottosuolo per conoscere la reale estensione di villa Sora e i segreti dell'area archeologica. Una prospezione geofisica che l'assessore alla Cultura Flavio Russo, avrebbe voluto eseguire con l'obiettivo di «promuovere la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio storico-archeologico» e la speranza di recuperare un sito completamente abbandonato e dimenticato dalla Soprintendenza. Ma la proposta, a costo zero per i responsabili dell'area, non è piaciuta al professore Pietro Guzzo che in una lettera inviata al Comune, ha bocciato l'iniziativa, spiegando solo che «non si può autorizzare quanto richiesto». Una decisione «immotivata» per il Comune che non ha mancato di scatenare polemiche. E il più arrabbiato è naturalmente l'assessore Russo che ha scritto un'infuocata lettera a Guzzo chiedendo di rivedere la sua posizione: «Si tratta - spiega - di un'indagine non invasiva e del tutto innocua. Le prospezioni geofisiche ci consentirebbero di verificare innanzitutto la reale estensione della villa. Un particolare importantissimo in previsione di un’eventuale ripresa degli scavi. Speriamo che dietro il ”no” del soprintendente ci sia solo un banale malinteso». Il senatore di Fi, Antonio Franco Girfatti parla invece di «disattenzione e disaffezione» da parte della Soprintendenza. «Non è la prima volta - dice - che mi occupo di questa splendida testimonianza e ho già avuto modo di denunciare in un'interrogazione parlamentare le pessime condizioni del sito. L'amministrazione rivendica un diritto giusto: sta difendendo un bene prezioso della comunità. Fino a oggi la Soprintendenza che appare ancora troppo distratta, ha fatto poco o nulla. Informerò il ministero per i beni culturali per capire le motivazioni del permesso negato». (Fonte: Il Mattino)

15/09/2005 CONTINUANO LE CAMPAGNE DI SCAVO A MONDRAGONE (CE)

Consulta lo speciale https://www.ganapoletano.it/archemail/mondragone.htm

14/09/2005 IL SATYRICON FECE TAPPA A MONDRAGONE

La Graeca urbs di cui parla Petronio nel Satyricon non sarebbe né Napoli, né Pozzuoli, né Pompei, ma Urbana, la città romana citata da Plinio il Vecchio, a poca distanza da Sinuessa, attualmente Mondragone, la cui localizzazione costituisce tuttora un rebus per gli archeologi. È una delle ipotesi proposte da Giancarlo Bova, paleografo di Santa Maria Capua Vetere, impegnato da anni a pubblicare l’edizione critica delle pergamene dell’archivio capitolare e della curia di Capua, che, con questo testo, ha esaurito il ciclo dedicato alle pergamene sveve. Finora sono sei i volumi di testi capuani pubblicati nel corso del tempo da Bova, a partire da quelle normanne (1996) fino a quest’ultimo volume, Le pergamene sveve della Mater Ecclesia Capuana (1259-1265) (Libreria Scientifica Editrice, pagg. 657, euro 48). E già in questo stesso volume Bova ha iniziato con quelle angioine: trentasette pergamene da Carlo I d’Angiò a Carlo II. Un corpus imponente che fa di Bova uno specialista del medioevo di Terra di Lavoro, ancora più significativo se aggiungiamo anche gli studi specifici dedicati ad esempio alla Vita quotidiana a Capua al tempo delle Crociate (2001), a Capua cristiana sotterranea (2002), Tra Capua e l’Oriente, i Medici (2004), in cui, tra l’altro Bova dimostra l’origine capuana dell’illustre famiglia fiorentina, Sulle orme di Pietro (2004), tanto per citare solo gli studi pubblicati con la stessa Esi di Napoli. In questo quinto volume, insieme naturalmente all’edizione critica delle pergamene, va segnalata l’acuta presentazione (90 pagine), nella quale Bova illustra e inquadra nel loro contesto, con fine sensibilità non solo di paleografo ma di storico tout court, i testi pubblicati, derivandone motivi di valido interesse storiografico. Ad esempio l’ipotesi che Bova avanza a proposito di Urbana come la Graeca urbs di cui parla Petronio trae origine da una pergamena medievale che cita una «villa sancti Urbani» che Bova identifica sicuramente come l’antica città romana, per la quale, con un procedimento diffuso in età medievale, l’agionimo (Sant’Urbano) ha preso il posto del toponimo; e, per quanto riguarda la possibile identificazione con la Graeca urbs citata nel Satyricon, Bova è convinto che «urbs greca» possa indicare proprio la città di Urbana a sua volta derivata da urbs. Non v’è motivo, infatti, per pensare ad un voluto nascondimento da parte di Petronio del toponimo, dove tra l’altro è ambientata la famosa cena di Trimalcione, visto che più avanti nel Satyricon l’autore latino cita esplicitamente Crotone, dove i protagonisti si trasferiscono. «Per Graeca Urbs, così scrive Bova, potrebbe così intendersi la Graeca Urbana, una tappa lungo la via Appia, sita in un’area in cui è documentato nel periodo medievale un habitat greco». (Fonte: Il Mattino)

09/09/2005 A BENEVENTO UN PARCO ARCHEOLOGICO IN VIA LONGOBARDI

Si è svolta, ieri, una conferenza di servizi, promossa dall'assessore all'Urbanistica del Comune di Benevento, Fernando Petrucciano, per discutere e risolvere i problemi legati al costruendo centro commerciale di Zamparini e alla valorizzazione delle aree ad esso collegate. All'incontro sono intervenuti Luigina Tomay, dirigente della Soprintendenza ai beni archeologici di Salerno, Avellino e Benevento, Salvatore Buonomo, dirigente della Soprintendenza ai beni ambientali di Benevento e Caserta, i dirigenti dei settori urbanistica e lavori pubblici del Comune, Francesco Cassano e Fernando Capone, oltre naturalmente all'assessore Petrucciano e allo stesso imprenditore Maurizio Zamparini. Il punto focale dell'incontro era costituito dalla richiesta della Soprintendenza ai beni archeologici di preservare le importanti preesistenze emerse nel corso degli scavi e che hanno portato alla luce una complessa stratificazione insediativa databile tra l'età del Bronzo antico e l'epoca moderna. Di qui la richiesta di realizzare un parco archeologico in continuità con il già previsto e autorizzato parco fluviale sulle sponde del Calore con annesso parcheggio, da utilizzare anche per gli utenti del centro commerciale. Ipotesi che ha trovato concordi i partecipanti alla conferenza di servizio e lo stesso Zamparini, che ha preannunciato la redazione di un nuovo progetto che tenga conto della modifica. Soddisfatto dell'esito dell'incontro si è detto l'assessore all'Urbanistica, Fernando Petrucciano: «Ancora una volta siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio tra le esigenze della parte pubblica e le aspettative della componente privata. Realizzare nell'area un parco fluviale, un percorso naturalistico, dunque, e un parco archeologico servirà a valorizzare l'insediamento di via dei Longobardi anche sotto il profilo ambientale, culturale e turistico, prima ancora che commercial»e. Intanto, c’è da registrare una presa di posizione di Fernando Errico su quanto accaduto in contrada San Vito in occasione dell'apertura del nuovo centro commerciale: «È un indicatore occasionale, ma comunque significativo, di un sistema complessivamente inefficace, incapace di centrare l'obiettivo di una crescita armonica nel rispetto dei diritti di ogni cittadino. Il rischio, se non si interviene in tempo, è che l'evento straordinario diventi "routine" giornaliera e che passi, come si dice, a regime. E' necessario un intervento immediato e risolutivo che impegni l'amministrazione Comunale in una trattativa rapida con l'ANAS che definisca la cessione del tratto di strada interessato all'accesso al Centro Commerciale. (Fonte: Il Mattino)

02/09/2005 IL LAGO D'AVERNO TORNA IN MANO AI PRIVATI A CAUSA DELLA BUROCRAZIA

Un lago oggetto di un «affaire», non è la prima volta nei Campi Flegrei. È accaduto con l’Averno, che Virgilio nell’Eneide, preso dalle suggestioni delle fumarole, indicò come ingresso dell’Ade. Tutto iniziò quattordici anni fa: il 21 giugno del 1991 gli eredi del cavaliere Pollio, che avevano ricevuto lo specchio d’acqua dai Borboni, misero in vendita il bacino. Una società la «Country club» di Gennaro Cardillo lo comprò per un miliardo e duecento milioni di vecchie lire. Sessanta giorni era il tempo che ebbe la Sovrintendenza per esercitare il diritto di prelazione. Lo fece, grazie anche al Mattino che sulla vicenda iniziò una campagna di stampa per evitare uno scempio. Enrica Pozzi, allora a capo dell’ente ministeriale per la tutela del patrimonio ambientale, inviò una lettera alla società annunciando che sarebbe stato applicato il diritto di prelazione dall’ente pubblico. La Regione si impegnò a cercare i fondi. Prima ancora, nel febbraio dello stesso anno, con speciale decreto del ministro Facchiano il lago era stato vincolato. Fu questo ad evitare un progetto di cementificazione delle coste, in nome del turismo possibile. Sulla vendita dell’Averno intervenne il sottosegretario ai Beni culturali Luigi Covatta e il sovrintendente ai beni Architettonici Mario De Cunzo che insieme con il funzionario ai beni archeologici Enrica Pozzi sentenziò la necessità di un intervento: l’acquisto del lago. Erano pronti i soldi per l’Averno. Dalla Regione si annunciò addirittura un finanziamento di 15 miliardi di vecchie lire per la bonifica, il restyling delle coste, il turismo senza impatto ambientale. La burocrazia intralciò il percorso. I soldi ai privati non furono mai versati. E il «Country club» decise di appellarsi al Consiglio di Stato per dimostrare che non era mai stato liquidato e che quel lago era proprietà privata. Dopo dieci anni vinse. Oggi l’Averno non è un bene comune. Le idee di sviluppo della Regione sono rimaste nei cassetti e tornano quasi come un ciclo ripetitivo della storia. Oggi il lago, nella leggenda ingresso degli inferi per le esalazioni sulfuree che impedirono sullo specchio d’acqua il volo degli uccelli (Averno significa appunto senza uccelli), è un’oasi naturale in attesa di rilancio. Lungo le coste del bacino restano enormi scheletri di cemento mai abbattuti e completamente abusivi. C’è, invece, un sentiero, che porta al tempio di Apollo dove è possibile fare jogging ripulito dalle erbacce dalla Provincia, dopo due anni di lavoro. (Fonte: Il Mattino)

01/09/2005 IL MOSAICO DELLA BATTAGLIA DI ALESSANDRO TORNA IN COPIA ALLA CASA DEL FAUNO A POMPEI

E' iniziata alla casa del Fauno a Pompei la posa della copia consustanziale (cioè conforme nelle dimensioni, nelle forme, nei materiali e nei colori) del mosaico universalmente conosciuto come "La battaglia di Alessandro". La copia, voluta dalla Soprintendenza Archeologica di Pompei, è stata approntata dagli esperti del Centro Internazionale Studi e Insegnamento del Mosaico di Ravenna, attraverso la realizzazione, con sofisticata tecnica, di tre milioni di tessere e mille pannelli di supporto.
Tra pochi giorni quindi un vero e proprio esemplare ‘clonato’ del grande mosaico tornerà ad ornare la pavimentazione dell'esedra che si apre in fondo al primo peristilio della famosa "domus" appartenuta alla gens Satria e a Silla, nipote del dittatore Mario. Una iniziativa che vuole ulteriormente aumentare il fascino e la comprensione del sito archeologico e quindi la sua fruizione turistica.
"La collocazione della copia del mosaico della battaglia rientra in un più generale programma di valorizzazione e fruizione delle aree archeologiche vesuviane ed in particolare a Pompei- spiega Pietro Giovanni Guzzo, soprintendente archeologo - Ci preoccupiamo in questo modo di far intendere ai visitatori l'aspetto originario dell'arredo degli edifici antichi, invitandoli a visitare le decorazioni originali presso il Museo di Napoli. La realizzazione della copia con la stessa tecnica dell'originale riproduce la materialità dell'epoca e quindi restituisce una sensazione corretta dell'integrità antica, come non sempre avviene nelle ricostruzioni informatiche. La messa in opera della copia, inoltre, affronta anche un problema generale di gestione, causato dalla progressiva sempre maggiore carenza di risorse professionale di guardiania".
La grandiosa opera denominata ‘la Battaglia di Alessandro’ proveniente dall'ambiente di rappresentanza della Casa del Fauno a Pompei può essere considerato il piu' celebre mosaico pervenutoci dall'antichità. L'originale consisteva in un dipinto attribuito a Philoxenos di Eretria per il re Cassandro alla fine del IV secolo avanti Cristo.
Il mosaico fu eseguito a Pompei da maestranze alessandrine con tasselli policromi finissimi secondo la tecnica dell' "opus vermiculatum", e raffigura il momento decisivo di una battaglia della campagna Persiana che vide affrontarsi Alessandro Magno, rappresentato in sella a Bucefalo, alla testa della sua cavalleria, contro Dario III, re di Persia, che, vinto, si dà alla fuga.
Questa megalografia, al pari di tutto il resto della ricchissima decorazione musiva della casa, venne portata nell'Ottocento nelle collezioni museali borboniche posta su un carro ferroviario trainato da buoi (l’opera misura infatti oltre tre metri di lunghezza), ed è ora a Napoli, esposta al Museo Archeologico Nazionale.

30/08/2005 ORO PURO PER DIPINGERE I GIOIELLI DELLA VENERE POMPEIANA

A rilevare che gli anelli, le collane e le decorazioni della veste della dea, riprodotta su un affresco di via dell’Abbondanza a Pompei, erano state effettuate con foglie d’oro a 24 Karati, sono stati gli specialisti del Laboratorio di restauro della Soprintendenza archeologica, guidata dal Soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, e da Pietro Baraldi, professore di Chimica Fisica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La scoperta, assolutamente eccezionale perché mai prima d’ora erano state individuate pitture che presentavano tale particolarità, è stata fatta durante le operazioni di restauro programmate per recuperare le facciate delle officine infectoria e coactiliaria (si tratta rispettivamente della bottega usata dai feltrai per produrre vestiti e stoffe, e della tintoria di Verecundo) secondo quanto stabilito nel progetto del professor Santopuoli della Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, su sponsorizzazione della Fassa Bortolo. L’oro, secondo quanto è emerso dopo le indagini effettuate con la tecnica della microscopia “Raman”, si troverebbe su tutta la figura di Venere – la dea era la protettrice della città e la patrona di feltrai e tintori – a partire dalla decorazione della veste, per continuare con i monili: anelli, bracciali, collane, che ne coprivano la figura. La scoperta delle lamine d’oro usate per dare maggior preziosità alle pitture pompeiane, sarà presentato in anteprima mondiale giovedì primo settembre nel corso della «Terza Conferenza Internazionale sull’applicazione della spettroscopia Raman nell’Arte e nell’Archeologia» che si tiene a Parigi dal 31 agosto al tre settembre. Una tecnica di analisi non invasiva la “Raman”, che usa la radiazione prodotta da un laser e lo studio delle risposte alla sollecitazione fornite dai moti delle molecole. Movimenti che sono caratteristici per ciascuna sostanza, permettendo in tal modo di conoscere se le materie prime di cui sono formati i materiali sono elementi puri o composti. E, come spiega Baraldi, l’analisi Raman rivelava che non solo ci si ritrovava in presenza di un elemento puro ma dava anche il picco caratteristico dell’oro, successivamente visto anche con il microscopio digitale sotto forma di sottilissime lamine. La scoperta, adesso, detta tutta una serie di interrogativi: era solo quell’affresco ad essere “ricoperto d’oro”, visto che si trattava della dea protettrice della città, oppure il metallo si trova anche nelle altre pitture che andranno controllate a tappeto? E, come legavano l’oro ai pigmenti, gli artisti antichi, considerato la difficoltà e visto che sino ad allora il metallo lo si ritrova solo sulle statue ageminate, sui metalli meno preziosi, e persino su dischi di vetro (vedi casa degli Amorini dorati) ma mai sugli affreschi? «Stiamo indagando – dice Baraldi – adesso ci vorrà del tempo per dare risposte scientifiche». (Fonte: Culturalweb)

26/08/2005 A PAESTUM RINVENUTO UN TEMPIO DEDICATO AD ATHENA

Era dedicato alla dea Athena il tempietto-sacello scoperto dagli archeologi della Soprintendenza di Salerno, in prossimità di Porta Sirena, uno dei quattro varchi attraverso i quali 2400 anni fa si entrava nella città greca di Poseidonia, poi divenuta la latina Paestum. Il ritrovamento, che è avvenuto durante i lavori di recupero della cinta muraria nel tratto compreso tra la «Torre 28» e appunto Porta Sirena, potrà essere visto assieme alla cortina difensiva restaurata a partire da venerdì prossimo, allorché si inaugurerà il percorso, lungo circa quattrocento metri. La cinta, assieme alla porta, verrà illuminata con un sistema di luci che ne evidenzierà la bellezza e la maestosità. «Recupero e restauro - spiega Marina Cipriani, archeologa, direttrice del Museo di Paestum e responsabile dell’area per la Soprintendenza Archeologica di Salerno - sono stati interventi complessi e difficili; per realizzarli abbiamo avuto un importante contributo scientifico dal Dipartimento per i Beni Culturali dell’Università di Salerno, diretto da Angela Pontrandolfo». Una barriera difensiva poderosa, dunque, quel muro costruito per proteggere i coloni greci dagli attacchi dei nemici, di qualunque etnia essi fossero: lucani, etruschi o legioni di Roma. Per questo motivo, la cinta muraria, lunga quasi cinque chilometri, doveva essere inespugnabile e nello stesso tempo funzionale. Per realizzarla, almeno per quello che riguarda il settore recuperato e datato attraverso la ceramica tra la fine del IV e il III secolo avanti Cristo, gli archeologi hanno scoperto che era stata messa in opera una tecnica inusuale per quei tempi. La procedura prevedeva la costruzione di una doppia cortina di mura, fatta con massicci blocchi di pietra locale, perfettamente squadrati, distanti tra loro sei, sette metri; al suo interno ancora due muri, messi in opera a secco. Tra le diverse murature, poi, erano inseriti terrapieni realizzati con terreno e pietre, in maniera da compattare il tutto rendendo imprendibile la città. Il restauro ha permesso di ritrovare le numerose postierle, piccole porte, ricavate all’interno delle murature, attraverso le quali gli assediati potevano fare rapide sortire per contrattaccare i nemici. Inoltre, sono state rinvenute le fasi più antiche della vita cittadina, con resti di murature, sia esterne che interne, stimate dagli archeologi come elementi di santuari e aree religiose. La datazione dei reperti, giudicati risalenti alla fondazione della Poseidonia greca, agli inizi del VI secolo prima di Cristo, è stata resa possibile dai recuperi di ceramica dalla tipologia caratteristica per quel periodo. «Questo significa - riprende l’archeologa - che per realizzare la cortina difensiva, almeno lungo questa fascia indagata, si sono dovuti obbligatoriamente distruggere luoghi di culto e santuariali». Come appunto il sacello-tempietto consacrato ad Athena, recuperato invece intatto in tutte le sue caratteristiche e databile in età lucana, tra la seconda metà del V secolo e la prima del IV. I ritrovamenti collegati alle mura continuano, ancora, con la localizzazione dell’antico asse viario che permetteva il passaggio attraverso la Porta Sirena. La strada, costruita in piena età imperiale e pavimentata con basoli di pietra, nascondeva i livelli di costruzione di ben altri due tracciati che nel tempo l’avevano preceduta. (Fonte: Il Mattino)

23/08/2005 NUOVI FONDI PER RESTAURI A POMPEI

Presto gli antichi edifici e le aree chiuse di Pompei dai tempi del terremoto saranno restituiti agli occhi del mondo in tutto il loro splendore. La Casa dei casti amanti, la caserma del Gladiatore e tanti altri luoghi torneranno a essere visitabili grazie a un progetto di cinquanta milioni di euro messo a punto da Regione e Soprintendenza archeologica. Si tratta di un intervento estremamente importante per il turismo nazionale ed internazionale, in quanto molte delle aree chiuse al pubblico dopo il terremoto del 1980 perché inagibili, saranno restituite nella loro interezza, e rese anche più belle dai restauri. Il cinquanta per cento del finanziamento per la riapertura delle case chiuse sarà attinto dalle casse dei Por (Programmi operativi regionali), recuperati in extremis dal city manager Luigi Crimaco. Il resto dei fondi, invece, saranno a carico della Regione e della Soprintendenza. Il 31 agosto il governatore Antonio Bassolino, l’assessore al Turismo Marco Di Lello, il direttore dei Beni culturali della Campania Stefano De Caro e il manager Luigi Crimaco sigleranno l’accordo finale e presenteranno il progetto. L’intento del manager Crimaco è quello di rilanciare sul mercato del turismo mondiale una Pompei antica più completa e promuoverla a cartina di tornasole del ministero per i Beni e le Attività culturali. Tra gli interventi di recupero, in risposta ad un turismo sempre più esigente ci sono: il restauro della Casa del Centenario, della Casa di Marco Lucrezio Frontone, della Casa di Obellio Firmo, della Caserma dei Gladiatori, della Casa e del Vicolo del Menandro, della Casa degli Amorini Dorati, della Casa e Insula di Cecilio Giocondo, della Casa dei Casti Amanti, della Casa di Trebio Valente, della Casa di Casca Longus e botteghe adiacenti, della Casa del Vasaio Zosimo, della Casa del Moralista, della Casa di Ceriale, delle Terme del Foro, delle Terme Suburbane, delle Terme Stabiane. I lavori prevedono anche l’installazione di un impianto di illuminazione in diversi punti della città antica come la Necropoli di Porta Nocera e via dell’Abbondanza. Anche gli scavi di Ercolano beneficieranno di una piccola fetta dei cinquanta milioni di euro. Alcuni interventi, infatti, completeranno l’Antiquarium Ercolanese e Villa dei Papiri. Oltre a rispondere alla voglia di sapere, del mondo, sulla storia dell’antica civiltà pompeiana, sono previsti anche servizi di accoglienza che verranno realizzati nella zona di Porta Stabia nei vecchi edifici demaniali. Intanto i sindacati lanciano un appello al manager in merito ai nuovi restauri che partiranno tra breve. (Fonte: Il Mattino)

04/08/2005 RINVENUTA UNA DELLE ENTRATE AL TEATRO ROMANO DI NAPOLI

Era una delle entrate del teatro romano. È rimasta in piedi, almeno per metà. Un ritrovamento eccezionale perché rappresenta una sezione della facciata del teatro di via Anticaglia. La settimana scorsa è stata scoperto un pilastro nel cortile del condominio di via San Paolo 4, in pieno centro storico. La colonna si trova ad appena 40 centimetri sotto il piano di calpestio del cortile. I saggi effettuati dalla sovrintendenza archeologica hanno delineato, grosso modo, i contorni della struttura. Un pilastro a forma di T (anche se non molto accentuata) in mattoni rossi ad opera mista, alto un paio di metri e largo altrettanti. È in corrispondenza di uno dei cunei (corridoi di ingresso) del teatro ed è l’unico pezzo a essere all’esterno del fabbricato: di qui l’ipotesi, ma è quasi una certezza, che si tratti della facciata. Visto che la colonna è stata ritrovata proprio dove si pensava fosse. Ora si tratta di lavorare con cura per i prossimi mesi per riportare completamente alla luce, sino al basamento, il pilastro. E rendere visibile, come detto, una porzione della facciata, per rendersi conto di com’era il teatro duemila anni fa anche all’esterno. I lavori alla cavea, infatti, continuano speditamente: stanno tornando alla luce anche i colori del vecchio teatro. Le gradinate sono visibili da tempo. La novità è costituita dagli ambulacri (sorta di antichi foyer) in corso di ristrutturazione. Un progetto imponente quello del teatro romano, diviso in due lotti, del valore di quattro milioni e mezzo di euro. I tempi naturalmente non sono rapidissimi anche perché dal punto di vista operativo il restauro non è dei più facili. A meno di ulteriori ritrovamenti, nella primavera del 2006 saranno appaltati i lavori del secondo lotto. Dopo di che il progetto prevede altri due anni di lavori. Solo nel 2008 la struttura romana potrebbe tornare, dopo duemila anni, a essere un teatro. L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di restaurare completamente l’opera anche dal punto di vista della funzionalità. «Il centro storico - afferma il vicesindaco Rocco Papa - continua a regalarci una serie di reperti di straordinaria importanza. Una risorsa sulla quale dobbiamo assolutamente insistere. Sarà la priorità nella valutazione delle opere da sottoporre ai finanziamenti Ue nel prossimo quadriennio». Dopo il rapporto tra città e mare (leggesi waterfront) la prossima scommessa urbanistica - con i fondi dell’Unione Europea - dovrebbe riguardare proprio il centro antico che - continua Papa - «racconta una serie di elementi: sviluppo economico, archeologia, architettura, arte. Deve essere la nostra scommessa per il futuro». (Fonte: Il Mattino)

02/08/2005 IN CHIUSURA I LAVORI DI SCAVO A BENEVENTO

Saranno ultimati nelle prossime ore a Benevento i lavori di scavo, i rilievi fotografici e la catalogazione dei reperti archeologici rinvenuti lungo corso Garibaldi, all'altezza del Palazzo del Governo, eseguiti da una ditta di fiducia dell'amministrazione comunale con la vigilanza della Soprintendenza ai beni archeologici. Subito dopo, la struttura preesistente (una fornace risalente al XIII secolo, destinata alla produzione di protomaiolica) verrà ricoperta con teli e materiale di risulta, per poter consentire alla ditta di completare la pavimentazione lungo l'intero tratto che va piazza Santa Sofia a piazza IV novembre. La riapertura dell'area avverrà nei primi giorni della prossima settimana, per ragioni tecniche dovute al necessario periodo di assestamento della stessa nuova pavimentazione.

26/07/2005 AL VIA TRENTUNO PROGETTI PER L'AMBIENTE, L'ARCHEOLOGIA E LO SVILUPPO IN CAMPANIA

Trentuno progetti integrati, la cui realizzazione sarà assicurata con un impegno finanziario complessivo di mille milioni di euro: i relativi accordi di programma sono stati firmati ieri mattina alla Regione dal governatore Bassolino e dai rappresentanti di tutti gli enti interessati. Diversa la natura degli interventi, programmati in questi mesi da appositi tavoli di concertazione. I Progetti Integrati delle «città capoluogo» interessano Napoli, Benevento, Salerno e Caserta e possono contare sulla disponibilità di circa 261 milioni di euro di fondi europei del Por Campania 2000-2006. I progetti sono finalizzati alla riqualificazione e alla valorizzazione delle risorse storico-culturali e ambientali del territorio. I Progetti integrati individuati nella tipologia «sistemi locali a vocazione industriale» interessano il territorio dei comuni dell’area giuglianese, nolana e della «città del fare» con un impegno di risorse finanziarie di 44 milioni di euro dei fondi Por; sono finalizzati allo sviluppo e al potenziamento della capacità competitiva dei sistemi locali, attraverso la valorizzazione delle risorse umane ed imprenditoriali presenti sul territorio, nonchè la creazione di servizi a sostegno delle piccole e medie imprese. Per la categoria «sistemi locali a vocazione turistica» sono coinvolte le isole del golfo, il Borgo Terminio-Cervialto e Pietrelcina; il finanziamento di fondi Por è di 57 milioni di euro; obiettivo, la creazione di sistemi integrati turistici, alla valorizzazione di beni culturali ed ambientali, al recupero e alla realizzazione di infrastrutture per servizi turistici, ad incrementare i flussi turistici. Dedicati agli «Itinerari Culturali» i pit che interessano le province di Avellino, Benevento e Caserta e riguardano il Regio tratturo di Benevento, i Monti trebulani-Matese, la Valle dell’Ofanto, la Valle dell’antico Clanis, il Regio tratturo di Avellino, l’Antica Volcej, il Litorale domitio, possono contare su risorse finanziarie del Por per circa 176 milioni di euro. I progetti «Grandi attrattori culturali» di Pompei- Ercolano e sistema archeologico vesuviano, Napoli, Campi flegrei, Reggia di Caserta, Paestum-Velia, Certosa di Padula, con un finanziamento di circa 400 milioni di euro, sono finalizzati alla valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale in chiave turistica; i Progetti integrati «Parchi nazionali e regionali» interessano il Parco regionale del fiume Sarno, il Parco regionale dei Monti Picentini, il Parco regionale del Partenio, il Parco regionale del Taburno-Camposauro, il Parco regionale Roccamonfina-foce Garigliano, il Parco nazionale del Cilento- Vallo di Diano e il Parco Nazionale del Vesuvio, che possono contare su risorse finanziarie del Por per oltre 140 milioni di euro. Soddisfatto il governatore Baassolino, secondo il quale quelle finanziate sono «opere che vogliono innalzare il livello di crescita della Campania, e farne sempre più una Regione europea, capace di guardare a Bruxelles ed al Mediterraneo». Opere che è possibile far partire subito: «I cantieri si possono aprire fin dalle prossime ore», sottolinea Bassolino, ricordando che i finanziamenti derivano per la gran parte dai fondi strutturali europei. «Adesso - conclude Bassolino - tutti al lavoro, con l’impegno di rispettare i tempi previsti per la realizzazione di questi importanti progetti, che vanno ad aggiungersi ai 15 accordi già sottoscritti per la filiera termale, turistico enogastronomica, per la Penisola Sorrentino-Amalfitana, per la Piana del Sele, per l’Agro dei Monti Picentini, la città di Avellino, il Parco del Matese, la Valle dell'Irno e i sette distretti industriali». (Fonte: Il Mattino)

11/07/2005 UNO TSUNAMI DI 4000 ANNI FA A SALERNO

Forse, tornarono. A piedi nudi, poco tempo dopo il disastro, per raccogliere quello che restava degli attrezzi necessari per coltivare la terra o macinare il grano. Oppure, scappavano, dopo aver abbandonato le primitive calzature per correre meglio, in cerca di un luogo sicuro e in grado di salvargli la vita. Nessuno lo potrà dire con certezza. Ma le orme, le impronte che raccontano la storia di un villaggio devastato da uno tsunami scatenatosi con tutta la sua violenza millenovecento anni prima di Cristo, stanno là, nella zona di Olive - Torricelle, in prossimità della collina di San Leonardo, alla periferia Ovest di Salerno. Sono decine. A lasciarle, quattromila anni, fa su una base di fango molliccio e giallastro, fu un gruppo formato da adulti, da adolescenti e da animali. Le hanno trovate, gli archeologi della Soprintendenza Archeologica di Salerno, durante i saggi che di solito si fanno prima di dare l’ok definitivo alle concessioni edilizie. Sparsi su tutta l’area, assieme a una incredibile quantità di ossa d’animali - forse quelli che rimasero vittime del disastro - numerosi frammenti ceramici di piatti e scodelle. Reperti che qualche volta sono stati trovati del tutto integri e perfettamente conservati, sigillati nella colata di fango. E poi, hanno intercettato il villaggio. Sette capanne, quelle trovate per ora, chiuse in cerchio; tutte a forma di ferro di cavallo; che ospitavano una comunità del Bronzo antico (tra il 1600 e il 2200 a.C.) o per meglio dire del ”Rame finale”, appunto 40 secoli fa. Un abitato che dovette avere anche un discreto numero di presenze umane (considerata l’epoca) sia perché si trovava di fronte al mare, che per la caratteristica della zona, da sempre considerata un’area di passaggio. Ma principalmente perché, il nucleo abitato si era sistemato vicino a uno stagno, forse alimentato da una polla d’acqua dolce. «Tutto spazzato via. Tutto raso al suolo in pochi attimi» racconta Giovanni Di Maio, geologo, che su quell’area ha lavorato a stretto contatto con gli archeologi per definire la scansione delle fasi storico stratigrafiche. Un’onda anomala terribile - i dati ricavati dalle analisi la fanno stimare alta quanto un palazzo di quattro piani - si abbatté sulla costa, penetrando nell’interno per almeno un chilometro e superando una diga naturale elevata di qualche metro sul livello del mare. Una barriera fatta di terreno giallo, deposito alluvionale sceso dai monti vicini. Tutto sbancato in un sol colpo villaggio, sabbia e abitanti che non fecero in tempo a salvarsi. Chi erano quei primitivi e quali fossero le loro produzioni, sono gli stessi reperti che lo dicono: coltivavano la terra, avevano fornetti in terracotta, per cuocere granaglie o focacce, e allevavano diverse tipologie di bestiame, tra cui maiali, capre e vacche. La scoperta del sito, è avvenuta qualche tempo fa. Ma il tutto è stato rigorosamente secretato al fine consentire una lettura corretta dei dati e di dare interpretazioni precise sui fenomeni responsabili della fine del villaggio. Per capire poi le origini di tanto sconvolgimento, secondo gli studiosi, bisogna forzatamente puntare o su terremoti generati da movimenti di faglia oppure considerare eruzioni sottomarine e le fasi telluriche ad esse collegate. Quest’area del Tirreno, compresa tra la Campania e la Sicilia, è difatti punteggiata da vulcani. Il ”Marsili”, che è il più grande di tutti, si trova a circa 70 chilometri dalle isole Eolie, è alto tremila metri, lungo sessantacinque chilometri, e la cima si trova appena 500 metri sotto la superficie del mare. Ancora, ci sono il ”Vassilov”, vecchio sei milioni di anni, e il ”Palinuro”, oltre all’”Alcione” e al ”Lametini”, piccoli satelliti del Marsili. La presenza umana su quell’area di Salerno rimasta devastata dal maremoto era attestata gia sin dal Paleolitico (in grotte), circa 10 mila anni fa. Una frequentazione che, considerata la fertilità del suolo, permise a quegli uomini primitivi di favorire, tra le altre coltivazioni, lo sviluppo della vite, visto che si sono ritrovati i pollini di quella coltura. Per quel periodo, poi, si sono intercettati materiali che arrivano da fuori, quale, ad esempio l’ossidiana, che viene importata sia dalle isole Eolie che dalla più grande Sardegna. «Insomma - spiega Giuliana Tocco, soprintendente archeologico di Salerno - l’area che abbiamo messo in luce è una delle più significative di tutta la costa campana. Un dato è sicuramente importante: quel maremoto ha cristallizzato tutto e ci ha permesso di recuperare una immensa quantità di elementi riguardanti un periodo interessantissimo della storia campana, sul quale contiamo di saperne di più non appena riprenderemo le indagini». (Fonte: Il Mattino)

05/07/2005 NUOVE SCOPERTE SU POMPEI SANNITA

C’era un porto, in antico, nell’area esterna che si affaccia sul fronte meridionale degli scavi di Pompei, tra la zona di Porta Marina e il Tempio di Venere. L’ipotesi, sicuramente di grande valenza scientifica e archeologica, oltre che storica, ha già il sostegno di alcuni e ben precisi elementi: un gran numero di magazzini dove avrebbero trovato alloggio merci in entrata e in uscita dalla città, situati appunto nel piano sottostante l’area sacra del Tempio di Venere. La scoperta è stata fatta dal gruppo di archeologi della scuola di specializzazione in Archeologia dell’Università di Matera, in Basilicata, coordinati da Emanuele Curti, docente al Birkbeck College dell’Università di Londra. «Stiamo lavorando - spiega l’archeologo - per dare corpo alle nostre ipotesi. A settembre, quando ritorneremo a indagare, inizieremo proprio con una serie di prospezioni mirate». Ma c’è ancora una scoperta interessante che il gruppo ha fatto sempre nella stessa area, durante le indagini effettuate nello spazio del Tempio di Venere. «Quella struttura sacra - conferma Curti - non risale al I secolo a.C., ma è coeva come impianto monumentale al Foro, alla Basilica e all’area che si trova a sud ovest della città». Di più. Secondo gli archeologi, la presenza di un’area di santuari sarebbe attestata già sin dal III secolo a.C., se non addirittura dall’età arcaica, quindi in epoca preromana. E l’edificio sarebbe stato consacrato alla dea Mefite (la Venere romana), di origine sannitica, forse collegata addirittura a Venere ericina, nella Sicilia occidentale; ma certamente, in Campania, legata alle acque e al commercio. E, appunto, quale area poteva essere la migliore per edificare un tempio a un dio protettore del commercio se non quella che guardava sullo scalo marittimo della città? La campagna di scavi di quest’anno ha avuto la durata di due mesi e si è sviluppata nello stesso settore indagato l’anno scorso. «Il sottosuolo dell’antica città di Pompei - sottolinea il Soprintendente archeologo Pietro Giovanni Guzzo - ovvero quelli che erano i livelli della vita cittadina lungo un arco di sette secoli (dal VI secolo a.C. fino al 79 d.C.) conservano ancora documentazioni di una società che solo in minima parte era finora nota». Le ultime scoperte fatte nell’area del Tempio di Venere evidenziano un elemento di continuità con la precedente fase sannitica che sino a qualche tempo fa era stato solo ipotizzato. Tra le altre, proprio l’edificazione del Tempio di Venere, nel 130 a. C, ovvero durante quella sorta di ristrutturazione urbanistica che ebbero le architetture cittadine lungo quell’area, evidenzia la quantità e la qualità degli investimenti che furono fatti. «E - riprende Curti - questo è ancora un nuovo ulteriore aspetto dell’indagine: bisognerà capire attraverso la lettura delle tracce, da dove arrivano tutti quei sesterzi e il perché di quel massiccio intervento economico che ha interessato Pompei nella II metà del secondo secolo avanti Cristo». Altre scoperte, poi, sono arrivate ancora dai dati letti nelle strutture portanti del santuario. Secondo gli archeologi, il tempio di Venere si sviluppava su due terrazze: una superiore dove era ospitata l’area sacra e l’altra, sottostante, dove è stata rinvenuta una piattaforma con canalette per il deflusso di acqua o che appunto servivano al culto della divinità. Appartenenti a questa fase sono stati inoltre rinvenuti vari frammenti architettonici, pertinenti al sistema decorativo di questa fase del santuario. Una delle novità di questa campagna di scavo viene dal ritrovamento, lungo i livelli indagati, di materiali di fattura greca ed etrusca tra cui una terracotta architettonica che raffigura un Eros dall’aspetto quasi da ermafrodito, e una serie di offerte votive rituali contraddistinte da vasetti in miniatura, ossa di giovani maialini, frutta e legumi carbonizzati. Reperti, questi ultimi, che adesso saranno oggetto di studio per il gruppo di specialisti che ha affiancato l’equipe di Curti: Alison Carnell, archeozoologa dell’Università di Southampton; Girolamo Fiorentino, archeobotanico dell’Università di Lecce e Claudio Mazzoli, petrografo dell’Ateneo di Padova.

01/07/2005 RISULTATI E PROSPETTIVE FUTURE PER L'ARCHEOLOGIA A BENEVENTO E DINTORNI

Ieri mattina, presso l’ex carcere San Felice di Benevento, si è tenuta una conferenza stampa voluta da Soprintendenza ai beni archeologici e Comune di Benevento per offrire un report sui ritrovamenti legati alla realizzazione di opere pubbliche in città. Sia il sindaco di Benevento, Sandro D’Alessandro, che la soprintendente Giuliana Tocco, hanno rimarcato la grande collaborazione istituzionale in atto, fatto significativo che permette al Comune di poter realizzare lavori di riqualificazione urbana in un clima di grande fermento, confortato dalla fiducia che gli stessi saranno portati a termine, pur nella salvaguardia dei rinvenimenti e dei reperti che emergono giornalmente. Luigina Tomay, responsabile degli uffici di Benevento della Soprintendenza, ha illustrato nel dettaglio i rinvenimenti emersi sia durante i lavori di rifacimento della pavimentazione di corso Garibaldi sia in altri luoghi della città, come nel caso del Duomo, dove il Comune non è direttamente coinvolto sebbene stia contribuendo alla realizzazione degli scavi. I rinvenimenti principali si sono avuti, per l'epoca romana, al largo San Bartolomeo, in via Bartolomeo Camerario, piazza Ponzio Telesino (dove è emersa una necropoli con sei sepolture), al Duomo mentre resti di edifici di epoca sannitica sono stati rinvenuti a contrada Acquafredda, nonché ulteriori campagne di scavi sono in corso a piazza Duomo e in altri siti della città. Qualche evidenza particolare, come la fornace risalente al XIII secolo destinata alla produzione di protomaiolica, rinvenuta all’altezza del Palazzo di Governo, sarà lasciata a vista e musealizzata. Nei prossimi mesi nuovi sondaggi sono già previsti in piazza Orsini e presso il Museo Diocesano. Le esplorazioni archeologiche a piazza Duomo, dove sorgerà il Museo d’arte moderna, a piazza Ponzio Telesino e nell’area dell’Arco del Sacramento, dove opera un’équipe della seconda Università degli studi di Napoli, diretta dal professor Marcello Rotili, testimoniano la densità e l’estensione degli interventi di archeologia urbana attualmente in corso. Un accenno merita anche l’intervento che si sta effettuando presso la Cattedrale. Contrariamente a quanto ci si aspettava, la ricostruzione successiva al bombardamento del 1943 non ha compromesso le fasi più antiche dell’edificio, che, com’è noto, fu eretto nell’area del Foro Romano, lì dove, probabilmente, sorgeva il Capitolium. Già i primi dati emersi dagli scavi lasciano intravedere una situazione di grande interesse, con strutture pertinenti sia all’adiacente basilica di San Bartolomeo, sia ad epoca romana, con un muro in opera reticolata ed un pavimento in mosaico a tessere bianche e nere. Questi lavori, in particolare, evidenziano il clima di grande collaborazione venutosi a creare tra gli Enti operanti in città sul tema delle preesistenze archeologiche. Infatti, l’esplorazione in Cattedrale è resa possibile grazie all’impegno finanziario assunto, oltre che dalla Curia, dall’amministrazione provinciale e dal Comune, che hanno recepito pienamente come, in un’area di così grande interesse storico ed archeologico, il recupero del passato rappresenti una tappa imprescindibile per lo sviluppo futuro. Il controllo capillare del territorio effettuato dalla Soprintendenza Archeologica ha determinato l’esecuzione di importanti interventi anche in aree periferiche e fuori città. Tra gli scavi più importanti si segnala quello ancora in corso in Via Valfortore, dove il rinvenimento di maggiore interesse è rappresentato da un acquedotto, individuato per una lunghezza di circa 50 metri, risalente al II secolo d.C. Novità rilevanti provengono anche dall’area del Consorzio Asi, in località Ponte Valentino. Qui le recenti esplorazioni presso il Pastificio Rummo e in località Acquafredda hanno restituito una ricchissima documentazione compresa tra l’epoca preistorica ed il periodo tardo-antico, che amplia notevolmente il quadro delle conoscenze sulle modalità insediative succedutesi nel corso dei secoli nella campagna beneventana. Marcello Rotili, docente di archeologia medievale presso la seconda Università di Napoli, ha infine illustrato la campagna di scavi in corso presso l’Arco del Sacramento e lungo via Carlo Torre e via San Gaetano, dove il Comune ha in corso di realizzazione il recupero dell’intera area, nell’ambito del Pit “Benevento: il futuro nella Storia”. Anche Rotili, incaricato dal Comune di coordinare le ricerche nell’importantissima area, toccata negli anni 60 da un intervento edilizio privato mai completato, ha sottolineato come la “diagnostica archeologica” sia il primo e indispensabile passo per realizzare opere pubbliche, anche di forte impatto socio-culturale, nella certezza della possibile valorizzazione dell’antico e del moderno. 

29/06/2005 NUOVI SCAVI A POMPEI NELL'AREA DI PORTA STABIA

Abitazioni, negozi, botteghe in un’area di Pompei praticamente intatta fino all’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.: è quanto rivelano gli scavi condotti da Steven Ellis (Università di Sidney e Michigan) e Gary Devore (Stanford University) che stanno per portare alla luce case private, risalenti a fasi precedenti l'età romana e poi divenute contigue all'area di intrattenimento della città (2 teatri, un ampio cortile colonnato,  3 templi e un Foro). Il progetto complessivo di scavo è denominato Pompeii Archaeological Research Project: Porta Stabia (PARP:PS) e si sviluppa lungo una delle principali strade transitabili di Pompei, all’interno di una delle porte di ingresso in quello che fu un tempo  il centro sociale e culturale della città. Un gruppo di  30 archeologi, proveniente dalle università australiane, americane, inglesi, canadesi e italiane è al lavoro per una   prima campagna di scavo della durata di  cinque settimane."L'invito lanciato nel 1996 e rivolto alle università italiane e straniere di venire a compiere ricerche archeologiche e storiche a Pompei continua a riscuotere successo - dichiara il Soprintendente archeologo di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo - Il progetto internazionale sul quartiere interno a Porta Stabia ne è un'ulteriore conferma. La Soprintendenza segue con il massimo interesse questa multiforme attività, allo scopo sia di ricavarne elementi di conoscenza utili al restauro ed alla manutenzione della città antica sia di ampliare le conoscenze e le informazioni da diffondere ai visitatori. E' purtroppo da segnalare che la progressiva riduzione del personale costringe a non offrire alla visita tutti i settori dell'antica città. Ci auguriamo che una tale situazione possa trovare, quanto prima, una felice soluzione."Tra gli obiettivi dell’importante  scavo anche quello di definire l’impatto urbano e culturale che l’occupazione romana ebbe a Pompei e di approfondire aspetti importanti della vita quotidiana e di relazione della città. “Sappiamo che i romani conquistarono Pompei nei primi secoli prima di Cristo”, dichiara  Ellis  - e che portarono con sé le loro istituzioni, la loro forma governativa, ed il loro modo di vivere. Possiamo toccare con mano il processo di “Romanizzazione” nella monumentalizzazione dei loro edifici pubblici , ma quello di cui siamo meno sicuri è quali siano stati i risvolti pratici di tale processo. Innanzitutto stiamo cercando di scoprire come sia cambiato il modo di vivere dei pompeiani a seguito della distruzione di parti della loro città quando con l’arrivo dei romani furono costruiti edifici come i teatri e i templi.’’Secondo Devore “Scavare questa parte di Pompei è un’opportunità unica e privilegiata., raramente gli archeologi a Pompei hanno avuto accesso a zone di tale importanza. Infatti è questa un’area della città, sulla cui storia c’è ancora tanto da dire. Siamo interessati a come l’aspetto domestico e commerciale sia riuscito a sopravvivere, pur rimanendo nell’ombra, rispetto allo sviluppo fiorente dei edifici pubblici monumentali, come il Teatro grande e il Tempio di Iside.”

21/06/2005 ARCHEOLOGIA SUBACQUEA: CONCLUSO IL PROGETTO ARCHEOMAR

Duecentosessantacinque siti rilevati e documentati con un alto livello di dettaglio, dei quali 96 in Calabria, 79 in Campania, 3 in Basilicata e in 97 in Puglia. Sono questi i numeri della seconda fase del progetto "Archeomar", conclusasi oggi che in due anni ha portato un’equipe di archeologi marini a passare al setaccio i fondali dei mari delle quattro regioni meridionali per censire e documentare le testimonianze del passato.
L’obiettivo, dopo la conclusione del progetto "Archeomar", come ha annunciato oggi il viceministro per i Beni e le Attività Culturali, Antonio Martusciello, dovrà essere quello di realizzare un vero e proprio polo museale «dedicato alla storia dell’uomo sui mari, nelle lagune, sui fiumi e sugli ipogei italiani». Cento operatori, tra tecnici di bordo, subacquei, archeologi subacquei, assistenti e dipendenti delle Soprintendenze hanno individuato, anche grazie all’utilizzo di moderne tecnologie come il sistema Gps, relitti di epoca romana, medioevale e moderna (come relitti militari della I e della II guerra mondiale). Materiale che costituirà una vera e propria banca dati, con l’indicazione anche degli elementi di criticità relativi ai rischi di distruzione. Ma per favorirne la conoscenza al grande pubblico il materiale finirà in un sito web che è in fase di allestimento e in un poderoso atlante cartografico e fotografico dei siti archeologici sommersi che è in corso di lavorazione.
I risultati della seconda fase del progetto ’Archeomar’ sono stati illustrati oggi, alla presenza del viceministro ai Beni Culturali, Antonio Martusciello, a bordo della nave oceanografica «Coopernaut Franca» ancorata al largo dell’isola di Procida (Napoli), proprio dove gli operatori hanno rintracciato il ’relitto dei marmì. Si tratta di una imbarcazione del XVIII secolo, affondata per cause ignote che affondò subito dopo aver doppiato Capo Miseno, che trasportava marmi antichi, molto probabilmente ricavati dalla spoliazione di un monumento di epoca romana, e alcuni reperti di ceramica invetriata. Sia i marmi che lo scafo, secondo quanto hanno accertato gli esperi, sono in buone condizioni. Il progetto ’Archeomar’, finanziato con circa 77 milioni di euro previsti da una legge del 2002, affidato a seguito dell’espletamento di una gara internazionale sulla base di una progettazione compiuta dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, è servito oltre a catalogare nuovi reperti marini anche a mettere a sistema tutto il materiale raccolto negli anni passati. Al momento sono state completate le prime due fasi del progetto, ovvero quella della progettazione dell’intervento e quella dell’individuazione dei siti. Ora scatterà della valutazione dei dati acquisiti ma come ha spiegato ancora il viceministro Martusciello bisognerà «trovare le risorse ad hoc per rendere disponibili ed operativi laboratori di restauro del legno bagnato e di quanto viene recuperato sott’acqua, come metalli, ceramiche, materiali lapidei e cuioi».
I risultati finora conseguiti, sempre a giudizio di Martusciello, dimostrano «che l’intuizione di dotare di fondi e strutture adeguate la ricerca subacquea era giusta e doverosa e porterà ad un ampliamento della conoscenza e della capacità di intervento nella tutela di un patrimonio finora sconosciuto e sedimentato nei secoli».

17/06/2005 OTTO DVD PER LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NEI CANTIERI PER LE LINEE FERROVIARIE AD ALTA VELOCITA'

Che cosa ci faceva un orso a Afragola, in provincia di Napoli? Sue impronte sono state ritrovate nel sito archeologico scoperto in occasione dei lavori dell’Alta Velocità sulla tratta Roma-Napoli. Ieri i ministri Lunardi e Buttiglione, il presidente delle Ferrovie dello Stato, Elio Catania, l’amministratore Tav Antonio Savini Nicci, con l’archeologo Andrea Carandini e altre autorità hanno presentato a Roma la collana multimediale «Archeologia Tav in 3D». Otto dvd (il primo uscito ieri è dedicato al Lazio), nei quali si ricostruisce virtualmente e sulle basi scientifiche finora acquisite il patrimonio archeologico venuto alla luce durante i lavori ferroviari delle nuove linee tra Torino, Milano e Napoli. Seicentotrenta chilometri, circa 200 ritrovamenti di cui 50 di grande interesse scientifico, scoperti grazie alla pratica della cosiddetta «archeologia preventiva». Le nuove tecnologie - rilievi laser, ricognizioni geo-magnetiche, carotaggi, il macro riserve engineering - consentono il monitoraggio del sottosuolo senza il pericolo di trovare reperti in corso d’opera e senza dover distruggere il patrimonio culturale e archeologico. Questa metodologia coinvolge ministeri, Ferrovie, Tav, Soprintendenze, enti locali: richieste di concessioni, permessi, studi. La conferenza dei servizi per la tratta Torino-Novara, per esempio, è durata sei anni: uno in più di quelli impiegati per la sua effettiva costruzione. Per snellire le competenze è stata creata una Società, la Arcus, nella quale si convoglia il 5 per ento delle risorse per le grandi opere che rientrano nella legge-obiettivo, a tutt’oggi 58 milioni di euro. Lunedì, Lunardi e Buttiglione firmeranno un decreto per ulteriori 140 milioni di euro. L’alta velocità tra Roma e Napoli è lunga centotrenta chilometri: verrà inaugurata a fine anno. È la più ricca per testimonianze archeologiche: 140 siti rilevanti. In media, uno ogni 500 metri. I lavori di archeologia preventiva sono, in media, costati 950 euro per ogni chilometro. Le differenze tra i terreni laziali e campani sono piuttosto rilevanti. L’attività eruttiva dell’area vicino Napoli ha più volte sepolto le testimonianze di vita pre e protostorica: come a Pompei, ma venti secoli prima. I rilievi laser hanno svelato, nella zona tra Caivano e Afragola, un territorio densamente occupato a ridosso del fiume Sebeto. Qui si sono ritrovate impronte umane, di ruote di carri, di animali. Sono quelle della gente che, fuggita dai villaggi a causa dell’eruzione, a lava ancora tiepida è tornata indietro per verificare che cosa era accaduto al loro villaggio. È stata scavata un’area periferica di un insediamento che ha avuto una lunga durata di vita e che doveva estendersi per una considerevole dimensione. A Botteghelle sono state rimesse in luce un pozzo e delle fosse. Blocchi di tufo hanno permesso di ipotizzare un portico affacciato su uno spazio aperto pavimentato in cocciopesto. In esso si trovava una vaschetta formata da tegole: un focolare usato per i riti. Insomma, un santuario di età ellenistica. Verso Roma le testimonianze hanno altre caratteristiche. Vicino Teano c’è un santuario con piscina confrontabile con quello ritrovato a Segni, nel Lazio. A Vitulazio una villa rustica di età romana. Di tutti i materiali rinvenuti, la Soprintendenza sta valutando futura collocazione. Il dvd sulla tratta campana uscirà a dicembre: quattro saranno i siti virtualmente riprodotti, certo quello di Mignano Monte Lungo (un villaggio di età romana del periodo augusteo). Si spera che, fino ad allora, gli studi specialistici siano arrivati al punto di spiegarci: riusciamo a risalire ad Annibale per le tracce degli elefanti ritrovate a Roma, ma come è potuto arrivato un orso a Afragola? (Fonte: Il Mattino)

07/06/2005 PRESENTATO IL PROGETTO DEL PARCO DELLA PROTOSTORIA DI POGGIOMARINO

Consulta lo speciale https://www.ganapoletano.it/archemail/poggiomarino.htm

03/06/2005 SPUNTANO FRAMMENTI DELL'ETA' DEL BRONZO DAL CANTIERE DELLA LINEA 6 A NAPOLI

Per ora sono due frammenti. Forse di un’olla, antiche anfore. Forse di qualche utensile. Rappresentano, però, la prima testimonianza dell’età del bronzo a Napoli, città ricca invece di storia greca e romana. Resta da vedere se sarà l’unica o se sotto un metro di terreno si troveranno tracce più cospicue di un qualche insediamento pre-ellenico. I due frammenti sono stati datati e risalgono al bronzo antico, vale a dire quattromila anni fa. Sono costituiti da un impasto di bronzo con un cordone digitato, ovvero con la sommità modellata con le dita. Una scoperta che potrebbe essere veramente importante quella a piazzale Tecchio, a Fuorigrotta, durante gli scavi della stazione della linea 6. Dai carotaggi nel terreno sono venuti fuori i due frammenti. E quaranta giorni fa è iniziata la campagna di scavo condotta dalle due archeologhe Natascia Pizzano e Anna Maria Pappalardo, che hanno già lavorato con successo a Nola e Poggiomarino. Si è arrivato, scavando letteralmente con il cucchiaino, all’epoca romana, al primo paleosuolo. Qui sono state trovate tracce di una palificazione, ma nessuna struttura in pietra o tufo. Significa che molto probabilmente sorgeva una fattoria (i pali erano conficcati di molto nel terreno, segno che dovevano reggere un’abitazione) e che, vista per ora l’assenza di elementi zooarcheologici, gli abitanti dell’insediamento erano dediti all’agricoltura più che all’allevamento di animali. Sono stati scavati una serie di buchi e ritrovati numerosi frammenti di ceramica romana (già catalogati). Così come una porzione del terreno raccolto è stato inviato in laboratorio per delle analisi: si capirà gli antichi agri romani di Fuorigrotta a cosa erano coltivati. Un lavoro meticoloso che, però, ha portato nell’ultimo mese a un rallentamento nella realizzazione della linea 6, l’ex ltr. Ma ora si è arrivati a una svolta. «Bisogna scavare per un metro ancora - spiega l’ingegnere Antonio Liguori, project manager della Linea 6 per l’Ansaldo - dopo di che arriveremo al paleosuolo dell’età bronzea». E qui si vedrà cosa c’è. Se cioé esiste un vero e proprio insediamento dell’età del bronzo, fatto unico a Napoli, o se i frammenti siano riconducibili a episodi isolati. Il paleosuolo romano, invece, andrà via, perché a conti fatti non contiene nulla di importante. Prima però sarà fotografato nei minimi dettagli per una completa schedatura da parte della sovrintendenza. Da qui poi la scelta di cosa fare dei reperti trovati. Se cioè inglobarli nella nuova stazione che va a nascere (e che sarà pronta per la primavera prossima) o asportarli e metterli in un museo. Dipende soltanto dall’importanza dei prossimi ritrovamenti. Dopo di che il lavoro della linea 6 andrà avanti. (Fonte: IL MATTINO)

31/05/2005 DIVENTERA' VISITABILE IL TEATRO ROMANO DI NAPOLI

Era un bel rosso pompeiano forte. Ora è sbiadito, ma il colore è rimasto. Erano le pareti dell’ambulacro del teatro romano. Stanno tornando pian piano alla luce. Insieme a nicchie, vomitori (i moderni foyer), cunei, archi, opera mista. Una testimonianza eccezionale, unica al mondo. È solo una porzione del teatro in cui - siamo a metà tra leggenda e storia - si esibì Nerone. Il resto è sepolto dai palazzi del centro storico, via San Paolo, via dell’Anticaglia, vico Cinquesanti. Delle gradinate del teatro si sapeva da anni. La novità è la parte retrostante che pian piano sta emergendo, sotto la supervisione della soprintendenza ai beni archeologici e del dipartimento comunale del centro storico, coordinato dall’architetto Giancarlo Ferulano sotto la supervisione diretta del vicesindaco Rocco Papa. Il centro storico si conferma un museo a cielo aperto. Si entra in un palazzo, a via San Paolo 4, e in quello che potrebbe essere un garage, dietro una saracinesca di ferro, si disvela un mondo di duemila anni fa. Una costruzione augustea, è stato appurato dai numerosi saggi che da un decennio si susseguono sulla struttura. Con superfetazioni di ogni tipo e di ogni età, dalla successiva epoca flavia alle costruzioni cinquecentesche, sino agli attuali edifici che hanno ricoperto gran parte del teatro romano (che a sua volta sorse, ampliandolo, sui resti di quello greco). Si scava. Mancano due metri per arrivare al pavimento di vomitori e ambulacro. Pian piano, però, emergono sorprese, come archi e appunto intonaco ancora esistente. C’è un progetto per riportare alla luce e rendere addirittura fruibile il teatro. Una piccola porzione di cavea e gradinate: delle 7mila persone che assistevano agli spettacoli (i giochi sportivi erano più in là, nella struttura che sta emergendo a via Duomo) troveranno posto solo 700 persone. Sulle gradinate è rimasta anche qualche traccia di marmo che originariamente ricopriva tutti i posti a sedere, mentre la struttura è obbligatoriamente in tufo napoletano. Il problema è che tutta la cavea (almeno quella che tornerà alla luce) è sotto un giardino interno, anche questo bello e antico ed è necessario espropriarlo e sacrificarlo. Qui si aprirà sicuramente una battaglia legale e di opinione e i tempi di apertura del teatro al pubblico dipendono anche da come si svilupperà la situazione. Il progetto del vicesindaco Rocco Papa è ambizioso. Non solo visite guidate ma addirittura «rappresentazioni teatrali e manifestazioni culturali» come si legge nel progetto dell’architetto Romano Roberto Einaudi. Stanziati dal bilancio comunale quasi 4 milioni di euro, «il complesso monumentale del teatro antico - scrive ancora Einaudi - recuperato e restaurato con gli ambulacri interni, i vomitori antichi di accesso alla grande cavea, l’orchestra, il podio e la grande frons scenae, il tutto incastonato tra gli edifici moderni sorti attorno al teatro a partire dal ’500, sarà una testimonianza unica della lunga e complessa storia della città».

(Fonte: IL MATTINO)

18/05/2005 TRA I PIT INTERVENTI ARCHEOLOGICI PER LA VALLE DELL'OFANTO

Nove interventi candidati al bando regionale di premialità rivolto ai progetti integrati per un importo complessivo di poco superiore ai 26milioni di euro. Sono le referenze con le quali il Pit ‘Valle dell’Ofanto’ concorre all’assegnazione di risorse aggiuntive. Sovvenzioni che verranno assegnate mediante il riscontro di specifiche condizioni quali la qualità e l’efficienza della spesa. Più precisamente, il set progettuale che aspira alle premialità riguarda ed interessa diversi ambiti programmatici. Si parte dal progetto di qualità urbana della zona ‘Fossi’ di Carife, al restauro del castello Gesualdo con destinazione a centro europeo di cultura musicale al restauro e riuso di Palazzo Vitale, con sede ad Aquilonia, mediante una nuova veste operativa e funzionale: un centro studi sulle culture locali del Mediterraneo. E poi, il completamento del parco archeologico e storico do Compsa, la realizzazione di un incubatore d’impresa e scuola di design a Calitri nonché la valorizzazione e promozione del patrimonio culturale dell’area della Valle dell’Ofanto. Allo stato attuale, il progetto integrato gode di un tetto economico di 32.077.544 euro (risorse assegnate dalla Regione Campania). Un ruolo fondamentale è rappresentato dalla formazione. “Sono previsti- mette in evidenza la presidente della Provincia di Avellino, Alberta De Simone- una serie di qualifiche per diplomati e laureati per gestire al meglio la ricettività turistica e il patrimonio culturale”. Lo strumento di programmazione negoziata, che interessa numeri comuni dell’Alta Ipinia, è finalizzato alla costruzione di un itinerario culturale che punti alla valorizzazione dell’intreccio unico tra gli aspetti storici, archeologici e naturalistici, della tipicità irpina. L’obiettivo primario è la messa in produzione delle ricchezze culturali presenti nell’intero ambito territoriale interessato dal percorso del fiume Ofanto, fino alle aree del suggestivo patrimonio naturalistico-ambientale di Montella e del vicino altopiano del Laceno. L’Itinerario possiede già un suo valido livello di attrazione e include, inoltre, importanti aree protette, come l’oasi Wwf della Diga di Conza e quattro altri Sic (siti di interesse comunitario), accrescendo la validità di un progetto di fruizione integrata, progettata nel rispetto delle peculiarità del territorio, reso ancora più attraente dalla presenza di alcune particolari emergenze archeologiche, monumentali di centri storici ben conservati. L’itinerario si implementa poi di valore aggiunto con la promiscuità dell’azione di valorizzazione dei percorsi tratturali, perseguita dal piano Integrato dell’itinerario del Regio Tratturo, per le province di Avellino e Benevento, nonché dal progetto Appennino Parco d’Europa.

13/05/2005 SCEMPI A GIUGLIANO (NA) ED OLEVANO SUL TUSCIANO

Gli scempi sono stati scoperti dai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Napoli in località “Casale Pagliarone” di Giugliano in Campania, un’area prossima al Lago Patria, e a Olevano sul Tusciano, in provincia di Salerno. Nel primo caso, gli abusivi avevano costruito alcune baracche senza nessun permesso, in quell’area che consideravano al sicuro da ogni controllo perché troppo fuori mano, oltre che utilizzata solo per l’agricoltura. E, cosa ancora più grave, le costruzioni era state edificate su preesistenza di epoca romana, forse una fattoria, con ben evidenziati ruderi e pavimenti in opus spicatum. L’attività investigativa del Nucleo Tutela dell’Arma, tuttavia, ha permesso di intercettare i colpevoli dello scempio archeologico e di fermare l’azione devastante contro uno dei tesori dell’area, considerata tra le più ricche della regione dal punto di vista storico archeologico, denunciando diciannove persone per “danneggiamento, demolizione, modifica e rimozione di cose d’interesse storico artistico”. Identica l’ipotesi di reato per il proprietario del Convento di Santa Maria a Costantinopoli, un edificio da poco acquistato, che stava per essere completamente stravolto in architetture e strutture. La fabbrica, una costruzione cinquecentesca appartenuta ai Domenicani, fu abbandonata in seguito a un decreto emesso da Gioacchino Murat re di Napoli che sopprimeva tutti i conventi con meno di dodici religiosi professi, nonostante che lo stesso potesse vantare una florida situazione economica e un consistente supporto dei fedeli. Il convento, secondo i militari, stava per essere trasformato in struttura ricettiva, perdendo completamente le caratteristiche originarie di bene culturale dal notevole valore storico scientifico. (Fonte: comunicato stampa)

10/05/2005 RIQUALIFICAZIONE PER IL COLLE DEL TIFATA ED IL TEMPIO DI GIOVE

Riqualificare il colle del Tifata, con le sue presenze archeologiche. Organizzare percorsi alternativi all’interno di un parco di grande impatto ambientale. Sono questi gli obiettivi della Soprintendenza dei Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta. In un intervista Maddalena Marselli, funzionario della Soprintendenza, ha espresso la volontà dell'ente in questione di realizzare interventi per il colle del Tifata, nel casertano, dove sono presenti diverse emergenze architettoniche ed archeologiche come la Basilica di Sant'Angelo in Formis, costruita a sua volte su un tempio preromano. Nel ‘99 furono presentati anche alcuni progetti che riguardavano il parco archeologico dell’Appia prevedendo l’esproprio di alcuni terreni in adiacenza alla Tav; poi fu presentato la proposta di un parco archeologico all’interno del Cira, il Centro Italiano di Ricerche aerospaziali. Nel 2004 ci si è reso conto che quest’ultimo progetto non era attuabile e quindi si è fatto presente al Prusst di indirizzare meglio le risorse, concentrandole per il parco archeologico ambientale del Tifata. E' stato scelto quest'ultimo perché sono state eseguite indagine archeologiche e sono emerse strutture interessanti. Sono stati pubblicati i risultati degli scavi al tempio di Giove Tifatino e tutto è riportato sull’articolo scientifico pubblicato sul bollettino di archeologia nazionale. Del tempio di Giove è stato portata alla luce un complesso santuario di notevoli articolazione. Per quanto riguarda la cronologia è possibile ipotizzare che la fase di inizio corrisponda ad un momento collocabile tra la fine del secondo e primi decenni del primo secolo avanti Cristo. Lo lasciano intendere l’utilizzo massiccio di opera, la comparsa di alcuni tratti di muratura che preluderà ad una tecnica che si svilupperà negli anni a venire. (Fonte: comunicato stampa)

23/02/2005 ENTRO DUE ANNI IL PARCO ARCHEOLOGICO DI PUNTA CHIARITO A FORIO D'ISCHIA (Na)

Lo scoprirono per caso quando, negli anni ’70, durante un tentativo di costruire case abusive cominciarono a venire fuori i primi reperti. L’intervento degli ambientalisti bloccò la speculazione e diede il via alla campagna di scavi di quello che viene indicato come uno dei primi insediamenti greci nel golfo di Napoli: il sito di Punta Chiarito a Forio. Ora, la zona, avrà dignità di parco archeologico: lo ha stabilito un protocollo d’intesa siglato da Comune, Regione e Soprintendenza. L’apertura al pubblico avverà entro due anni. L’insediamento greco, su una insenatura della costa meridionale dell’isola, intorno al mille avanti Cristo, era una strategica base navale che gli antichi colonizzatori sfruttarono per i loro rifornimenti sulle rotte fra l'isola d’Elba e la madrepatria, fino al 600 a.c. Poi, improvvisamente, l’intero villaggio venne sepolto da una enorme massa di fango argilloso. Il sito archeologico, negli anni passati, ha visto l'intervento anche di prestigiose istituzioni internazionali come il museo di Berlino, che ha finanziato una parte degli scavi. Per i primi, immediati interventi, dunque, Comune, Regione e Ministero spenderanno almeno un milione e 300mila euro. Nei prossimi giorni si passerà alla stesura della progettazione esecutiva. Occorre delimitare l'area attuale (1000 mq) e anche quella dove nei prossimi anni si concentreranno nuove ricerche. L'obiettivo più ambito dai tecnici della sovrintendenza resta quello di scoprire dov'è la necropoli, che si presume possa essere addirittura più antica di quella rinvenuta negli anni '50 nella baia di San Montano e dai quali venne riportata alla luce la famosa coppa di Nestore, uno fra i più importanti reperti archeologici di tutta la Magna Grecia. «Per ora sono stati rinvenuti due siti abitativi perfettamente intatti, con fornaci, attrezzature e vasellame dell'epoca», dice la sovrintendente Costanza Gialanella che ha siglato il protocollo d'intesa, presenti per la Regione l'assessore Marco Di Lello ed il consigliere Antonio Simeone e per il Comune il sindaco Franco Regine e l'assessore Nicola Monti. Entro la primavera la Regione inizierà anche i lavori - con i fondi già stanziati - di consolidamento per evitare che vi siano cedimenti sul versante marino. Il tratto di costa in questione è da sempre oggetto di forti mareggiate e una parte rilevante dell'antico insediamento è stato inghiottito dalle onde. «Realizzeremo - dice il sindaco Regine - e naturalmente la struttura del museo nella quale esporre quei preziosi reperti». Entro il 2007, quindi l'area sarà perfettamente agibile e inserita nei percorsi archeologici della Campania, mentre attualmente per accedervi, occorre il permesso della sovrintendenza. «E con l'istituzione del parco archeologico - ha dichiarato Marco Di Lello - si metterà speriamo fine al fenomeno del cemento selvaggio».

28/01/2005 MUSEO DELL'ANTICA CALES IN DIRITTURA D'ARRIVO?

È stato, finalmente, compiuto il primo storico passo verso la creazione del museo dell’antica Cales. Firmato l’accordo tra la Soprintendente Reggente Valeria Sanpaolo, in rappresentanza del Ministero per i Beni Culturali, ed il sindaco di Calvi Risorta, Giacomo Zacchia, per la realizzazione della casa museale nei locali del Castello Aragonese. Il Comune ha destinato il Castello a sede del museo, mentre l’ente archeologico si è impegnato a «riportare a casa» tutti i reperti del passato caleno, che si trovano dislocati in altri musei ed uffici della Sovrintendenza. La prima piattaforma di concertazione, dunque, che si era insediata solo pochi giorni fa negli uffici regionali della Sovrintendenza ai beni archeologici, con il Sovrintendente di Caserta Stefano De Caro, la reggente Valeria Sanpaolo e l’amministrazione comunale calena, ha messo nero su bianco l’impegno programmatico per la esecuzione dell’ambiziosa opera. Il tratto saliente dell’accordo, è certamente rappresentato dal passaggio in cui gli enti convengono di «impegnarsi congiuntamente al raggiungimento della istituzione del Museo Archeologico nel Castello Aragonese, che il Comune destina a tale scopo, nel quale esporre i materiali provenienti dagli scavi dell’antica Cales e che la Sovrintendenza mette a disposizione». «Questo è davvero un bel piatto con il quale ci presenteremo alla tavola degli enti coinvolti nella realizzazione del parco archeologico e dello svincolo autostradale» ha commentato il sindaco Giacomo Zacchia. Ora si tratta di definire il cronoprogramma per la realizzazione concreta delle opere.

15/01/2005 CHIESTA LA TUTELA DELL'UNESCO PER IL VILLAGGIO PREISTORICO DI NOLA ED INTANTO PARTONO I LAVORI

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05/01/2005 APPELLO PER LA BADIA DI CAVA DEI TIRRENI (SA)

L'abbazia benedettina della Santissima Trinità di Cava ha bisogno di fondi per poter essere meglio conservata. Un patrimonio,di proprietà dello Stato,e che è anche il fiore all'occhiello della città metelliana deve avere quelle attenzioni particolari che questo grande scrigno di cristianità e cultura merita. Lo dice chiaramente senza nascondersi dietra ad un dito l'attuale abate mons.Benedetto Chianetta. «Per l'assistenza spirituale - sottolinea - ci pensano i monaci ma per quella materiale c'è bisogno dell'aiuto degli organi a ciò preposti. Abbiamo avuto solo promesse per interventi di restauro di alcune nostre strutture ma ancora ad oggi nulla si è mosso perchè i fondi non sono mai arrivati». Nel monastero sono conservati dei veri e propri tesori d'arte come la biblioteca che conserva 70.000 volumi con numerosi incunaboli, l'archivio con oltre 15.000 pergamene (la prima risale all'VIII secolo),una Bibbia visigotica del IX secolo, il codex legum Longobardorum del Mille ed un interessante Museo che purtroppo è ancora chiuso da più di tre anni per lavori di restauro. «Hanno bisogno di interventi anche gli appartamenti abbaziali - prosegue monsignor Chianetta - una volta di una stanza per l'umidità si è rigonfiata e rischia di crollare. La comunità monastica non può intervenire economicamente per l'esosità dei fondi occorrenti. La Soprintendenza di Salerno ha preparato alcuni progetti che per il momento sono fermi perché gli aiuti economici rivenienti dell'otto per mille destinati dallo Stato ancora sono fermi e chissà quando si sbloccheranno». Stando così le cose uno dei più bei monumenti dell'Italia meridionale fondato nel 1011 da Alferio, nobile salernitano di origine longobarda formatosi a Cluny, rischia di essere completamente dimenticato ed alcune sue strutture di restare chiuse al pubblico per chissà quanto tempo ancora.La prima impressione è di un edificio di modeste dimensioni,ma l'apparenza inganna perchè la facciata nasconde un grandioso complesso monumentale. Nel museo vengono conservati in una vasta sala del XIII secolo,innumerevoli oggetti d'arte (sculture e quadri preziosi, collezioni ed altri reperti archeologici),una Madonna con santi,una tavola senese del XV secolo,un cofanetto d'avorio del XI sec., un Polittico di scuola leonardesca attribuito ad Andrea Sabatini; tele di pittori caravaggeschi, numerosi reperti archeologici; una collezione numismatica completa e ordinata per le zecche longobarde e normanne di Salerno,maioliche abruzzesi e vietresi e Codici Miniati. Questo cospicuo patrimonio è dovuto in massima parte all'opera dei monaci o di altri artisti per commissione degli stessi. Anche la ristrutturazione del teatro "Alferianum", all'interno del monastero non è stata completata. Con i suoi 500 posti è attrezzato per accogliere spettacoli di alto livello e convegni anche a carattere internazionale disponendo di un'apparecchiatura per la traduzione simultanea in quattro lingue. L'ultima manifestazione risale ormai al dicembre del 1996. «Per fare in modo che la Badia possa ben conservarsi e lottare contro l'usura del tempo - conclude l’abate Chianetta - deve quanto prima essere di nuovo inclusa nel cosiddetto circuito costante di finanziamenti annuali come era qualche tempo fa. E soprattutto gli enti che elargiscono i fondi devono essere molto concreti». In sintesi bisogno fare presto e non perdere tempo. Parole sobrie, ferme ed accorate quelle di monsignor Chianetta che richiama le istituzioni che rappresentano la comunità a farsi carico della tutela di un inestimabile patrimonio di fede e di cultura.

05/01/2005 A SARNO SPUNTA UNA TOMBA DEL PRIMO SECOLO A.C.

Fu una spaventosa alluvione di fango misto a cenere e lapillo, successiva alla terribile eruzione del Vesuvio del 472 d.C., a investire e distruggere il grosso monumento funerario che gli archeologi della soprintendenza di Salerno hanno scoperto in località Galitta del Capitano, un’area della periferia di Sarno che il Consorzio per la bonifica dei bacini di raccolta delle acque meteoriche sta mettendo in sicurezza. Il mausoleo, un parallelepipedo che si leva per quasi quattro metri su una base rettangolare, secondo gli specialisti risalirebbe a un periodo compreso tra il I e il II secolo a.C.. «La straordinarietà del monumento - spiega il soprintendente Giuliana Tocco - sta nella qualità eccezionale degli elementi decorativi in stucco che ornavano le parti in caduta della tomba». Tra le altre cose, lo stucco delle decorazioni era stato impreziosito con colori vegetali dai toni particolarmente delicati. Affiancata alla costruzione, poi, è stata rinvenuta una sepoltura a camera, più antica e orientata Nord-Sud, secondo quanto previsto dai rituali religiosi del tempo, che venne sconvolta allorché fu costruito l’edificio. «Del tumulo - dice Laura Rota, l’archeologa responsabile del territorio - rimane soltanto un letto funebre, senza alcun ritrovamento dei caratteristici materiali votivi». In una zona laterale è stato anche intercettato il posto dove il defunto veniva bruciato e i resti conservati in vasi di terracotta o di vetro. L’edificio funerario si trova in asse con le tombe dipinte del IV secolo a.C. scoperte due anni fa e che lasciarono gli archeologi stupefatti sia per il perfetto stato di conservazione che per la finezza delle pitture. Le due sepolture, a cassa, dette del «guerriero» e della «principessa», allora furono recuperate e le lastre trasportate in deposito. La tomba del «guerriero» è stata restaurata di recente ed è in attesa di sistemazione in un apposito spazio da realizzare nel nuovo museo archeologico di Sarno. Per completare lo spazio museale, che accoglierà altre tombe dipinte e reperti archeologici testimonianze dell’intera valle del Sarno, secondo le stime, occorreranno finanziamenti per circa cinque milioni di euro e almeno tre anni di lavoro. Non sarà possibile invece recuperare il mausoleo in quanto troppo onerose le due fasi di smontaggio e ricostruzione che oltretutto rischierebbero di mandare all’aria le evidenze architettoniche della tomba. Un’altra delle caratteristiche della muratura, difatti, è la sua messa in opera con alcuni punti in «reticolo», con gli angoli in mattoni e cornici in calcare, molto ben lavorate e forse prodotte in una cava dell’area sarnese. Adesso, le indagini degli specialisti coordinati dall’archeologa Angela De Feo sono indirizzate al ritrovamento dell’ingresso del mausoleo. «Anche se - come spiega Rota - non è detto che l’edificio sia cavo internamente, visto che ci sono esempi di cenotafi edificati solo perché della persona e della famiglia si conservasse perpetuo ricordo».